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Il Rigoletto di John Turturro: Verdi in versione dark

Stefan Pop (Il duca di Mantova)

Stefan Pop (Il duca di Mantova)

Si dischiude il Preludio, ed è già pieno “Rigoletto”. Si figura già il buffone verdiano troppo adirato con la vita e troppo protettivo con la povera figlia Gilda. Si ode la nota che batte chiara e ossessiva, come fosse litania grottesca, e apre al capolavoro verdiano che conta numerosissimi spettatori nelle file del Teatro Regio di Torino ed entusiasti applausi alla sua conclusione.
Il regista John Turturro (che ha lavorato con Scorsese, Rosi, Cimino, i fratelli Coen…) vola da Hollywood a Mantova e si cimenta nei meravigliosi concertati dell’opera di Verdi, senza dimenticarne le origini – “Le Roi S’Amuse” di Victor Hugo e la sua tormentata magniloquenza romantica.

Nel libretto del “Rigoletto” curato da Francesco Maria Piave il chiaroscuro regna nella trama e negli animi dei protagonisti; la luce talora batte sui loro volti in virtù della splendida partitura di Verdi – ma sul palco vi avverte la fatica a respirare, un a malincuore che aleggia a causa della maledizione lanciata contro Rigoletto e dei rischi a cui è esposta Gilda, la dolorosa consapevolezza della fine della storia, oramai nota a tutti.

Turturro coglie questa nota di tenebra e la sviluppa in tutta la messinscena, anche se qualche bagliore verdiano in più avrebbe potuto farlo vibrare. Tutto è buio in scena, alleviato o da qualche fioca candela o da luci fortissime che squarciano il fondale nel pathos più alto. Il “Rigoletto” del regista italo-americano è gotico, immerso nella foschia, forse troppo nero e faustiano rispetto all’ispirazione verdiana. Il primo lavoro della Trilogia Popolare è dominata sì dal male, ma specialmente dalla paura: Rigoletto ha paura per se stesso e per sua figlia; il maligno Duca di Mantova è dominato dalle sue ossessioni erotiche e prova timore quando scopre che l’oggetto del suo desiderio gli è stato sottratto; Gilda non capisce il pericolo che corre al punto da diventare irresponsabile nel suo candore e trema quando vede la verità. Perciò (quasi) mancano arie nello spartito, e sovente si piange: la paura opprime la scena e chi la abita. Questo è l’aspetto che Turturro s’impegna ad allestire in un enorme salotto (più settecentesco che di metà Ottocento) corrotto e irrisolto nell’apparentemente solare città di Mantova.
Spesso l’allegoria diventa scelta registica: la pioggia e la tempesta, le coreografie voluttuose ideate da Giuseppe Bonanno, l’enfasi sui contrasti lunari, le diroccate e splendide scene di Francesco Frigeri. Tutto l’allestimento (coprodotto con il Teatro Massimo di Palermo, la Shaanxi Opera House di Xi’An in Cina e l’Opéra Royal de Wallonie-Liège) suggerisce una coralità soffocata, a tratti funerea.

I protagonisti del “Rigoletto” sono fuligginosi di sentimento e aspetto (ad eccezione di Gilda) e Turturro accentua questa componente ricavandone una splendida narrazione visiva, a tratti un po’ troppo fosca e irreale.

L’umanità che nutre l’opera verdiana è riscattata in questa messinscena dall’ottima concertazione (sul podio: Renato Palumbo) e dalle impeccabili esecuzioni canore: il baritono Rigoletto è Amartuvshin Enkhbat (alternato a Carlos Àlvarez), vigoroso e nobile nella resa della parola e del gesto scenici: il suo ingresso in mezzo alla nebbia è aperto omaggio a “Novecento” di Bertolucci, ed è come se quella coltre atmosferica equivalga alla patina – la copertura, la maschera – che il buffone deforme di corte è costretto a cucirsi addosso per allettare un potente che odia e proteggere una figlia fatalmente fragile.

