Rising: la danza di Aakash Odedra risplende negli YC4D

Rising (photo: aakashodedra.co.uk)
Rising (photo: aakashodedra.co.uk)

Torniamo oggi ad uno degli spettacoli che più ha colpito i ragazzi torinesi del progetto Youngest Critics for Dance edizione 15/16, realizzato per il quarto anno consecutivo attraverso la collaborazione fra Mosaico Danza e Winnie & Krapp, editore di Klp, oltre alla partecipazione e al sostegno di numerosi altri partner (più info su YC4D qui). Lo facciamo parlando dell’intenso “Rising” di Aakash Odedra, ospitato nell’ambito della stagione della Fondazione Piemonte dal Vivo.

Ci racconta una serata piena di pathos e pubblico Luca Sansoè, studente del Dams di Torino.


Quattro momenti di danza distinti e differenti ma allo stesso tempo strettamente connessi tra loro da intenzione, emozioni e tensioni nervose: ecco come “Rising” impregna l’aria della Lavanderia a Vapore di Collegno di un’atmosfera densa di significato.
Aakash Odedra, danzatore anglo-indiano, unico protagonista dell’intera serata, intraprende un intenso viaggio emotivo, quasi senza sosta (se non per i cambi di allestimento scenografico), esplorando diversi spazi dell’interiorità, delineandoli in maniera tagliente e precisa.

Lo spettacolo è strutturato in quattro pezzi diversi, di cui tre firmati da coreografi di fama mondiale: “In The Shadow of Man” di Akram Khan, “CUT” di Russell Maliphant, “Constellation” di Sidi Larbi Cherkaoui, e una danza tradizionale indiana kathak, coreografata dallo stesso Odedra, che apre la serata torinese organizzata da Piemonte dal Vivo.

Odedra appare già sul palco; nel silenzio irrompe con una vorticosa danza in uno spazio del tutto spoglio ma che diventerà completamente illuminato. Nulla è lasciato al caso, l’occhio è travolto da movimenti rapidi e precisi: tagli netti di braccia, linee decise tracciate nell’aria e un incisivo pestare di piedi.
Sembra quasi una sveglia per il pubblico, una chiamata a prestar particolare attenzione a ciò che si manifesterà di lì a pochi minuti: un guardare con occhi e mente attenti, ma soprattutto aprire le porte ai messaggi e alle storie che, solo attraverso il movimento, stanno per essere raccontati.

La danza kathak si esaurisce velocemente e di netto, se ne va come è arrivata, quasi senza lasciar traccia, eccetto per un debole richiamo all’attenzione. Il pubblico ammira fin da subito la bravura tecnica del ballerino e si confronta con un linguaggio lontano dal quello occidentale. Gli applausi esplodono spontanei. Ma è solo l’inizio.

Non si è preparati, infatti, all’intensità crescente di ciò che segue: un cono di luce aranciata incornicia il corpo di Odedra, accartocciato al suolo. Un tessuto musicale piuttosto cupo mette in moto il danzatore che, a torso nudo, comincia a spostarsi carponi, deformando il proprio corpo in smorfie di sofferenza che lacerano lo sguardo e il sentire dello spettatore.
Per completare l’atmosfera di tensione, Odedra emette strani guaiti che richiamano la nascita di una creatura colma di dolore.

Il coinvolgimento è massimo, eppure, quando sembra impossibile sopportare oltre la carica emotiva, la situazione evolve insieme e grazie alla musica, portando a un’armonizzazione del dolore e dei movimenti.
Sembra così di assistere all’evoluzione di un dolore, di un essere abbandonato a sé stesso che impara a convivere con le proprie insicurezze e difetti. Nel modificarli e adattarli riesce a comporre una situazione di armonia che lascia, nel cuore dello spettatore, spazio alla speranza. Ci si sente quasi mossi a pietà nei confronti della creatura che si sta mettendo a nudo, creando un forte spazio di intimità.

La tensione evolverà ancora nel pezzo seguente. Tre triangoli di luce bianca, sottilissimi, si stagliano nello spazio scenico. Con essi Odedra comincia a giocare, con movimenti netti e precisi, da situazioni di piena luce a momenti di piena oscurità: giochi tra lame mentre la musica muta e ispira cambiamento.
Si è trasportati in una situazione che trascende la realtà, uno spazio ideale in cui tutto è possibile e ogni decisione porta a una soluzione necessaria e inevitabile. È il luogo delle certezze e delle decisioni, dei tagli netti (come suggerisce lo stesso titolo del pezzo, “Cut”). È la debolezza del pezzo precedente che lascia il posto alla forza e alla sicurezza dell’uomo che si presenta in scena: un essere più maturo e consapevole, capace di stare in piedi e aggirarsi con destrezza tra gli ostacoli più duri.

A conclusione della serata si presenta il momento più catartico dei quattro, l’unica e inevitabile conclusione di questo viaggio di tensioni, incertezze e sicurezze.
La scena è cosparsa di punti luce che variano e oscillano insieme ai movimenti del danzatore, qui dal volto rilassato e sorridente, quasi suggerisse al pubblico di rilassarsi e godersi il viaggio.

In questa bellissima e conclusiva scena di pace e catarsi è permesso muoversi verso la soluzione definitiva delle tensioni accumulate, lasciare che addirittura una lacrima righi la guancia e pulisca gli occhi.
Attraverso la danza di Aakash Odedra rimane la sensazione di essere stati toccati (o travolti) dalla forza di una danza estremamente sentita, forte della sua semplicità. Ed è proprio questa caratteristica che colpisce di più: la semplicità di movimento, scenografia e concetto, la linearità di un’evoluzione che si traccia naturalmente nel cuore dello spettatore. Si esce da teatro arricchiti e riempiti dalla semplice forza di un’ora di danza di un solo uomo.

Luca Sansoè – Youngest Critics for Dance / YC4D 15/16

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