Identità e coraggio nel Ruy Blas de Il Mulino di Amleto

Ruy Blas de Il Mulino di Amleto (photo: Manuela Giusto)
Ruy Blas de Il Mulino di Amleto (photo: Manuela Giusto)

Dal dramma di Victor Hugo, l’adattamento di Marco Lorenzi per un classico più attuale che mai

Nella Spagna assolutista del XVII secolo lo Stato è sull’orlo della crisi, la società è alla deriva, vendetta e corruzione imperversano in un clima di crescente decadenza. Sullo sfondo di una progressiva dissoluzione della civiltà, ormai al collasso, il concetto di identità è messo fortemente in discussione: chi sono io? Sono il mio nome? Sono il mio ruolo sociale? Sono le mie azioni? Sono tutto questo assieme?
Domande complesse, scomode, che non trovano risposte immediate, ma che aprono una riflessione profonda sul dramma esistenziale che ha condizionato l’uomo fin dalle sue origini.
E’ su questa dorsale psicologica che Il Mulino di Amleto, compagnia vincitrice del Premio della Critica ANCT 2021, ha orientato la propria rilettura del “Ruy Blas”, capolavoro di Victor Hugo rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1838, e riproposto a Torino nella chiesa sconsacrata di San Pietro in Vincoli, nell’ambito della stagione di Fertili Terreni Teatro.

Diretto da Marco Lorenzi, l’ensemble torinese penetra nel nucleo centrale del testo ottocentesco e restituisce al pubblico tutta la contemporaneità di un’opera incentrata sul significato e sul valore dell’identità e del coraggio.
Non c’è nulla di superfluo, non ci sono orpelli, tutto è asciugato e reso pulito, fruibile. La scena è affidata solo alla complessità della parola, alla voracità delle emozioni e agli attori che animano lo spazio con corpi e voci. Perché questo “Ruy Blas. Quattro quadri sull’identità e il coraggio” è soprattutto un progetto di ricerca teatrale, una felice operazione di pratica attoriale in purezza, che parla alle nostre coscienze e le scuote dal solito torpore con una delle domande più tortuose di sempre: chi sono io? Ossia: sono ciò che sono per nascita, famiglia, cognome, ruolo, appartenenza sociale o sono ciò che sono per le azioni che compio su questa terra? Attorno a questo fulcro concettuale Lorenzi costruisce una regia intelligente, che inserisce l’opera di Hugo nel presente e nella direzione di una costruzione teatrale tesa a intercettare nuovi modi di vivere sulla scena e di interagire con gli spettatori.

Quattro quadri, quattro capitoli in cui viene frammentata la narrazione, che prende il via dopo un prologo/flashback recitato dalla dama di compagnia della regina, e procede con il susseguirsi di una serie di azioni incalzanti. La storia vede un alto funzionario della corte spagnola tessere una vendetta ai danni della sovrana che lo ha costretto all’esilio. Con uno stratagemma scambia l’identità del proprio servo, Ruy Blas, con quella del nobile Don Cesare e lo introduce a corte.
Il giovane, ignaro dell’inganno, si trova a ricoprire un ruolo e un nome non suoi, riuscendo a utilizzare al meglio le proprie qualità e ad avvicinarsi alla regina di cui è innamorato da tempo.

Tutto è giocato su un raffinato processo di spoliazione. Non ci sono costumi. Non c’è scenografia, all’infuori di uno schermo sul fondale che proietta i titoli dei quadri e i visi degli attori immersi sott’acqua e che, all’occorrenza, si trasforma nella tavola a cui siedono i ministri di corte per spartirsi il Paese. Non ci sono oggetti di scena, solo piccoli segni che diventano cifra e stile.
Tutto si svolge all’interno di un quadrato bianco delimitato da sottili luci al neon e, attorno al quale, è disposto a ferro di cavallo il pubblico. Ecco allora azzerarsi anche la distanza spaziale: gli attori siedono tra gli spettatori e li coinvolgono attivamente in un paio di occasioni, inserendoli nel cuore dell’azione, all’interno della storia, della recitazione. Ogni scelta pare dettata dalla volontà ostinata di spogliare gli interpreti di qualsiasi artificio per metterli a nudo (come è costretto a fare Ruy Blas) di fronte alla platea, e consentir loro di trovare con coraggio la propria intima e sincera identità dello stare in scena.

Funzionali ed efficaci alcune scelte registiche come vestire la regina con scarpe da tennis e maglietta dei Queen, o dotare Don Sallustio di uno smartphone da cui non si separa mai, sospendere la narrazione per cedere il passo a intermezzi canori in spagnolo, far creare rumori e suoni indistinti agli attori grazie all’uso di un microfono, o chiudere lo spettacolo sulle note della meravigliosa “Into my arms” di Nick Cave. Agganci al contemporaneo per una storia classica più attuale che mai.

Bravi gli attori – Barbara Mazzi (bella la sua frizzante vitalità, che la accompagna tanto nei momenti fanciulleschi quanto nelle scene più furiose), Angelo Tronca, Alba Maria Porto, Yuri D’Agostino, Rebecca Rossetti, Francesco Gargiulo – che si appropriano di un lessico desueto, di una sintassi articolata, fuori ormai dal nostro tempo, di un fraseggio in rima e in versi e lo consegnano al pubblico con una grazia e una leggerezza tale da trasformarlo in un linguaggio quasi colloquiale che ne svela tutta la bellezza.
In un gioco di travestimenti, di specchi, di duelli, di identità perdute, simulate e ritrovate, gli attori si muovono in modo concitato all’interno dello spazio scenico, sorretti da una regia che li rende al contempo liberi, compartecipi e vigili.

Vincitore del Premio SIAE Sillumina 2016, “Ruy Blas. Quattro quadri sull’identità e il coraggio” continua a vivere sui palchi italiani e, nonostante sia trascorso qualche anno, dopo il quale la compagnia si è impegnata nell’intensa lettura del “Platonov” di Čechov (vincitore del nostro Last Seen 2018), nella vicenda familiare di “Senza Famiglia” e nel complesso “Festen” di Vinterberg, Il Mulino di Amleto torna a raccontarci un dramma emozionante in cui politica, amore e bisogno di appartenenza si intrecciano.

RUY BLAS. Quattro quadri sull’identità e il coraggio
adattamento dall’opera Ruy Blas di Victor Hugo
regia, traduzione e adattamento di Marco Lorenzi
con Yuri D’Agostino, Francesco Gargiulo, Barbara Mazzi, Rebecca Rossetti, Alba Maria Porto, Angelo Tronca
visual concept Eleonora Diana
foto di scena Alessandro Salvatore e Manuela Giusto
distribuzione Valentina Pollani
uno spettacolo de Il Mulino di Amleto, produzione ACTI Teatri Indipendenti
con il supporto dell’Alliance Française di Torino
e della Residenza Multidisciplinare Arte Transitiva a cura di Stalker Teatro/Officine Caos
con il contributo e vincitore di SIAE – Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura 2016
un ringraziamento a Fondazione TPE

durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 3′

Visto a Torino, San Pietro in Vincoli, il 23 gennaio 2022

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