Sara Sguotti: la danza per provare e trasmettere emozioni. Intervista

Space Oddity (photo: Dario Bonazza)|Sara Sguotti (photo: Antonio Ficai)
Space Oddity (photo: Dario Bonazza)|Sara Sguotti (photo: Antonio Ficai)

Dopo Martina Gambardella eccoci ad approfondire il percorso e le motivazioni artistiche di un’altra giovane danzatrice e performer, Sara Sguotti.
Sara inizia il suo percorso artistico frequentando l’Accademia di Belle arti di Frosinone e prosegue gli studi all’Accademia di Firenze.
Dal 2012 comincia a collaborare con la Compagnia Virgilio Sieni e nei vari progetti dell’Accademia del Gesto e Biennale Danza di Venezia; dal 2015 lavora con la Compagnia Anton Lachky in “Side Effects”. Nel 2016 inizia il suo percorso di assistente al movimento per gli spettacoli di circo contemporaneo del direttore Roberto Magro, con cui crea spettacoli per le scuole di circo Esac, Codars, Flic.
Contemporaneamente prende parte al remake del film “Suspiria” diretto da Luca Guadagnino, firmando le coreografie in collaborazione con Damien Jalet.
Nel 2017 collabora con Cristina Rizzo per la produzione “VN/Serenade” e con Roberto Magro per la creazione di “Silenzio”, spettacolo di circo contemporaneo. Nel 2018 prende parte alla creazione “Joie de Vivre” di Simona Bertozzi e nel 2019 comincia la collaborazione con Company Blu, nella creazione di un lavoro per un pubblico di bambini, “Gnomi” e per la creazione “W-Rap”.

Fa parte del collettivo LoStabileDiLì. Crea e dirige insieme a Silvia Zanta, Nicola Simone Cisternino e Piergiorgio Milano il festival F.A.C.E. Mentre iI suo percorso personale inizia con “S.solo” con il quale vince diversi premi.
Nel 2016 dà inizio insieme a Nicola Simone Cisternino al progetto Sa.Ni.
Nel 2019 ha iniziato a lavorare sulla tematica del “rapporto con il pubblico” con Space Oddity. Nello stesso anno collabora anche con Jari Boldrini per la nuova creazione di Nicola Simone Cisternino, “Sobotta, atlante di anatomia umana”.
Nel 2020 fonda il progetto Dance For Dance insieme agli Attivisti della Danza, con il sostegno della Regione Toscana, il progetto prevede la creazione di una piattaforma web dove poter connettere informazioni per i danzatori dai danzatori e strutturare un training regolare per professionisti nel territorio toscano.
Attualmente è impegnata con la produzione “Toccare, the white dance” di Cristina Rizzo e con “Tra le linee” di Simona Bertozzi. E nell’ultimo anno ha collaborato con la compagnia Opus Ballet e con il Polimoda di Firenze per la creazione “VENTIVENTI”, con debutto posticipato nel 2021.

Perché hai scelto di danzare?
Diciamo che non è stata una scelta ponderata da me, ma in qualche modo un piccolo problema ai piedi ha spinto la mia famiglia ad iniziarmi alla danza e da quel momento non ho mai lasciato questo linguaggio. Certo, le strade che si sono intrecciate sono state tante, dalla scuola privata ai laboratori, dalle esperienze formative di altro genere agli incontri belli e fortunati del mio percorso, dagli amici nuovi a quelli vecchi.
Ma ho scelto di continuare a danzare perché mi fa stare bene e male allo stesso tempo, perché mi rende sicura e insicura, perché mi dà la forza di tenere con il fiato sospeso molte persone ma allo stesso tempo mi rende completamente nulla di fronte a quello che è il riconoscimento sociale del mio status di danzatrice o artista in questo luogo e in questo periodo. Perché è un linguaggio potente quello del corpo, più di quello della danza.

Quali sono state e quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato durante il tuo percorso?
La difficoltà maggiore è strettamente legata al presente, ora più che mai. La precarietà del nostro lavoro e del settore c’è sempre stata ed è difficile da razionalizzare, nonostante la mia scelta di seguire questa strada sia consapevole, e da spiegare ai nostri cari in primis e a tutta la società in generale. Una difficoltà data anche dal non riconoscimento professionale del nostro lavoro. A differenza di altri luoghi, le figure del mondo dello spettacolo in Italia hanno difficoltà a difendere il proprio mestiere rispetto ad altri.
Questo ricade sulla vita quotidiana, che si scontra con un sistema che richiede stabilità.
E’ questa la ragione per cui spesso mi trovo in una situazione di frustrazione e di timore rispetto alla capacità comunicativa del linguaggio che ho scelto e al suo valore, che per me è alto. Mi domando come poter essere sempre in grado di creare/generare azioni e gesti di valore e che valgano non solo per me ma per la comunità tutta.

