“È la storia di una persona che aspetta. E pensa di vita, morte ed emozioni. Se poi questi pensieri siano accaduti o meno, non lo sappiamo”. Lo descrive così Massimo Di Michele, scegliendo poche parole, Il bello degli animali è che ti vogliono bene senza chiedere niente, di cui ha curato la regia e che ha debuttato la settimana scorsa nelle Marche.
Lo spettacolo rientra nel progetto “Civitanova Casa del Teatro”, che ospita una serie di residenze per alcune selezionate giovani compagnie. Tra queste l’associazione culturale Ima®gini, composta da Massimo Di Michele, Roberto Marinelli e Cristina Gardumi, che assume una forma ufficiale solo pochi mesi fa, proprio in occasione di questo progetto.
L’Amat, l’associazione marchigiana Attività Teatrali, si conferma dunque un perspicace talent scout, sperimentando con successo già da diversi anni forme di produzione leggera per giovani compagnie promettenti, a cui viene data la possibilità di allestire uno spettacolo e di farlo circuitare qualora si rivelasse un’operazione particolarmente riuscita.
Il fatto che il progetto sia rivolto a giovani realtà non deve trarre in inganno perché, come nel caso de Ima®gini, si tratta di professionisti, capaci di garantire un’operazione di qualità e una ricerca autentica.
La scelta del testo di Rodrigo Garcia, autore, scenografo e regista argentino ma spagnolo d’adozione, è particolarmente coraggiosa. Ce lo conferma il regista Massimo Di Michele che rivela come l’idea di mettere in scena questo spettacolo l’avesse maturata già un anno fa, dopo che un teatro di Milano gli aveva chiesto una regia: “Ho letto tutti i testi di Garcia e questo è il più bello, il più profondo. Ma a Milano si sono spaventati e ne hanno proposto un altro. Allora ho detto no. Siccome non faccio il regista vero e proprio bensì l’attore, devo avere una motivazione molto forte per fare una regia. Ho poi incontrato Gilberto Santini dell’Amat, che non finirò mai di ringraziare per la fiducia, che ha dato l’ok a questo testo, anche se è forte e rischioso”.
Rodrigo Garcia è considerato in Europa uno degli esponenti più significativi del teatro contemporaneo, con uno stile che usa scuotere le coscienze mediante la provocazione. Un autore capace tanto di affollare festival internazionali quanto di sollevare discussioni e polemiche.
“Garcia fa delle cose meravigliose ma che io non farei mai – sottolinea Di Michele – Lavora molto sul disgustoso, e lo sa fare bene, ottenendo grandi risultati, ma io non ne sono capace, non è il mio registro”.
Il bello degli animali è che ti vogliono bene senza chiedere niente “è un testo difficilissimo perché non ti dà un luogo, non un tempo, non una storia ben precisa. I personaggi non si sa chi siano, né da dove vengano, non hanno un passato ma parlano sempre di presente, quindi è difficilissimo perché non ti puoi appigliare a niente”.
Il titolo è certamente ingannevole perché, in realtà, si tratta di un testo estremamente attuale che parla di morte, dignità e malattie, tanto che è impossibile non pensare ai fatti di cronaca sulle prime pagine dei giornali di questi giorni. “È un testo crudele e contemporaneo, che sostanzialmente alla fine parla di eutanasia, un tema scottante che fa subito pensare ad Eluana Englaro. È stata una sfida grande e siamo consapevoli che forse molte persone usciranno da teatro deluse dello spettacolo. Il titolo fa pensare ad una commedia, invece è uno spettacolo duro, che fa riflettere”.
