Sono stata via un po’ di tempo dalla mia città e dall’Italia. Una volta tornata, nel guardare di nuovo il panorama teatrale della bella Napoli, ho scoperto con amara sorpresa che il Teatro Sancarluccio nel 2013 ha chiuso i battenti. In sostituzione, il “Nuovo Teatro Sancarluccio”, nuovo in gestione e programmazione.
Perché una città che vanta essere patria del teatro, permette che uno dei suoi storici teatri chiuda? Perché un teatro che vive da 40 anni a Napoli si trova in crisi al punto di dover passare il testimone? Problema di “etichetta”, problema d’ignoranza? Forse. Ma la questione economica continua ad essere la causa principale.
Ne abbiamo parlato con Egidio Mastrominico, che insieme al padre Francesco Mastrominico (in arte Franco Nico), la madre, Pina Cipriani e la sorella Bianca, ha diretto il teatro Sancarluccio per “40 anni + uno”.
“Innanzitutto c’è da dire che il Sancarluccio è sempre stato un teatro che non ha voluto trovare un’etichetta. Sin dagli anni ’70 ha seguito una linea coerente di programmazione: avanguardia, sperimentazione, tradizione, cabaret. Un teatro gestito da artisti il cui obiettivo primario era far conoscere e far esibire altri artisti. Ma non quelli dai nomi noti, non quelli da cui il pubblico sapeva già cosa aspettarsi: volti nuovi e nomi nuovi pescati prima che diventassero noti”.
Come una sorta di talent scout, il padre di Egidio, Franco Nico (affermato compositore e musicista partenopeo), insieme alla moglie Pina Cipriani (nota cantante napoletana), ha dato la possibilità di salire sul palco a teatranti che secondo il suo fiuto avrebbero spiccato il volo. Ed il fiuto non sbagliava.
Roberto Benigni, Leopoldo Mastelloni, Annibale Ruccello, Mario Martone, Massimo Troisi sono alcuni di quegli artisti all’epoca non-noti. Proprio su quel palco Troisi debuttava con “La Smorfia”. E come affermava quest’ultimo, parlando del Sancarluccio: “Il fatto che abbia resistito tanti anni è dovuto proprio a questa politica, quella cioè di proporre gente un po’ più avanti rispetto ai tempi e che alla fine ha dato fiato a quest’area. Al Sancarluccio non si va per fare soldi ma per dire certe cose”.
Forse il problema è allora che “nell’essere artisti è difficile essere anche bravi imprenditori”. Franco Nico non ingabbiava i suoi “talent”, non imponeva loro contratti di produzione, li lasciava andare per farsi conoscere altrove e cavalcare l’onda.
Franco ed Egidio, da artisti quali sono, non potevano non riconoscere “la soddisfazione che si è avuta nel tempo vedendo dove quei talenti sono arrivati. Forse se li avessimo legati a noi e al Sancarluccio, non sarebbero arrivati fin lì”. Certo, un imprenditore si sarebbe mangiato le mani, loro invece le hanno usate per applaudire.
Ma il problema non è stato solo imprenditoriale.
“Il teatro è cambiato nel corso del tempo, ha subìto un’involuzione contenutistica che ancora oggi prosegue. Negli anni ’80 in cartellone avevamo spettacoli divertenti, cabaret anche, ma di spessore. Teatranti napoletani che salivano sul palco per mandare un messaggio, far riflettere anche attraverso la risata, toccando tematiche importanti e in modo non superficiale. Oggi cosa è diventato il “cabaret napoletano”? Spettacolarizzazione, costume. Nient’altro. “Made in Sud” ne è un esempio”.
Il pubblico vuole ridere, dicevamo in un articolo precedente, vuole “alleggerirsi” quando va a teatro. “Ma rideva anche negli anni ’80, te lo assicuro. Solo che oggi non riderebbe più così, magari nemmeno capirebbe che c’è da ridere”.
Il Sancarluccio all’epoca era anche uno dei pochi (forse il solo) “teatro di sinistra” a Napoli, quindi raccoglieva molto pubblico e aveva molti consensi. Poi cosa è successo?