Altrettanto degna di nota è proprio lei, la giovane Gilda: la prova di Gilda Fiume (al primo turno si ha Ruth Iniesta) è garbata e decisa insieme, forte di un accorato trasporto che evidentemente solo un’interprete conscia del ruolo che impersona sa muovere. Sottile e interessante l’allusione alla verginità perduta a causa della violenza del Duca, suggerita dal drappo rosso sotto le candide vesti. Ivan Ayón Rivas, il Duca di Mantova del secondo turno, manca di carisma attoriale ma certamente non di dote canora (e infatti la platea si eccita quando finalmente inizia a intonare “La donna è mobile”); assai convincenti sono anche gli altri personaggi, che illuminano il palcoscenico di una coralità inedita e prorompente, in misurata e avvincente sintonia con il Coro del Teatro Regio, orchestrato da Andrea Secchi.

Ciò che viene complessivamente rispettato è il quadro compositivo di ciascun personaggio, variegato e dinamico, che non concede mai l’ultima parola sull’interiorità delle dramatis personae, malinconicamente eloquente, ma mai enfaticamente barocca.
Turturro adotta una regia nitida e affronta umilmente il testo verdiano (d’altra parte è la prima volta che si cimenta con il teatro d’opera) e crea – per sua stessa ammissione – dei riferimenti alla sua pellicola “Romance & Cigarettes” (2005): «Come in altri miei lavori la musica aveva un ruolo molto importante, direi da protagonista, e quindi alla fine con questo Rigoletto tutto torna. Credo che la musica sia insuperabile in termini di trasporto emozionale».
Il regista avrà anche proposto un Rigoletto à la Edgar Allan Poe, ma ha certamente dato prova di quanto nel mondo del teatro sia indubitabile: il vigore drammaturgico e lirico di Verdi può essere continuamente riscoperto e ridipinto – nulla verrà eroso della sua assoluta attualità e della brillante espressività che dona all’abisso umano.

Rigoletto
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi

Personaggi
Rigoletto, buffone di corte baritono Carlos Álvarez, Amartuvshin Enkhbat (9, 12, 14, 16)
Gilda, sua figlia soprano Ruth Iniesta, Gilda Fiume (9, 12, 14, 16)
Il duca di Mantova tenore Stefan Pop, Iván Ayón Rivas (9, 12, 14, 16)
Sparafucile, bravo basso Gianluca Buratto, Romano Dal Zovo (9, 12, 14, 16)
Maddalena, sua sorella mezzosoprano Carmen Topciu
Giovanna, custode di Gilda mezzosoprano Carlotta Vichi
Il conte di Monterone baritono Alessio Verna
Marullo, cavaliere baritono Paolo Maria Orecchia
Matteo Borsa, cortigiano tenore Luca Casalin
Il conte di Ceprano basso Federico Benetti
La contessa, sua sposa mezzosoprano Ivana Cravero, Claudia De Pian (12, 13, 14, 15, 16, 17)
Un usciere di corte basso Riccardo Mattiotto, Giuseppe Capoferri (9, 12, 14, 16, 17)
Il paggio della duchessa soprano Ashley Milanese

Direttore d’orchestra Renato Palumbo
Regia John Turturro
Regista collaboratore Cecilia Ligorio
Coreografia Giuseppe Bonanno
Scene Francesco Frigeri
Costumi Marco Piemontese
Luci Alessandro Carletti
Riprese da Ludovico Gobbi
Assistente ai costumi Sara Marcucci
Maestro del coro Andrea Secchi
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Nuovo allestimento in coproduzione con Teatro Massimo di Palermo, Shaanxi Opera House (Xi’an, Cina) e Opéra Royal de Wallonie-Liège

Durata approssimativa: 2h 45′

Visto a Torino, Teatro Regio, il 9 febbraio 2019

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