La fine è vicina. Ma siamo ancora all’inizio. “In girum imus nocte (et consumimur igni)”: andiamo in giro la notte e siamo consumati dal fuoco. Andiamo in giro la notte e finiamo sempre in gabbia, partecipi di una nuova classe morta.
Roberto Castello rimane molto coerente alla radicalità di Guy Debord, scrittore, regista e filosofo francese la cui vita/opera è fortemente dialettica, in bianco e nero, dalle posizioni salde. Ha ben chiari i suoi nemici, ha ben forte la sua posizione. Così come lo spettacolo in questione, che si giova, magnetico e ostinato, della dicotomia basilare di luce e ombra per costruire un notturno che non lascia scampo all’intrattenimento.
La scena è una scatola nera rischiarata solo dal videoproiettore, con superfici segnate da angoli retti, e un bianco sporco, in cui si intravede un lento cadere di quella che potrebbe essere pioggia nera.
Sei corpi vestiti con tuniche nere faticano a prendere il via, poi iniziano all’unisono quella che diventerà progressivamente una partitura dannata e rigorosa, essenziale e violenta. Quella di corpi asserviti ad un disegno superiore, ancora una volta eterodiretti e in marcia. Non comunicanti. Ingabbiati e sincopati, in preda alle pulsioni da emeriti bipolari, claudicanti, gravi e gravati da pesi invisibili ma capaci di somatizzarsi in uno stato di degenza in scena.
L’unico uomo del gruppo (Mariano Nieddu) è sempre chino su se stesso, gobbo, in preda al ghigno nosferatesco del corpo criminale. Gravati dal tempo che scandisce incessantemente l’azione, ad ogni buio le pedine cambiano posto, alternano stati di felicità apparente a momenti di totale abnegazione alla psico-fisica macchina coreutica imposta. Come nuovi lemming, operosi e ciechi. Inchiodati a terra, in una condizione di febbrile angoscia all’interno della quale gli sprazzi di euforia sono di disperata messa in scena, falsa, grottesca, della gioia esteriormente rappresentata.
Ci si danna a vuoto, si gira a vuoto come macchine celibi. Tra istantanee e folgorazioni visive, senza poter staccare i piedi dal suolo, ci si consuma, ci si brucia per inerzia, per empatia verso il dispendio improduttivo, senza conservazioni, senza cedimenti al virtuosismo, rigorosamente lontani dai codici più riconoscibili della (danza di) moda. E ogni tanto la voce fuori campo ci ricorda che “the end is near”.
La fine è vicina, e siamo quasi alla conclusione, forti di una fredda monocromia e di un martellamento sonoro che non cede, ma anzi porta verso una trance che trasforma i performer in esseri spossessati, in lotta per farsi luce, mai docili, mai coscienti, contro le avversità intangibili della scena (della vita), servili al ritmo che li muove, nell’estinguersi vano di entusiasmi rappresentati, di ingannevoli risate nervose, di concitate vibrazioni di membra cadenzate.
Se per il situazionista francese il celebre palindromo latino che dà il titolo all’opera era l’incipit di un (non) film che faceva una ricognizione amara e fiera della propria vita passata, lo spettacolo (da vedere!) di Roberto Castello è un catartico esorcismo contro la furia cinestetica metropolitana, contro la familiarità canaglia, il traffico avaro di quiete, l’odio che, nostro malgrado, sotterraneo ma affiorante, ci accomuna egoisticamente l’un l’altro.
IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI (Andiamo in giro la notte e siamo consumati dal fuoco)
di Roberto Castello
interpreti: ELISA CAPECCHI, ALICE GIULIANI, MARIANO NIEDDU, GISELDA RANIERI, ILENIA ROMANO, IRENE RUSSOLILLO
luci , musica, costumi: Roberto Castello
costumi realizzati da Sartoria Fiorentina
con il sostegno di MIBACT/Direzione Generale Spettacolo dal vivo, REGIONE TOSCANA/Sistema Regionale dello Spettacolo
durata: 1h
applausi del pubblico: 3′
Visto a Roma, Teatro Vascello, il 16 ottobre 2015