E’ stato interprete di “Ondine”, diretto da Andrée Ruth Shammah, all’inizio della stagione del Franco Parenti a Milano. Adesso, proprio mentre il teatro lancia un’iniziativa per aprire al pubblico in orario pomeridiano, Roberto Trifirò porta in scena fino al 29 gennaio “Piccinì”, spettacolo di cui è regista ed interprete.
Fra gli attori più attivi della scena milanese, impegnato in diversi progetti fra cui l’evocativo e surreale “La confessione” di Adamov, replicato l’anno scorso all’Out Off, Trifirò, con l’intervista video che proponiamo, dà il via ad una serie di appuntamenti domenicali ispirati al lavoro dell’attore, alla pratica e alla formazione.
Il perché di questa scelta risiede nella volontà, la stessa di cui Peter Brook si fece a più riprese portavoce nei suoi scritti, di intendere la prassi teatrale come qualcosa di vivente, in movimento, che si rinnova con il confronto e con la conoscenza, del proprio e dell’altrui lavoro.
In questo tentativo di rendere lo “spazio teatro” vivo, accessibile e in continuo evolvere, si muove l’iniziativa lanciata in questi giorni dal Teatro Franco Parenti con l’inaugurazione di un nuovo orario per gli spettacoli, alle 18,30.
L’idea è quella di avviare una rassegna che porterà attori storici del teatro (in un orario che permette di incontrarsi, prima o dopo lo spettacolo per un tè o un aperitivo) a creare un’atmosfera stimolante in compagnia di attori, scrittori e registi per discutere aprendo la scatola scenica. Una giornata a teatro a prezzi speciali, con l’idea di avvicinare l’universo teatrale al quotidiano, e trasformando quello che a volte è un privilegio saltuario in una piacevole e meno costosa abitudine.
Dal 15 gennaio all’8 febbraio, ad esempio, al break previsto alle 17,30 seguirà “Delirio a due”, di Eugène Ionesco, con Bob Marchese e Fiorenza Brogi; poi la possibilità di fare uno spuntino prima di assistere proprio a “Piccinì”, diretto e interpretato da Trifirò alle 20,30.
“Piccinì” è l’amalgama di tre testi pirandelliani: le novelle “La carriola” e “La trappola” e il romanzo “I quaderni di Serafino Gubbio operatore”.
Trifirò, solo in scena, con una maschera facciale di impressionante mobilità espressiva, percorre l’avventura di un uomo ricco, di successo, avvocato e professore universitario, a cui tutti, studenti, clienti, familiari, chiedono d’essere saggio.
Il dramma comincia quando l’avvocato, improvvisamente, esce dalla sua forma e si vede vivere dall’esterno come un estraneo a cui non interessa più la professione. Non si riconosce nemmeno nel proprio aspetto, sdoppiamento tipico del teatro pirandelliano.
Non dissimile dall’esperienza del personaggio di “Ondine”, di cui l’intervista parla, dimidiato fra “amore etereo” e “apparenza sociale”, quella che Trifirò racconta è proprio la serie di incombenze di corte, che diventano più importanti del sentimento profondo e individuale con cui prima o poi tocca fare i conti.
Una sfida a cui l’attore stesso in fondo è chiamato quotidianamente, nella costante tensione fra il ruolo riconosciuto e appariscente, e l’impegno “grotowskiano” all’indagine più profonda e solitaria su di sé.