La XIX edizione del festival Opera Prima si svolgerà tra il 15 e il 18 giugno con Motus, Sosta Palmizi, Qui e Ora e Michele Sambin. Prologo in questo weekend, con uno spettacolo sulla guerra curato dal Teatro del Lemming
«Opera Prima nasce negli anni Novanta a Rovigo per volontà della nostra compagnia. Nasce in una piccola città veneta ai confini dell’impero. Ci chiedevamo se esistessero altre realtà come la nostra dedite alla sperimentazione teatrale. In effetti fummo sommersi, alla presentazione del primo bando, da centinaia di proposte che allora ci pervenivano attraverso le videocassette».
Per raccontare Opera Prima, festival polesano di teatro giunto alla XIX edizione, il direttore artistico Massimo Munaro parte dagli albori. E sceglie parole dal sapore mitologico.
Dal 15 al 18 giugno (con un prologo da venerdì 9 a domenica 11) il teatro invaderà le piazze e le strade di Rovigo.
Rovigo, tranquilla cittadina di 50mila abitanti a una manciata di chilometri dal Delta del Po, è sede del Teatro del Lemming. Munaro, compositore, regista e attore, ne è l’anima dal 1987. Il 1994 è invece la data della prima edizione del festival, più volte interrotto a causa di un sostegno altalenante delle istituzioni. Fino a ritrovare continuità dal 2018.
Massimo Munaro, che tipo di proposte vi arrivavano nei primi anni?
Erano quelle della nuova generazione dei gruppi degli anni Novanta. Anche attraverso il nostro festival, emerse la generazione che si autoproclamò dei Teatri Invisibili. Artisti come Ascanio Celestini, Roberto Latini, Fanny & Alexander. Compagnie come Motus, Teatrino Clandestino, Masque, Teatro delle Ariette.
Siete ripartiti nel 2018.
Ci siamo dati prospettive diverse. Intanto quella di creare un ponte fra le generazioni del teatro. Come negli anni Novanta, anche cinque anni fa ci pareva che un’intera leva di teatranti si sentisse esclusa dalla scena teatrale e dal sostegno ministeriale. Il passaggio di testimone pareva bloccarsi. Vecchie e nuove generazioni sembravano incapaci di dialogare.
Come siete intervenuti?
Ogni anno invitiamo quattro compagnie, artisti anche di differenti generazioni che si sono affermati come maestri della scena. A volte si tratta di personaggi che, malgrado la qualità del loro lavoro, sono rimasti poco visibili. Presentano i loro spettacoli, ma allo stesso tempo ci segnalano degli artisti emergenti.
In più è previsto un bando.
Lo abbiamo aperto non solo alla scena italiana, ma anche a quella internazionale. In fondo sappiamo poco della scena europea, al di là di quanto gira nei grandi festival e nei grandi teatri. Quest’anno ci sono arrivate 700 proposte da tutto il mondo. E’ un compito affascinante, ma anche gravoso, selezionare da questa mole di materiale quattro o cinque proposte inedite in Italia.
Opera Prima è una vetrina interessante anche per gli operatori.
Molte nostre proposte vengono poi programmate in altre rassegne. Il ruolo di un festival dev’essere anche questo.
Parliamo dell’anteprima, che tra il 9 e l’11 giugno vedrà protagonista proprio il Teatro del Lemming insieme alla compagnia italo-tedesca Welcome Project.
Lo scopo è di presentare il nostro nuovo progetto produttivo in un momento in cui siamo relativamente liberi dalla macchina organizzativa del festival. Sarà anche un’occasione di preparazione della città agli eventi che si succederanno dal 15 al 18.
Il vostro nuovo spettacolo s’intitola “Attorno a Troia_ILIO uno studio”.
È il primo movimento di un ciclo di lavori intorno ai temi dello smarrimento, dell’esilio e della distruzione. Sono argomenti che stanno all’origine della civiltà umana. Ora sono tornati tristemente di moda. “ILIO uno studio” nasce da un lungo percorso laboratoriale che ha coinvolto inizialmente un centinaio di ragazzi ed è giunto a compimento con dieci attori.
