«Ci piace essere considerati i pronipoti di Gadda e i nipoti di Pasolini e Testori». Rimandi alti, insomma.
Intanto potremmo almeno non chiamiarli più ‘enfants prodiges’! In Francia li hanno etichettati, semmai, come gli ‘enfants terribles’ del teatro italiano.
Ironizzo e mi permetto di prenderli un po’ in giro (che so non si offenderanno), anche se al termine ‘enfants’ arriccio comunque il naso. In Italia si rimane ragazzi anche a ottant’anni, e un “giovane” architetto, professionista, regista… raramente ha meno di quarant’anni. All’estero (dove vige un ricambio generazionale meno ossidato del nostro e il talento ‘emerge’ con tempistiche più celeri) si potrebbe pensare che Ricci/Forte siano ventenni. Aggiungetene qualcuno, di anno. In fondo, quando “Aspettando Marcello” vinse il Premio Vallecorsi era il 1998 e loro erano trentenni in pieno sviluppo creativo.
Mettiamo allora in pensione un’etichetta desueta, ma ben rappresentativa di quel mondo che gli stessi Ricci/Forte, sul palco, descrivono con cinica brutalità – e che è rimbalzata su loro stessi in pagine e pagine di quotidiani cartacei e online, rimpallata su volantini e rassegne stampe, strisciando nelle note a piè di pagina ed invadendo l’immaginario di chi, forse, non conoscendoli, avrà pensato di assistere allo spettacolo di “una giovane compagnia esordiente”.
Stefano Ricci e Gianni Forte, esperti e navigati “uomini di spettacolo”, negli anni sono transitati con agilità dal teatro alla tv e viceversa, abili e fascinosi giocolieri delle parole (della drammaturgia ma non solo), vivendo un bel momento professionale già da tempo. E oggi più che mai.
Constatato il periodo di fama e fortuna, non poteva che aggiungersi anche l’editoria a consacrarli nell’Olimpo ufficiale. A tesserne lodi e a fotografarne la drammaturgia. A proporre un percorso che è, a tutti gli effetti, una carriera ben avviata e rappresentativa, in parte, del nostro teatro contemporaneo post-Duemila.
Sono due i volumi da poco pubblicati che fanno saggiare, in maniera diversa, parte di questa carriera.
Partiamo da “Mash-up Theater“, curato da Francesco Ruffini per Editoria&Spettacolo e che vede interventi, tra gli altri, di Claudia Cannella (a rintracciare le origini teatrali della coppia), Roberto Canziani, Rodolfo di Giammarco, lo stesso Ruffini e anche Francesco Paolo Del Re, giornalista culturale diventato poi loro efficientissimo ufficio stampa.
Un volume esauriente che riunisce in trecento pagine un’intervista, interventi critici ma anche tre testi: “Wunderkammer soap”, “Ploutos” e “Pinter’s anatomy”, e che si conclude con una ricca carrellata di significative istantanee dai loro spettacoli. Un bel volume, che dà un’idea completa di quale sia il percorso affrontato finora da Ricci/Forte.
“Contro la colonizzazione dell’immaginario viene frullata una semenza con la quale cospargiamo le nostre zolle concettuali – rispondono a Ruffini sul come e quanto venga rielaborato, nei loro spettacoli, ciò che osservano – Il filtro e il giusto mix delle condizioni circostanti si conforma con un crash-test continuo nel lavoro di prova. La percentuale di esperienza diretta, concreta e onirica, scratchata con influenze/citazioni/deformazioni ottiche del vissuto altrui trovano la loro dose ideale sul campo d’osservazione prescelto”. Una frase che, nel modo e nei tempi, dice già tutto di loro.
Andrea Porcheddu è invece il curatore di “Macadamia nut brittle (primo gusto)” edito da Titivillus. Anche in questo caso corredato di fotografie, per la prima volta viene presentato il testo di uno degli spettacoli più amati dal loro pubblico (e che dà il titolo al volume). Porcheddu introduce il lavoro riprendendo Pier Paolo Pasolini e il sociologo polacco Zygmunt Bauman ma passando anche per lo storico dell’arte Georges Didi-Huberman.
Una riflessione, quella introduttiva di Porcheddu, sul nostro contemporaneo: liquido, vampiresco, solo, lancinante, rumoroso. Aggettivi che probabilmente utilizzerebbero anche Ricci/Forte. Insieme a colori elettrici, sangue, tacchi alti, carrelli della spesa, aste con microfono, corpi e carne, tv-tv-tanta tv, icone pop: dai Simpson e Wonder Woman ai cartoni animati della Warner Bros.
Per raccontare qualcosa di loro a qualcuno che non ne ha mai visto i lavori, si potrebbero prendere a prestito immagini e riferimenti dagli spettacoli (e “Macadamia”, in questo senso, sarebbe ben rappresentativo del tragitto cui sono giunti finora). Niente di più evocativo. Tutto quanto è pop, a partire dalle perverse relazioni umane, colpisce l’immaginario di Ricci/Forte, così da esserne catturato nell’essenza, cannibalizzato e risputato in metamorfosi.
Dall’8 al 15 dicembre il Silos della Fondazione Alda Fendi di Roma, al Foro di Traiano, ospiterà la performance “Some disordered Christmas interior geometries”: un attacco indigesto, spregiudicato e – ovviamente – pop al cuore del Natale, come loro stessi lo definiscono. Ci crediamo sulla parola (salvo, poi, vedere con i nostri occhi cos’accadrà).
Venticinque minuti di performance, otto volte al giorno per otto giorni consecutivi, in cui undici performer si confronteranno corpo a corpo con un pubblico di cinquanta spettatori alla volta. Gli inquieti fantasmi di “A Christmas Carol” di Charles Dickens, la rarefazione della fotografia di Francesca Woodman e il tormento della scultura di Auguste Rodin si incontreranno in una ‘danse macabre’ in quadricromia, calpestando in uno stesso gesto le macerie di due imperi: la Roma dei Cesari e il regime dell’effimero globale e connesso.
Il regalo di Gianni e Stefano per Natale, insomma.
E tra gli eventi del 2011, oltre alle tournée dei loro ultimi lavori, Ricci/Forte hanno in serbo il nuovo spettacolo “Grimmless”, il cui debutto nazionale è previsto a fine gennaio in Puglia, per proseguire poi, dal 4 al 6 febbraio, al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino e dal 29 marzo al 2 aprile al Teatro India di Roma.
Producono, producono, producono. L’hanno imparato negli States, raccontano, a non fossilizzarsi anni su un testo, penna in mano, chiusi in una stanza.