Non è la prima volta che Claudio Autelli sceglie un testo di Shakespeare, e non è la prima volta che la mano di questo giovane regista riesce a ridurre la mole shakespeariana in una drammaturgia essenziale, funzionale alla vita dei personaggi, e cucita addosso alla loro natura umana.
I “Romeo e Giulietta” in scena al Teatro Litta di Milano fino al 31 dicembre, infatti, non sono i due eroi protagonisti di una delle storie d’amore più popolari di sempre, e nemmeno l’ideale dell’amore assoluto, bensì due adolescenti normali e diversi, ognuno con il suo tratto, peculiare e distinguibile, che dà forma e li rende personaggi più “evidenti” (in soccorso al calo di tensione che ogni tanto colpisce lo spettatore).
La co-protagonista è una “ragazzina” descritta, sin dalla prime battute, come giovane, e vergine soprattutto, ed è esaltata, più che per bellezza fisica, per il suo modo di essere, assolutamente affabile. Non a caso, del testo shakespeariano resistono i passi in cui si descrive esattamente così la giovane Giulietta: “Lei ha la mente di Diana”, riferito al mito della giovane (e vergine) divinità della caccia che, in nome di Amore, aveva fatto voto di castità. “Non apre il grembo” e infatti la scena si sviluppa proprio a partire da due enormi gonnelloni che coprono tutto, come le vecchie gonne con l’armatura sotto al tessuto. Queste, però, nascondono non semplici stecche rigide, ma vere e proprie barriere di ferro, in pratica gabbie, che ospitano la camera di Giulietta, poi la cappella per gli sposi, a seguire l’esilio di Romeo, il sepolcro di entrambi e così via. Ma sempre gabbie sono. Troppo scontato tradurle come gli “arresti domiciliari” a cui sono costretti i due giovani innamorati. Semmai “ingabbiati” sono Romeo e Giulietta, mentre aspettano di liberare il loro amore.
Particolarmente bloccata, poi, è la sessualità di Giulietta, il suo desiderio, ma niente di più rispetto al turbamento che proverebbe qualsiasi altra sua coetanea che, del resto, è vestita come lei: minigonna/tutù compresa.
Altra frase salvata è la celebre “Il mio cuore, come il mare, non ha limiti e il mio amore è profondo quanto il mare: più a te ne concedo più ne possiedo, perché l’uno e l’altro sono infiniti”. E la “forma” di questa Giulietta non fa che esaltare il messaggio, ovvero che il suo cuore è traboccante di un amore puro, giovane e sano, quindi naturalmente fecondo, sia nel senso di costruttivo, che nel senso più stretto di “prolifico”. Insomma, qualcosa di ben lontano da un amore platonico; al contrario, i due ragazzi sono attratti fin da subito da un sentimento terreno, che non trascende la sessualità, anzi.
Non è certo un’attrazione intellettuale frutto di una lunga conoscenza o condivisione che lega i due, fulminati invece al primo sguardo. Primo e quasi unico addirittura, come fin troppo noto. Ecco il motivo e il nutrimento di una passione tanto intensa: tende all’infinito perché si basa su tutti i piaceri che i due innamorati nemmeno hanno vissuto. È il desiderio da liberare, il gonnellone di Giulietta.
Come i due innamorati, anche gli altri personaggi risaltano in quanto a carattere, per non dire che risultano addirittura esuberanti: Donna Capuleti è un uomo; la Nutrice e Frate Lorenzo sono interpretati non solo dallo stesso attore, ma dallo steso personaggio che, ribaltando la lunga barba, acquista lunghi capelli; e ancora Mercuzio, sopra le righe esattamente come l’originale del testo (tanto che la sua morte precoce sarebbe stata inserita da Shakespeare che altrimenti non avrebbe saputo “come finire” il personaggio).
Tra loro, l’unico neo è in Romeo che, nonostante la buona volontà di un Francesco Meola particolarmente cresciuto, non arriva in alto.
Altri dubbi riguardano il finale che, per rappresentare la conclusione di un amore non vissuto, ricorre all’immagine di naufragi alla deriva. O almeno questo sembrano, visto che la scena è, come sempre quando solo i due sono sul palco, buia. Unica soluzione, il chiaro dei neon. Luce fredda per definizione, acquista calore in un solo istante: quando i due si parlano e, al posto del famoso balcone, a distanziarli c’è un gioco di prestigio che fa apparire braccia o solo mani dall’oscurità, attraverso l’alternarsi buio/luce sul botta/risposta. Freddo è però senz’altro il finale, con lo stop improvviso della musica.
Per qualche spettatore, un brusco risveglio.
Romeo e Giulietta
di William Shakespeare
adattamento e regia: Claudio Autelli
con: Francesco Meola, Andrea Pinna, Camillo Rossi Barattini, Michele Schiano di Cola, Giulia Viana
scene e costumi: Maria Paola Di Francesco
sound designer: Stefano De Ponti
luci: Luigi Biondi
produzione: Fondazione Pontedera Teatro e LITTA_produzioni
durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 2′ 15”
Visto a Milano, Teatro Litta, il 23 dicembre 2011