Al Teatros del Canal di Madrid la compagnia belga fondata da Gabriela Carrizo e Franck Chartier fa sold out. E questa settimana arriva a Torino
Madrid è la città spagnola con il maggior numero di teatri e uno dei centri di riferimento delle arti performative contemporanee.
Una tra le più singolari realtà teatrali è sicuramente il Microteatro, dove ogni sera vengono presentate una decina di performance di 15 minuti ciascuna, per 15 spettatori, in meno di 15 mq. Tutte le opere, benché possano essere tra loro differenti, ruotano attorno ad uno stesso tema, che cambia ogni mese.
Dal micro passiamo alla macro-realtà del Teatros del Canal, una vera istituzione a Madrid. Sotto la direzione artistica di Blanca Li, il teatro comprende quattro sale e un centro coreografico.
Non sono molti gli spazi moderni e tecnologicamente capaci di ospitare di tutto, dai montaggi più semplici alle produzioni artistiche più complesse, e il Teatros del Canal è stato fondato con l’intento di soddisfare l’esigenza di uno spazio d’élite in una città di riferimento progressista in Europa. Un imponente edificio moderno, realizzato dall’architetto Juan Navarro Baldeweg, che ha ricevuto il premio di Architettura della Biennale Spagnola per “eccellenza architettonica e urbana, contenuto culturale e poetica dello spazio”.
Qui i Peeping Tom sono praticamente di casa, e in questa occasione li attendiamo nella sala rossa, completamente sold out.
La carcassa di un veliero, di cui vediamo solo la poppa, giace tra i ghiacciai dell’Antartide, per la precisione nell’isola di Deception, luogo a cui corrispondono le coordinate geografiche del titolo. Alcuni superstiti lottano contro gli agenti atmosferici nel dimenarsi della barca, cercando di sopravvivere. Qualcuno pesca con una canna che si agita al ritmo delle note classiche in sottofondo, come se fosse l’arco di un violino, un bambino di otto o nove anni penzola da un bordo, cadendo infine nell’acqua, una donna rimbalza da una parte all’altra della barca in una personalissima danza e un anziano con barba e capelli bianchi si sorregge ad un tavolino.
Cosa è successo? Sono vittime di un insolito evento atmosferico? Si sono forse perduti?
La performance inizia con gli elementi usuali che caratterizzano i lavori di Peeping Tom: atmosfera surreale e onirica, musica classica coinvolgente, scenografia tanto curata da trasformare la scena in un’opera d’arte visiva, senza trascurare l’estrema abilità degli interpreti, dagli attori ai danzatori, animati in movimenti complessi che ispirano sia emozioni che ironia.
Tuttavia, proprio quando siamo pronti ad immergerci nel nuovo universo creativo della compagnia, un colpo di scena trasforma radicalmente la dinamica narrativa.
Uno dei personaggi, forse il capitano, interpretato da uno straordinario Romeu Runa (già apprezzato in diverse altre collaborazioni, tra cui “Tauberbach” di Alain Platel), si siede ad un lato della poppa e ci confessa i propri tormenti. Ma non è più il capitano della nave che interpreta, a parlare, è piuttosto il coreografo della compagnia, Franck Chartier, a esprimere il proprio rammarico per i sacrifici che gli sono stati necessari per dedicare la vita all’arte, come rinunciare a veder crescere suo figlio, o il costante viaggiare per il mondo lontano dai propri cari. Preso da un momento di sconforto, decide quindi di lasciare la scena, e letteralmente abbandona il palco e la sala, uscendo da una delle entrate del pubblico.
Da quel momento, la struttura narrativa si intreccia tra il mondo reale e quello fantastico, sfumando i confini tra biografico e immaginario, creando una realtà bidimensionale in cui le esperienze personali si sovrappongono alla finzione.
Marie Gyselbrecht, interprete storica della compagnia, entra in scena con un cane-pupazzo, lamentandosi del fatto che a prescindere da ciò che ti accade nella vita personale, devi essere sempre in scena, pronta ad interpretare un nuovo personaggio. Non importa se hai trascorso la notte ad assistere il tuo cane moribondo, o se qualcuno che ti è caro è appena venuto a mancare. È direttamente la voce del regista a interrompere il monologo, invitando gli interpreti a calmarsi e a rientrare nella parte, dando precise istruzioni sulle azioni, ma l’attrice si ribella, riversando in scena tutte le proprie frustrazioni. “Non sono Mimi, sono Marie! Da quindici anni faccio quello che mi chiedi e ora non so più chi sono!”.
Per la prima volta Chartier mette a nudo la propria esperienza e quella degli interpreti, con cruda sincerità e immancabile auto-ironia. Uno degli interpreti interrompe una scena lamentandosi dell’eccessivo vento: “Basta con questo vento! Lo hai messo in “Vater”, in “33 rue Vandenbranden”… adesso è troppo!”, mentre Romeu Runa sottolinea l’aspetto narcisistico intrinseco nel ruolo del coreografo, riferendosi a Chartier come “Castellucci di Lavapies” (famoso quartiere multiculturale di Madrid).
Il successo artistico è spesso sinonimo di rinuncia personale. Siamo abituati a vedere gli artisti, i coreografi e i direttori teatrali come personaggi astratti posti su un piedistallo, ma in realtà i loro dolori, i rimpianti, le speranze e la loro vulnerabilità sono molto simili ai nostri. Siamo di fronte all’artista-essere umano, nudo e fragile nella sua inesorabile vita.
