Il Medioevo di Rosvita nelle atmosfere di Ermanna Montanari

Ermanna Montanari
Ermanna Montanari
Ermanna Montanari in ‘Rosvita’ (photo: Claire Pasquier)

È una lettura-concerto, lo spettacolo del Teatro delle Albe. Ermanna Montanari, già premio Ubu nel ‘97 grazie a una prima versione di questo lavoro, torna ad aprire il polveroso grimorio che contiene tutte le formule magiche di un estro incontrollato: quello di Rosvita di Gandersheim, la prima drammaturga di cui si abbia notizia in Occidente.

Si parla di prima dell’anno Mille, quando a scrivere – e in definitiva a parlare – erano solo gli uomini; si parla dei “secoli bui” in cui le donne non erano altro che “sacchi di escrementi” e “porte del Diavolo”. Visioni, insomma, tutt’altro che moderne circa le potenzialità del “sesso debole”. Un po’ come Artemisia Gentileschi per la pittura, ecco che, a cavallo di un’intraprendenza rara, dal buio del silenzio arriva la canonichessa Rosvita, simbolo teutonico di emancipazione.

Certo, non che si potesse sperare in chissà quale rivoluzione dei costumi, tant’è che i drammi della “pulzella di Gandersheim” parlavano più che altro di redenzione, di esseri umani miserabili intenti a rotolarsi nel fango dei peccati con la speranza di cacciar fuori almeno il muso, in attesa del giudizio divino. Eppure ascoltare certi versi arrabbiati avendo sotto gli occhi la data di scadenza – che risale intorno al 900 d.C. – ci riempie di meraviglia, di eccitazione, di interesse.

Gran parte del merito va probabilmente all’idea della lettura. Perché drammatizzare certe elucubrazioni morali degne di Sant’Agostino e dar corpo e spazio a un periodo storico sepolto da millenni di (presunto) progresso, sarebbe stato sforzo inutile o velleità fine a se stessa. Montanari sceglie l’apnea del reading per gettarsi a capofitto in un oceano di racconti, suggestioni e rimandi, in acque buie che celano sorte avversa e spire di dannazione, in meandri melmosi in cui la bassezza umana sguazza meravigliosamente.

Su una pedana dal bordo illuminato a neon, magia di sospensione in un buio mai completo, volutamente trasparente, illuminata da un piazzato di soli tagli, Ermanna Montanari si manifesta esperta nell’incedere e disinvolta nel vestire. Ad aprire le sue danze fonetiche, tre corpi femminili in abiti neutri, che fungono solo da cristalline casse di risonanza per un canto gregoriano che ci accompagnerà fino alla fine, discreto ma impossibile da non ascoltare, ipnotico e atemporale. Le tre giovani sirene (Cinzia Dezi, Michela Marangoni, Laura Redaelli) prenderanno posto in rispettivi piedistalli geometricamente rigorosi, parallelepipedi che sanno di monolito. Il resto, immersa nella penombra continua, scandita dai titoli proiettati bianco-su-nero, stretta ad angoli acuti dalle graffianti musiche di Davide Sacco, sarà una voce che è una, nessuna, ma soprattutto centomila.

Montanari non muove un passo, si pianta di fronte al leggio scintillante ed esegue una spietata autopsia delle proprie capacità vocali, che dimostrano poteri davvero sbalorditivi.

E allora ecco che, da presenza solitaria ed eterea, l’attrice si scompone in molteplici personaggi, dal frate laido al prefetto spietato, dalle martiri ai carnefici, da voce interna a dialogo diretto. È un prisma, il suo, dai riflessi potenzialmente infiniti. A scandirne il ritmo solo il canto delle sirene gregoriane e l’incedere, in sopratitolo, dei paragrafi di un libro che, tra versi e riflessioni, dimostra di non avere tempo. La “Lettera ai Dotti” che funge da prologo è una sottilissima scaramuccia giocata con lo stiletto dell’ironia, così come dissacrante e agrodolce è il passaggio della “Conversione di Taide”. “Intermezzo di stelle” è poesia inarrivabile, così come “Maria, stella del mare” ci leva il fiato stringendo poco a poco un nodo alla gola.

E usciamo piano, con la sensazione che, anche laddove il tutto risulta a volte galleggiante in un tempo non sempre misurato (forse unica debolezza d’allestimento), resta palpabile il senso di un’attentissima ricerca filologica, che recupera le ceneri di un pensiero antico da proporre poi in chiave poetica con raro rigore stilistico.

ROSVITA
di Ermanna Montanari
regia: Marco Martinelli
produzione: Teatro delle Albe, Ravenna Teatro in collaborazione con Ravenna Festival e deSidera Bergamo Teatro Festival
interpreti: Ermanna Montanari, Cinzia Dezi, Michela Marangoni,Laura Redaelli
spazio-luce: Enrico Isola, Ermanna Montanari, Claire Pasquier
musiche: Davide Sacco
durata: 1 h 15’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Roma, Teatro India, il 9 maggio 2009

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