Un piccolo vicolo nella già piccola antica strada dei Tribunali, a Napoli, il teatro Elicantropo è uno scrigno nascosto nella notte.
Oltre una porta, si apre ai nostri occhi un mondo sotterraneo, come quasi tutta la Napoli misteriosa: foto, articoli, stagioni teatrali trascorsi in questo spazio.
L’accoglienza è quella di una grande famiglia e mentre ci accingiamo a sederci in platea, ci dicono di fare attenzione a dove mettiamo i piedi.
Nel buio della sala senza palco notiamo un mucchietto di sabbia gialla per terra, al centro della scena, da cui emerge il nome “Haifa”; poi più in là si scorge un percorso, delle linee, delle sedie, il tutto disegnato con la sabbia.
Via le luci e spazio al racconto dello scrittore palestinese Ghassan Kanafani, uno dei più importanti esponenti della letteratura araba contemporanea, ucciso dai servizi segreti israeliani nel 1972.
La compagnia genovese Narramondo sceglie di dare voce alla cosiddetta “letteratura della resistenza” attraverso una narrazione scenica che è quasi racconto epico. I ribelli, non solo dal punto di vista politico ma soprattutto sentimentale, raccontano i propri dolori: un affresco violento e terribile che trova risonanze in ogni parte del mondo.
Gli attori Eva Cambiale e Carlo Orlando, quest’ultimo anche regista, utilizzano la traduzione di Isabella Camera d’Afflitto per interpretare rispettivamente moglie e marito palestinesi che dopo la Seconda guerra mondiale vengono costretti a lasciare Haifa, in una triste mattina che distrugge loro la vita.
Una narrazione serrata, che non lascia respiro. Sembra di sentire il rumore delle pagine sfogliate, poi ci si dimentica della narrazione e ci si immedesima così tanto da ascoltare ad occhi e orecchie sbarrate. Ci stanno parlando, ci stanno raccontando, ci stanno catturando. E mentre ci immaginiamo il defunto Kanafani seduto in platea mentre rivive il proprio dolore, improvvisamente siamo seduti in automobile, stiamo entrando ad Haifa. Vent’anni dopo.
I due decidono di tornare nella città natale quando le frontiere sono state riaperte. Solo ora veniamo a conoscenza dell’esistenza di un figlio: un neonato lasciato nella culla in quella casa in cima alla collina ceduta poi a una famiglia di ebrei polacchi sfuggiti da Auschwitz. Ritrovare oggetti e mobili di quella vita felice è un’esperienza terribile. La casa non riconosce più i due coniugi. Gli altri due figli, nati nei successivi vent’anni, hanno creato una vita fuori da Haifa, oltre i ricordi. Il figlio, sopravvissuto grazie alla famiglia polacca, ora ha un nome polacco, è un soldato ebreo, di quelli che combattono contro gli arabi. Per i genitori il paradosso è doloroso. Il concetto di patria è relativo, legato alla cultura, alle condizioni storiche, agli eventi, stavolta al caso.
Lo spettacolo, pur dilungandosi in alcuni passaggi molto letterari, scivola via agilmente, ricchissimo di parole e di emozioni. Quando l’attenzione dello spettatore sembra allentarsi ecco che gli attori la riprendono, scambiandosi ruoli, parole, pensieri, introducendo flashback. La scena ha pochi elementi ma l’immaginazione, senza il giogo di un’immagine stabilita, corre come davanti alla pagine di un libro.
RITORNO AD HAIFA
di Ghassan Kanafani
traduzione Isabella Camera d’Afflitto
con Eva Cambiale e Carlo Orlando
Assistente alla regia Luigi Albert
consulenza registica per messa in scena e training attori Andrea Lanza
Elementi scenici Balthasar Brennenstuhl
Organizzazione Lisa Raffaghello
regia Carlo Orlando
Produzione Narramondo Teatro
durata spettacolo: 1h 30′
applausi del pubblico: 1′ 14”
Visto a Napoli, Teatro Elicantropo, il 3 febbraio 2011