Santasangre e la frattura del linguaggio. Intervista al collettivo romano

Santasangre
Santasangre
Spettacolo sintetico per la stabilità sociale (photo: santasangre.net)

Sono una delle rivelazioni di queste ultime stagioni teatrali, con un seguito nell’universo dei giovani fruitori del teatro alla ricerca di linguaggi in netta frattura con drammaturgie dal sapore tardo ottocentesco o loop comunicativi di matrice novecentesca.

I Santasangre, nel bene e nel male, sono figli del crollo del muro, sono un’idea dal gusto cyber e chissà se, nel loro caso, parlare di teatro ha davvero senso.
Forse lo ha per il luogo di destinazione finora scelto, preferenzialmente, per le loro performance; forse non ce l’ha con riferimento alla formazione e alla discendenza semantica, su cui nascono poi gli inevitabili interrogativi della critica su quanto qualcosa sia più o meno teatrale.
Per fortuna, da alcuni punti di vista, questo problema non pare particolarmente interessare il collettivo iniziatore di questo progetto di ricerca, nato a Roma e dal 2003 compagnia residente al Kollatino Underground, centro di produzione culturale indipendente della periferia della capitale.
Eterogeneo per formazione e personalità, il gruppo somma esperienze che si uniscono nell’indagare lo spazio vuoto e la frattura che esiste oltre i linguaggi, attraverso processi di contaminazione espressiva fra video, musica, corpo ed estetica degli ambienti.

Al loro attivo, finora, partecipazioni al Romaeuropa Festival 07, al Faki di Zagabria, ai festival di Santarcangelo, Polverigi e Dro, alle stagioni dei teatri stabili d’innovazione di Pescara, Bari e Napoli, alla Biennale dei giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo, e anche a Es.terni, Short Theatre, Opera Prima, Crisalide, Enzimi. Nonché fondatori, insieme a Città di Ebla, Nanou, Ooffouro e  Cosmesi, del progetto Ipercorpo.
Hanno anche ottenuto riconoscimenti importanti, come il Premio Dante Cappelletti 2006, menzione speciale per “Spettacolo sintetico per la stabilità sociale”.

Sono loro stessi a parlare di sé come di “un azzardo di linguaggi ampliati, sincretici e sovrapposizioni di segni”. Come tutti gli azzardi, sanno di poter avere un payoff molto molto alto quando si vince e si convince, e uno molto basso quando no. L’augurio è ovviamente di azzeccarne moltissime, e di cercare con sempre maggior convinzione un ispessimento della relazione con il luogo teatro, inteso non solo in senso fisico, come a loro già riesce, ma anche con riguardo a tutto quanto quell’universo può offrire anche in termini di sofisticazione del timbro narrativo, dove ancora qualche carta manca per avere una buona mano con cui puntare a “chiamare il piatto”.

“84.06” è la performance di cui parliamo nel contributo video che proponiamo oggi, un lavoro che rispecchia queste considerazioni sull’estetica e sulle possibili direzioni in cui sviluppare la ricerca, che sempre più si dirige, partendo da suggestioni di matrice orwelliana, verso la rottura, verso un luogo dove spazio e tempo sono sospesi, e l’indagine concentrata sulla manipolazione attraverso l’illusione delle immagini mediatiche. L’ultimo uomo governato dalle macchine.

Abbiamo incontrato i Santasangre a inizio febbraio al Pim Spazio scenico di Milano. Lì ci hanno spiegato ispirazione e progetti. Da dove vengono. Cosa intendono mescolare e cosa pensano del luogo teatro.
Con “Seigradi – Concerto per voce e musiche sintetiche”, un progetto al bordo fra musica e scena, rimarranno al Teatro della Tosse di Genova fino a stasera, e poi di nuovo nel capoluogo lombardo il 17 al Teatro Out Off per il Festival Danae. Un altro azzardo da vedere, per capire in che verso si muove la loro estetica e puntare a scoprire che carte hanno per le mani. Forse un poker, magari un bluff, comunque un azzardo: per la stessa ragione del gioco, giocare.

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