A Chiara Lagani la traduzione dell’opera di Shakespeare, prodotta per la prima volta nella storia del Piccolo Teatro di Milano
In quanti modi si può portare in scena una storia immortale?
Dopo avere raccontato recentemente su Klp la tristissima storia di “Romeo e Giulietta” che, nello spettacolo di Michelangelo Campanale, contrapponeva due famiglie, quella rumena di Romeo e quella italiana di Giulietta, proveremo ora ad approfondire la visione che abbiamo avuto del famoso dramma di Shakespeare operata invece da Mario Martone, per la prima volta coinvolto a Milano per una regia dal Piccolo Teatro.
Ma non è l’unica particolarità di questa messinscena perché – seppure paia strano – è la prima volta che il testo viene prodotto nei 75 anni di storia del teatro milanese.
Questa versione della celebre tragedia scespiriana, tradotta per l’occasione da Chiara Lagani, drammaturga, attrice e regista della compagnia Fanny & Alexander, è una creazione di grande respiro, che vede protagonisti quasi una trentina di attori, soprattutto giovani, la maggior parte dei quali provenienti dalla scuola del Piccolo, a cui sono affiancati alcuni artisti da tempo sulla scena. Per lo più giovani quindi (l’età media non supera i trent’anni), perché per il regista napoletano la storia immortale dei due amanti che muoiono per amore non è uno scontro tra due Paesi lontani come lo era per Campanale, ma è innanzitutto la tragedia di una gioventù che viene sacrificata e portata alla morte dagli adulti.
Francesco Gheghi (Romeo) ha 20 anni, Anita Serafini (Giulietta) ne ha solo 16: sono loro i principali interpreti dello spettacolo di Martone, e vivono la loro storia all’ombra di un grande albero. Martone ha infatti desiderato sul palco un “bosco-mondo” che invade la scena, firmata da Margherita Palli. Tra le sue fronde e i suoi rami, capaci di biforcarsi in ogni direzione, ma segnatamente verso il basso, creando scalette, passatoie e anfratti, si svolge tutta la celebre vicenda, sotto un cielo dagli umori cangianti, inclusi violenti scrosci di pioggia.
Ed è là, verso il basso, all’ombra di quest’albero, che i giovani, in una specie di campo desolato, tra carcasse di automobili, consumano le proprie giornate, contraddistinti dalla rabbia per non riuscire a far davvero parte del mondo, mentre i vecchi trascorrono i giorni disinteressandosi dei loro destini.
Proprio all’ombra del grande albero, mentre – con effetti cinematografici – arriveranno polizia e ambulanza, quei giovani corpi testimonieranno, alla fine, la sconfitta degli adulti.
E non è un caso che, insieme ai loro corpi, il regista napoletano abbia voluto anche quelli di Mercuzio, Paride e Tebaldo, morti nel fiore dell’età per colpa di una società che vede gli adulti sempre in guerra tra loro, come del resto succede anche oggi, con migliaia di inesperti soldati mandati a morire per nulla.
Nello spettacolo, metaforicamente, adulti e giovani vivono sempre contrapposti, esprimendosi anche diversamente: i primi utilizzando un linguaggio quotidiano, violento e insensibile, perfino volgare; i secondi riempiendosi la bocca, a volte con difficoltà, dell’intatta poesia scespiriana.
Michele Di Mauro disegna così un Capuleti arrogante e cafone, mentre Lucrezia Guidone è una madre Capuleti che sta sempre dalla parte del marito; anche i genitori di Romeo non ne comprendono mai gli umori e le debolezze.
Frate Lorenzo (Gabriele Benedetti) è un agricoltore un po’ fricchettone che inventa sempre nuovi intrugli che non riesce mai bene a calibrare e, come la stessa nutrice zia Angelica (una Licia Lanera davvero in parte, che porta in scena la sua vitale baldanza), accettano il matrimonio di Giulietta con Paride come inevitabile, mentre il Mercuzio innamorato della vita (l’efficace Alessandro Bay Rossi) muore maledicendo tutti gli adulti, colpevoli del suo martirio.
Il grande albero che invade la scena a volte forse sacrifica un po’ le azioni degli interpreti, mentre la rappresentazione della gioventù si rivela a tratti di maniera, con qualche stereotipo contemporaneo (come l’immancabile tampone per il Covid), che forse si sarebbe potuto evitare. Perché in fondo la vitalità di questi ragazzi, l’odio reciproco dei rampolli di Montecchi e Capuleti, è già insita pienamente nell’opera scespiriana, e non avrebbe bisogno di ulteriori prevedibili caratterizzazioni: dal look (jeans, felpe, maglietta dei Nirvana, anfibi…) all’orchestrina rock, fino al convenzionale riferimento alle lotte tra gang.
Tuttavia, nel complesso, Martone confeziona uno spettacolo imponente e ben orchestrato, capace di catturare l’emozione degli spettatori per quasi tre ore filate, garantendo sold out e un pubblico che, per più di un mese, ha sempre riempito la capace sala del Teatro Strehler testimoniando un successo crescente.
Forse perché, diciamolo pure, in qualsiasi modo il nostro Bardo viene miscelato, contaminato o capovolto, alla lunga vince sempre.
Romeo e Giulietta
di William Shakespeare
traduzione Chiara Lagani
adattamento e regia Mario Martone
scene Margherita Palli
costumi Giada Masi
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
video Alessandro Papa
regista assistente Raffaele Di Florio
assistente alla regia Michele Bottini, Giulia Sangiorgio
casting Paola Rota
Interpreti:
Alessandro Bay Rossi
Emanuele Maria di Stefano
Benedetto Sicca
Alice Torriani
Francesco Gheghi
Edoardo Sabato*
Federico Rubino
Libero Renzi
Michele Di Mauro
Lucrezia Guidone
Anita Serafini
Leonardo Castellani
Raffaele Di Florio
Licia Lanera
Jozef Gjiura
Francesco Nigrelli
Clara Bortolotti*
Gabriele Benedetti
Carlo Cecchi (voce registrata)
Giuseppe Benvegna, Giada Ciabini*, Carmelo Crisafulli, Cecilia Fabris*, Hagiar Ibrahim, Ion Donà*, Sofia Amber Redway*, Caterina Sanvi*, Simone Severini
*allievi del corso Claudia Giannotti della Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano
musicisti: Leonardo Arena, Francesco Chiapperini, Giacomo Gagliardini
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
foto di scena Masiar Pasquali
durata: 3 ore più intervallo
Visto a Milano, Piccolo Teatro, il 26 marzo 2023