La performance diviene così un microcosmo dove le identità si confondono, dando vita ad uno scambio continuo di ruoli e personalità, seguendo una logica junghiana del subconscio collettivo e creando un intricato labirinto di significati. Gli attori si immergono nei personaggi che si confondono con le loro storie personali, mentre il regista, come demiurgo, tenta di creare un mondo parallelo, in cerca del significato profondo della vita in un’epoca priva di valori.
Inizialmente impeccabile, la scena si trasforma in una sala prove, dove i sette performer cercano di continuare il lavoro in un rapporto ambiguo con il regista, sfidandolo in vari momenti. È il caso in cui il personaggio anziano, che dovrebbe piangere la morte della sua amata compagna, si rifiuta di continuare a disperarsi e decide anch’egli di morire, con estrema veridicità.
Ma la ricerca della verità o dell’autentico, e il difficile rapporto tra finzione e realtà, sono solo alcune delle tematiche che vengono affrontate.
Alienazione, violenza, trauma e cambiamenti climatici ci riportano alle crisi della nostra epoca, così che quella barca traballante diventa l’arca di un’umanità che attende la propria resurrezione, perché consapevole che è già tardi per la redenzione.
Eccezionale la scena in cui la Gyselbrecht rappresenta con assoluto realismo una situazione di violenza, senza la presenza fisica dell’uomo che la maltratta.
È il magnetico Romeu Runa a chiudere la performance, anche se chiudere non è il termine esatto. Mentre in scena l’attore-danzatore, nudo, incalza un dialogo tra sé stesso e la bestia che nasconde in sé, si accendono lentamente le luci sul pubblico. Impersonificata nei genitali dell’attore, la bestia rappresenta il nostro istinto feroce, prepotente e distruttivo. Runa alterna abilmente le due voci: quella profonda e minacciosa della bestia, a quella più squillante dell’attore. Si dimena, rannicchiandosi su se stesso e si rivolge al pubblico con varie provocazioni (“vorrei scoparvi uno a uno”), finché non sfonda la quarta parete scendendo dal palco, e inizia a muoversi tra il pubblico, rivolgendosi singolarmente ad alcuni spettatori. La sensazione è che potrebbe andare avanti all’infinito, ma quando l’artista chiede aiuto per uscire, perché, sottolinea, “non so cosa c’è fuori di qui”, qualcuno si alza e gli apre una porta, accompagnandolo fuori.
L’intera sala applaude, in piedi, per abbondanti cinque minuti.
Resta un certo spaesamento, alla fine della performance. È un capolavoro, o un atto enormemente disfunzionale di autoindulgenza e autocelebrazione? Di certo, offre al pubblico un’analisi esistenziale profonda e complessa, coinvolgendo gli spettatori in una riflessione densa su più livelli. Per similitudini oggettive ricorda anche “Synecdoche, New York”, di Charlie Kaufman. Lo sdoppiamento, narrativo e semantico dei personaggi, la parte per il tutto, l’inganno, la delusione (Deception).
Su tutto, in effetti, domina la parola che rappresenta il nome dell’isola in cui sono naufragati, Deception, una parola che racchiude diversi significati: inganno, delusione, falsità, mistificazione. E’ la rappresentazione teatrale in sé, ad essere portata in causa, l’opera d’arte, e la sua conseguente spettacolarizzazione.
Se in passato, come nel caso di Omero, l’umanità era oggetto di spettacolo per gli dèi dell’Olimpo, oggi, con l’avvento dei media e dei social, lo è diventata per sé stessa. Oggi il sentimento della propria estraneità è giunto a tal punto che può godere del proprio annientamento come piacere estetico di prim’ordine. Ma non ha importanza. In fondo, come sottolinea Runa in un momento del suo monologo finale, It is all fake.
Il 24 (domani) e il 25 ottobre al Festival delle Colline Torinesi in collaborazione con Torinodanza.
S 62° 58’, W 60° 39’
Ideazione e regia: Franck Chartier
creazione e interpretazione: Marie Gyselbrecht, Chey Jurado, Lauren Langlois, Yi-Chun Liu, Sam Louwyck, Romeu Runa, Dirk Boelens
Con il supporto di Eurudike De Beul
assistenza artistica: Yi-Chun Liu, Louis-Clément da Costa
composizione sonora e arrangiamenti: Raphaëlle Latini
composizione musicale e archi: Atsushi Sakaï
scenografia: Justine Bougerol, Peeping Tom
light design: Tom Visser
coreografia: Yi-Chun Liu, Peeping Tom
costume: Jessica Harkay, Yi-Chun Liu, Peeping Tom
assistente tecnico: Thomas Michaux
costruzione set: KVS-atelier, Peeping Tom
creazione tecnica e oggetti di scena: Filip Timmerman
coordinamento tecnico: Giuliana Rienzi
produzione: Peeping Tom
co-produzione: KVS – Koningklijke Vlaamse Schouwburg (Bruxelles), Biennale de la Danse (Lyon), Teatros del Canal (Madrid), Theatre de la Ville (Paris), The Barbican (Londra), Tanz Köln (Colonia), Festival Aperto / Fondazione I Teatri (Reggio Emilia), Torinodanza Festival / Teatro stabile di Torino – Teatro Nazionale (Torino), Teatre Nacional de Catalunya (Barcellona), & Espoo Theatre, Les Théatres de la Ville de Luxembourg, CC de Factorij Zaventem
Durata: 1 h 50’
Visto a Madrid, Teatros del Canal, il 7 ottobre 2023