Rosella di Egidia Bruno: equilibrismi esistenziali tra città e periferia

Egidia Bruno in Rosella (photo: Vincenzo Vecchione)
Egidia Bruno in Rosella (photo: Vincenzo Vecchione)

Dalla provincia alla città e ritorno. Il Sud come mitologia sognante e sofferta; il Nord come «illusione ottica» (Giorgio Morandi) capace di conquistare l’opinione pubblica e di dare ali all’euforia del dopoguerra.
Il dualismo tra la babele cittadina e uno sfibrato idillio paesano caratterizza “Rosella”, monologo teatrale scritto con Alberto Saibene, che Egidia Bruno ha portato in scena in prima assoluta alla Fondazione ICA (Istituto Contemporaneo per le Arti) di Milano nell’ambito della rassegna “Stanze”.
Stanze”, produzione Teatro Alkaest, ideazione e realizzazione di Alberica Archinto e Rossella Tansini, è un progetto di esperienze di teatro d’appartamento giunto alla nona edizione. Le norme anti Covid hanno costretto alla ricerca di spazi più dilatati in questo 2021, per garantire il distanziamento e aumentare la capienza degli spettatori.

“Rosella” è la storia di una giovane donna partita dalla Basilicata negli anni Sessanta e approdata nella Milano del Boom economico. Con le luci e i suoni di Vincenzo Vecchione, con le immagini dell’Archivio Cesare Colombo, Annibale Bruno, Franco Piavoli e Zefiro Film a scandire (a volte in modo didascalico) il testo, entriamo nel cuore di un’utopia intramontabile: quella della grande città.
Seguiamo Rosella con la sua voglia di crescere, tra rimpianti e nostalgie, dentro un riscatto che è anche di genere, se è vero che qui si lambiscono tematiche legate all’emancipazione femminile. Rosella, i suoi sogni fra libri e amori. Rosella fragile e risoluta fra grattacieli e scale mobili, indipendente e smarrita in quella nebbia lattiginosa che si sarebbe potuta tagliare con il coltello.
È inevitabile il dualismo tra periferia e città in un meridionale al Nord. È la dialettica tra l’ingenuità dell’essere e il labirinto dell’avere. Stanno di fronte la civiltà arcaica di partenza e la dimensione avveniristica d’approdo. Occorre orientarsi: la città è luogo di libertà ma anche dedalo d’intrighi, groviglio di solitudini e alienazione.
La Lucania qui non è mondo astratto e surreale: è il Sud reale con i suoi problemi, i suoi contadini e i suoi emigrati. È fermento d’intelligenza, passione e creatività.
Contrapposto al mondo paesano si staglia l’universo cittadino. Milano rappresenta la formazione, il lavoro, l’allargamento a una dimensione europea.

Potrebbe essere una vicenda d’emigrazione come tante. Con il senso di un’identità da costruire. Con il bisogno di luoghi in cui riconoscersi. Con la ricerca incessante di una dimensione in cui mettere radici. E invece Egidia Bruno, forte del metodo Stanislavskij che permea la sua recitazione icastica, trasferisce sulla scena il valore aggiunto della propria identità: che è proprio quella di una donna del Sud che vive da qualche decennio a Milano. Per lei, per noi, il tempo scorre inesorabile, portandosi via proiezioni, esperienze, affetti. La narrazione infierisce, scopre i nodi irrisolti, affonda nei nervi scoperti.

Il racconto si articola su tre diversi piani temporali: il presente della narrazione, il passato recente, il passato più lontano dell’infanzia. Questi tre piani, però, non sono distinti. Al contrario, si intrecciano e creano un racconto movimentato in cui si ha il continuo passaggio da un livello all’altro. L’aspetto più evidente del racconto corrisponde proprio a questo dinamismo. La narrazione in soggettiva non è dunque condotta lungo una sola linea temporale, ma nasce dall’accostamento di blocchi che si sovrappongono e intersecano.
Il filo narrativo procede essenziale e rapido: le frasi sono semplici e ricalcano le movenze del parlato, con inframmezzi in dialetto lucano, aspetto nel quale l’attrice non indugia, mantenendosi distante da esasperazioni iperrealistiche. Il registro linguistico si fa più complesso, sofisticato, di pari passo con l’evoluzione socioculturale della protagonista. Non mancano momenti di dialogo diretto e immediato con lo spettatore, così come richiami alla canzone d’autore, che puntellano la cronologia della storia ed esaltano le qualità canore di Egidia Bruno.
I numerosi nomi propri di persone e luoghi sottolineano l’appartenenza di Rosella agli spazi in cui vive e si muove, come se volesse creare uno sfondo familiare favorevole alla ricerca della propria identità.
Aleggia il desiderio di ricongiungersi con la terra d’origine. Convivono sentimenti contrastanti. Il ritorno sembra possibile. D’altra parte, Rosella si scontra con la difficoltà di recuperare le proprie origini e ammettere che le cose cambiano: le stesse persone cui sono legati i nostri ricordi più belli ci lasciano per sempre.

Ci resta quel senso di sospensione e sradicamento: con la difficoltà di Rosella di ritrovare se stessa; con il nostro bisogno irrisolto di dare significato a scelte che più sono reversibili, più paiono cristallizzarsi.

ROSELLA
di Alberto Saibene e Egidia Bruno
con Egidia Bruno
luci e suoni di Vincenzo Vecchione
per le immagini si ringraziano: Archivio Cesare Colombo (Milano), Annibale Bruno, Franco Piavoli / Zefiro Film

durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Fondazione ICA (Istituto Contemporaneo per le Arti), l’1 giugno 2021
Prima assoluta

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