Il primo passo del regista è stato quello di creare un’ambientazione ben precisa, mancante nel testo originale, che fungesse da pretesto e da contenitore per tutta l’azione. È stata scelta una sala d’attesa anonima, dove quattro persone aspettano il loro turno. Non si sa cosa cerchino, hanno in mano solo dei bagagli e un foglietto con il proprio numero. Probabilmente non si conoscono, ma si troveranno ben presto a condividere pensieri, umori, carni e disperazione perché accomunati da una storia di malattia. La frenesia nell’aspettare la propria chiamata via via salirà, scandita in scena da un crescendo in cui i discorsi diventano logorroici, quasi vomitati, i corpi si mescolano, si sporcano e il palco freddo, scarno e nudo verrà riempito di foglie gialle, di terriccio, di aghi di pino, di sassi. Di bosco.
L’elemento naturale diventa meta e metafora di una morte che liberi finalmente dalla malattia, dalla sofferenza e restituisca la dignità.
Di Michele svela come l’urgenza di raccontare questa storia sia arrivata dopo un’intuizione che l’ha come fulminato. Il testo si presenta come un flusso di coscienza dei personaggi che parlano apparentemente di tutto. Un pout-pourri di pensieri sconnessi, come messi insieme per caso. “Mi sono innamorato di questo testo perché la prima volta che l’ho letto ho pensato: è uno! È uno solo che parla. È diviso in battute distribuite tra quattro diversi personaggi, ma potrebbero essere anche sei o sette, è uguale, e ognuno parla della propria madre; ma in realtà è come se fossero uno solo. E alla fine vorrei che ogni spettatore scegliesse il ‘suo’ personaggio, quello a cui si è affezionato”.
È iniziato così un lungo percorso per tentare di amalgamare il più possibile i corpi e le voci degli attori, per farli muovere all’unisono come se fossero davvero quattro estensioni di un essere unico.
Operazione riuscita alla grande, si direbbe, perché i quattro generosi attori, pieni di carisma e molto affiatati, trascinano letteralmente lo spettatore dentro una storia cha fa passare dalle risate al groppo in gola senza capire come. Mai un calo di tensione, nemmeno durante i calibratissimi silenzi disseminati lungo tutta la pièce, attimi sospesi che sembrano preparare al peggio.
“Inizialmente abbiamo fatto un percorso emotivo e fisico – ripercorre Di Michele – Poi, dopo un po’ di tempo, ci siamo rivolti alla lettura del testo, facendo un lavoro sulla parola che è sempre fondamentale. Io non credo che i testi, anche se moderni, possano prescindere dal lavoro sulla parola. Anche se dici ‘cazzo e figa’ ogni tre minuti, questi non vanno mai buttati via, perché dietro ogni parola, anche se piccola, c’è una costruzione e una storia”.
Massimo Di Michele, attore alla quinta prova di regia, si rivela un artista sensibile ed intelligente che, pur partendo da un’estetica completamente diversa rispetto a quella di Rodrigo Garcia, ne sa cogliere l’essenza per incanalarla nel proprio registro, secondo il suo gusto. “Ho cercato di rispettare delle cose che mi sono arrivate da parte degli attori, perché poi, in realtà, ti arriva tanto di quel materiale che devi essere capace di prendere, filtrare e capire. Non è semplice, ho cercato di essere umile, anche nei confronti di un testo così grande, pieno di messaggi. Proprio per questo non vorrei che venisse fuori uno spettacolino piccolo e raffinato, perché non è proprio quello che abbiamo cercato”.
Raffinato lo è diventato, ma senz’altro lontano dal rischio d’essere confuso con uno spettacolino.
IL BELLO DEGLI ANIMALI È CHE TI VOGLIONO BENE SENZA CHIEDERE NIENTE
di Rodrigo Garcia
traduzione: Daniele Aluigi
regia: Massimo Di Michele
con: Pier Giuseppe Di Tanno, Cristina Gardumi, Roberto Marinelli e Francesco Villano
prodotto da Ima®gini in collaborazione con Amat e Teatri di Civitanova
durata: 1 h 15′
applausi del pubblico: 2′ 37″
Visto a Civitanova Marche, Teatro Cecchetti, il 16 dicembre 2008
Prima assoluta