Con quale esito?
Meditiamo sulla guerra senza coordinate temporali. Siamo contemporaneamente Achei lanciati alla distruzione della città e Troiani alla deriva. Sovrapponiamo in controluce il volto del conquistatore e quello dello sconfitto. Questi ruoli antitetici di aggressori e vittime convivono sempre di più nella storia. Pensiamo alle guerre, ma anche alla pandemia o alla distruzione del pianeta.
E noi restiamo a guardare.
Proprio per questo in “ILIO” mettiamo lo spettatore al centro della scena in mezzo a due palchi. Dentro un conflitto che esplode da fronti contrapposti. È impossibile decidere da che parte stare. Ogni guerra è insensata. La guerra è una cieca e terribile forza che ci fa sentire vittime e carnefici nella mimetica uguaglianza della violenza.
Omero cantava sia gli eroi greci, sia gli eroi troiani.
Io sono figlio di una generazione che ha creduto che la guerra potesse e dovesse diventare un tabù per la nostra civiltà. E invece oggi sembra un’utopia crollata nella polvere di fronte al risorgere dei nazionalismi, e il possibile uso di armi atomiche non suscita più un immediato e naturale terrore. Persino il dirsi pacifisti sembra condannato e liquidato come “intelligenza con il nemico”, con buona pace di Omero che fece del troiano Ettore l’eroe più valoroso del grande poema greco. Dovremmo sentirci anche noi eredi di questo equilibrio tra le ragioni contrapposte dei belligeranti, se vogliamo salvare la nostra civiltà.
Arriviamo al festival.
Dal 15 al 18 giugno Opera Prima invaderà gli spazi all’aperto e i teatri, quelli storici e quelli spesso chiusi durante l’anno, che noi cerchiamo di riaprire per rivitalizzare la città.
E Rovigo come reagisce?
Il tentativo è di trasformarla in una cittadella del teatro. Concentriamo 28 eventi in quattro giorni. Abbiamo invitato quattro compagnie storiche. Michele Sambin presenta “Il tempo consuma 1978/2023”. È un lavoro ripensato dopo quasi mezzo secolo dal debutto, in dialogo con le stesse età dell’artista. Sambin ci ha segnalato Ludovica Manzo, che insieme a Loredana Antonelli presenta “Serpentine”, sperimentazione sul linguaggio della musica e dei video.
Dopo trent’anni tornano a Opera Prima anche i Motus.
Portano al Chiostro degli Olivetani “Of the nightingale I envy the fate (Dell’usignolo invidio la sorte)”, ispirato a Cassandra.
Un altro ritorno è Sosta Palmizi.
“Vertigine della Lista”, in sodalizio con Qui e Ora Residenza teatrale, è una drammaturgia che potremmo definire postmoderna. Poi abbiamo Paola Bianchi e Valentina Bravetti con “Brave”, interessante lavoro sulla fragilità dei corpi.
E per quanto riguarda invece le nuove proposte?
Segnaliamo Danielle Huyghe, coreografa belga con “Into the blue”. Poi Roland Géczy, giovane danzatore ungherese con “Dunajna”. “Fiction” di Annabelle Dvir-Women of sounds ensemble, israeliana e georgiana, è un lavoro di un’energia strepitosa. La sola artista italiana di questa sezione è Caterina Marino con “Still alive”.
Ci sono anche tanti eventi laterali.
L’idea è soprattutto quella di una grande festa, che si concluderà domenica 18 ai Giardini due Torri con Dustin O’Halloran e il suo concerto “Silfur”. Ogni giorno c’è il dopo festival. Gli artisti si ritrovano a mangiare in un luogo centrale della città. Festeggeremo insieme agli spettatori con musica dal vivo. Saranno presenti Dodicianni, R.Y.F. (artista segnalata dai Motus) e Marmaja, un gruppo storico della città.
Sono giorni di grande fermento.
Non vediamo l’ora di dare inizio alla festa!