Silvia Bottiroli prende in mano le redini del più importante festival della scena contemporanea italiana per il triennio 2012-2014, affiancata da altre due figure di critici e operatori del settore: Rodolfo Sacchettini e Cristina Ventrucci
Non può non convincerci il nuovo direttore artistico del Festival di Santarcangelo, presentato nel corso della conferenza stampa di lunedì 7 novembre, tenutasi a Bologna presso l’Assessorato alla cultura della Regione Emilia Romagna.
Non solo perché si tratta di un valido critico, studioso e curatore teatrale, ma anche perché è una donna e per di più di soli 33 anni.
Silvia Bottiroli prende così in mano le redini del più importante festival della scena contemporanea italiana per il triennio 2012-2014, affiancata da altre due figure di critici e operatori del settore, Rodolfo Sacchettini e Cristina Ventrucci.
Questa è la triade, peraltro già presente nel coordinamento critico-organizzativo delle edizioni 2009-2011 del festival, cui spetta il compito di mettere in piedi un progetto di durata triennale e quindi dotato di un respiro più ampio rispetto a quello delle tre annate precedenti, ognuna caratterizzata da una direzione artistica diversa e affidata a personalità del calibro di Chiara Guidi, Enrico Casagrande ed Ermanna Montanari.
“La nomina di Silvia Bottiroli è una scelta di continuità e rinnovamento al contempo – afferma Roberto Naccari, da pochi mesi presidente di Santarcangelo dei Teatri – Il festival esce da un triennio molto positivo che ha concorso a consolidarlo e a rimetterlo in carreggiata dopo un periodo difficile. Il coordinamento critico-organizzativo, di cui Silvia Bottiroli ha fatto parte assieme a Rodolfo Sacchettini e Cristina Ventrucci, è stato fondamentale nell’affiancamento dei tre direttori artistici che si sono succeduti alla guida del festival negli ultimi tre anni ed è un bel segno il loro proseguire in un percorso comune”.
In tempi di crisi, instabilità e precarietà diffuse, questo triennio ci appare un periodo quanto mai lungo, in cui per la nuova direzione si impone l’obbligo di accogliere una sfida che la società, quasi senza volerlo, sembra lanciare da tutte le parti: quella di creare dei percorsi di pensiero condiviso e di confronto attivo, vivo e prolifico tra artisti, critici ma – soprattutto – cittadini (in primis proprio quelli di Santarcangelo). In una parola, di lavorare nella “comunità”, ammesso che esista e non si debba cercare piuttosto di costruirla.
I neodirettori, ben consci del momento storico in cui si trovano a operare, sintetizzano la propria idea di lavoro in tal senso attraverso la bella espressione della poetessa Patrizia Cavalli: “aria pubblica”.
Aria pubblica, ma anche area pubblica, piazza cittadina, luogo carico di senso, storia e possibilità di azione collettiva, in cui gli artisti sono chiamati a risiedere per periodi lunghi (alcuni di loro, ci dicono, inizieranno a lavorare sin d’ora anche se porteranno a termine il proprio lavoro fra tre anni), durante i quali sviluppare progetti che spingano lo spettatore a entrare in contatto con la realtà della creazione artistica, col suo farsi materiale, quotidiano, quasi “biologico”.
E’ così che la creazione diventa esperienza collettiva, non perché privi l’artista della propria autorialità, ma perché libera l’opera e lo spettatore dalla logica opprimente e sterile del consumo.
In questa direzione va dunque la rinnovata collaborazione con Motus (avviata lo scorso anno con il progetto “Making the plot/Motus 2011-2068”), che nel prossimo triennio saranno impegnati nella residenza creativa Zona_Motus: se fisicamente questa “zona” non è stata ancora individuata con certezza, afferma durante la conferenza stampa Enrico Casagrande, tuttavia è ben chiara l’intenzione che la riempirà e la farà vivere, e cioè quella di creare uno spazio letteralmente abitato, gestito e vissuto dagli artisti, un luogo “per condividere, con performer, scrittori, documentaristi, giornalisti, pensatori e cittadini provenienti dall’area mediterranea, in particolar modo da paesi in cui sono in atto processi di radicale trasformazione politica e culturale, dal Maghreb alla Spagna, all’area balcanica, le loro personali esperienze artistiche e di vita”.
E’ forse nell’attenzione allo “spazio tra i tre festival” che emerge maggiormente lo sguardo “critico” dei nuovi direttori, che hanno definito ben chiaramente i due binari lungo cui far scorrere una serie di esperienze di natura collettiva, dagli incontri con i critici, ai laboratori, residenze artistiche e iniziative culturali: la memoria e l’infanzia. Il passato e il presente, quindi, che si incontrano per capire dove andare e per provare a immaginare un futuro.
Se, concretamente, il lavoro sulla memoria consisterà in una serie di focus su grandi figure artistiche del passato (con cui rapportarsi non come fossero pezzi da museo, ma come stimolo al dibattito sul presente), all’infanzia si guarda invece sia come condizione sia come interlocutore privilegiato (coacervo di energia, di possibilità, di desiderio di fare), rispetto al quale bisogna interrogarsi su cosa conservare e tramandare di quel passato di cui ci si dimentica con eccessiva facilità.
Queste le linee guida di un progetto che si sforza di guardare alle possibilità del teatro con speranza e consapevolezza. Non possiamo non augurarci che un simile collettivo di direttori dimostri di lavorare con la solidità e la sostanza critica che ci sembra di vedere ora.