“Credo che le cose siano cambiate a partire dagli anni ’90, quando abbiamo continuato sulla linea avanguardista, spingendoci troppo oltre, allontanandoci decisamente dai “confini” napoletani. E si sa che il napoletano predilige il conterraneo. Eccoci quindi davanti ad un altro problema tutto nostro: il provincialismo. Compagnie del nord? Straniere? E che vengono a fare? Il teatro siamo noi! Noi l’abbiamo inventato e solo noi sappiamo farlo. E’ questo l’atteggiamento dei napoletani. Tutto intorno a noi progredisce, va avanti, ma noi non stiamo al passo. Continuiamo a distinguerci come macchiette di un luogo dove il tempo si è fermato. E questo sotto sotto ci piace. La tradizione va salvaguardata, certo, va assorbita. Ma poi va superata, va ingoiata per rigettarla non sottoforma di degenerazione, ma di evoluzione. E’ così che si progredisce, si cresce”.
E poi però bisogna anche fare i conti, quelli veri. “Non c’è molta arte nei soldi, ma purtroppo bisogna che ci siano per far tenere in piedi un teatro, ed il nostro di sovvenzioni ne ha viste davvero poche. La cosa divertente, come si evince dai faldoni che conservo accuratamente, è che negli ultimi cinque anni il Sancarluccio aveva bilancio in salita. Nonostante questo non ci è stata data fiducia sui finanziamenti regionali, per anni abbiamo avuto delle cifre ridicole. Basti pensare che nel 2009 la nostra sovvenzione è stata di 4.000 euro, a fronte di un bilancio di quasi 90.000. E come si fa a far fronte a 90.000 euro con 4.000 euro di fondi?”.
Per le cause Mastrominico allude ad un sistema politico marcio, in cui se non sei “dentro”, sei fuori, ma fuori da tutto. Egidio parla con l’amarezza di chi ha toccato con mano ciò che dice. Tra politici e politicanti in delirio di onnipotenza, si sgomita per far parte del loro “disegno divino” e per farlo bisogna schierarsi dalla loro parte. Sostenerli, esserne amici… parenti ancor meglio. E proprio in questi giorni gli scoop sul Teatro Mercadante ne sono una prova esemplare.
Inoltre – prosegue l’ex direttore – “purtroppo nel 2008 è venuto meno mio padre, che era non solo il fondatore del Sancarluccio insieme a mia madre, ma anche il pilastro portante. A causa di uno dei tanti fossi delle malridotte strade napoletane, da un giorno all’altro se n’è andato.”
Un fosso che ha fatto perdere la vita a un uomo ma anche le fondamenta ad un teatro. L’affermato compositore napoletano era l’anello di congiunzione. “Mancando lui, mancando i finanziamenti, mancando il pubblico, in pochi anni è mancato anche il Sancarluccio”.
“In più come se non bastasse, è arrivata la richiesta di sfratto a fronte delle mensilità che non riuscivamo più a coprire. Dopo varie sospensive siamo comunque arrivati a quell’8 dicembre 2012, data a cui tenevo molto perché segnava i 40 anni di vita del teatro, e siamo riusciti ad andare avanti fino all’aprile 2013. Ecco perché “40 anni + 1”. Svariate le promesse da parte di Regione e Comune, tutte alla fine con esito negativo: niente soldi. Forse l’unica possibilità era accedere ai fondi europei POR. Ma nel 2014 sono partiti i progetti finanziati coi fondi POR del 2011… tre anni di attesa. E noi altri tre anni non li avevamo. Così abbiamo chiuso l’attività ed il teatro è passato in mano a Bruno Tabacchini, col quale sono in buoni rapporti”.
In conclusione della nostra chiacchierata Mastrominico si toglie l’ultimo sassolino dalla scarpa: “Quando stavamo chiudendo i battenti, una vostra collega – non di Klp ovviamente! – scrisse su Facebook un post in cui chiedeva perché tanta mobilitazione per la chiusura di un teatro che non ha mai fatto niente e non ha mai dato niente alla città di Napoli. Io non risposi, mi limitai a condividere quel post sul mio profilo. Non puoi immaginare quante persone e commenti ha avuto contro e quanto affetto noi abbiamo ricevuto in cambio. Sono piccole soddisfazioni che dimostrano che, anche se abbiamo chiuso, il segno lasciato ha avuto grande valore e lo avrà per sempre”.