Sara Sguotti (photo: Antonio Ficai)
Sara Sguotti (photo: Antonio Ficai)

Hai dei maestri a cui fai riferimento?
I miei maestri sono tanti, sicuramente tutte le persone che ho incontrato e quelle con cui ho lavorato mi hanno trasmesso delle cose che, nel bene e nel male, mi hanno forgiato e permesso di capire la mia strada. Non parlo solo delle persone del mestiere.

Dei tuoi colleghi o colleghe italiani quali stimi di più?
Ce ne sono troppi e se iniziassi una lista sicuramente non finirei più.
Per riuscire in un’attività di creazione, di ricerca e di lavoro collaborativo è necessario che l’ambiente intorno a me sia sano e che l’umanità, il dialogo ed il rispetto siano alla base di tutto quello che insieme si costruisce. Solo in questa determinata condizione si può creare materiale di valore. Mi è capitato spesso di lavorare in altre condizioni.
Cito due delle persone che ora, in questo istante, più mi sono vicine nella ricerca artistica personale. Con Nicola Simone Cisternino collaboro da molto tempo e stimo molto dal punto di vista personale e lavorativo. Abbiamo creato insieme il collettivo Sa.Ni. e condividiamo molti lavori per altri coreografi, inoltre da sempre ideiamo situazioni e soluzioni per creare comunità, come il FACE, festival multidisciplinare basato sull’idea del baratto.
Elena Giannotti nell’ultimo periodo è un mio punto fermo, che mi sostiene in tutto e per tutto. La stimo moltissimo per la sua conoscenza, eleganza di pensiero e pazzia. Al momento è coinvolta nella mia prossima creazione “Some Other Place”.

Quali sono gli aspetti che ti interessano di più nella formazione di una coreografia?
Nei miei lavori ci sono due aspetti che ritrovo nella mia ricerca e da cui non riesco a distaccarmi, nonostante questo riesco ad ampliarli spostando il focus su altre questioni.
La prima è sicuramente l’interesse per il coinvolgimento del pubblico e la relazione empatica che si crea nell’atto della performance. Non parlo nello specifico di opera partecipata attivamente dal pubblico, ma mi attrae veramente molto osservare il pubblico che guarda e lavorare su questo aspetto di imprevedibilità delle reazioni di quest’ultimo.
La seconda invece riguarda il lavoro corale. Mi interessa il sentire comune, creare un corpo unico che, con le differenze appartenenti ad ognuno dei partecipanti, trova, attraverso il pensiero comune, l’unione. Il corpo pensante che genera chiarezza di linguaggio.

Raccontaci meglio il progetto “Pleasure on the chair, my body is still mine” con cui stai collaborando per il gruppo Dance Well di Bassano del Grappa, che in periodo pandemico prevede una ricerca sulla consapevolezza del corpo e sul piacere del movimento.
Riparto dalla risposta precedente: l’unione dei corpi pensanti. Il progetto nasce grazie all’invito di Roberto Casarotto ad incontrare la compagnia Dance Well di Bassano del Grappa, e a creare con loro un lavoro coreografico. A causa della pandemia il progetto si è modificato e adattato ad una forma più libera legata ad una ricerca che, alla base, aveva la necessità di trovare una modalità comunicativa verso l’esterno, che fosse basata però sulla chiarezza e sulla consapevolezza dell’individuo e del suo proprio corpo. Quindi ho incontrato i favolosi “ragazzi” – così io chiamo i dancers -, un gruppo di circa 50 persone online e 20 in presenza che hanno esplorato, attraverso alcuni esercizi legati alla pelle, allo scheletro e ai muscoli, le possibilità del loro corpo.
Alcuni di loro hanno il Parkinson, altri invece sono uomini e donne adulte. Tutti insieme si sono messi in ascolto del loro corpo e attraverso la conoscenza, il tocco l’ascolto e la scoperta hanno cercato di creare un corpo pensante che agisse prima in maniera privata per giungere poi ad un sentire collettivo. Abbiamo creato quattro incontri, di cui due in presenza, uno via Zoom e infine una settimana di creazione per preparare una restituzione per B.Motion Danza. Il risultato è stato un primo passo di un rapporto che continua tuttora. L’esperienza e la fiducia che queste persone hanno riversato nel progetto è stata ed è tuttora una fonte di estrema ispirazione, di felicità e piacere dell’esperienza corporea. Personalmente l’esempio concreto del perché ho scelto la danza come linguaggio; grazie a loro ho potuto rinnovare la mia consapevolezza rispetto a questo.

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