Tema di grande interesse quello del rapporto uomo e cibo, e ancor dell’uomo carnivoro. Alcuni dei più raffinati ed intriganti lavori visti nella passata stagione si sono sviluppati intorno all’edibile e al rapporto fra la nostra società e l’alimento. Si pensi al banchetto per trecento invitati di Ilotopie a Pollenzo in occasione di Teatro a Corte: un’ottima cena in cui alla fine gli spettatori avvertono il senso profondo dell’alimentazione sbagliata del nostro tempo e le distorsioni che il meccanismo della nutrizione amplifica.
Ci ha incuriosito anche la visionaria pièce di cui parliamo oggi, proposta al Pim Spazio Scenico da Theatrum Chemicum, gruppo artistico formato da Daniela Marzullo e Benedetta Zaccarello, rispettivamente regista e autrice dei testi di “Sarcofagia, studio in quattro quadri” ispirato al “De Esu Carnium” di Plutarco, con musiche originali di Gabriella Grasso, interprete insieme a Massimo Trombetta, Emanuele Puglia e alla performer Tiziana Contino.
Il presupposto filosofico punta sul fatto che da tempo l’animale morto è uscito dal nostro quotidiano, rimosso come il brutto, la sofferenza, mentre la carne arriva nei nostri piatti prima che ci si possa domandare da dove venga e perché la mangiamo: confezionata, sterilizzata, come se il gesto della macellazione fosse ormai sotteso e implicito, sottostante ad una forma di consumo automatizzato. Una riflessione aperta, dunque, sull’alimentazione come emblema del rapporto dell’uomo con la diversità e la sacralità dell’altro da sé.
Il “De esu carnium” di Plutarco, o “Trattato sulla sarcofagia” (l’atto del mangiare carne), è diventato cassa di risonanza degli interrogativi sul sistema del suo consumo e sul significato del nutrirsi, riscoprendo che mangiare qualcosa significa portarlo in noi, farsene custodia. Ne viene fuori un viaggio attraverso un cosmo popolato da uomini, dèi e animali che in alcuni quadri risulta davvero potente, come nella simbolica evoluzione dall’animale all’uomo nella prima scena.
La performance, presentata grazie alle scelte della direzione artistica del Pim di Milano, proponeva purtroppo solo in forma registrata il pittoresco entrée, in cui una donna oscilla su un cavallo a dondolo imboccata da una bambina. Ma mentre il pubblico entra in sala, trova alcuni spettatori già seduti e mascherati da animali dalla testa gigante, e, dopo il buio, parte una sequenza filmata in cui un “sacerdote” comunica l’ostia, azione che si prolunga poi uscendo idealmente dallo schermo per essere ricevuta da un personaggio inginocchiato ai piedi del comunicante, spalle al pubblico. Allontanatosi dalla genuflessione e, voltatosi verso la sala, questi rivela tratti suini e sprofonda in una metamorfosi che lo porterà dallo stato ferino alla parola razionale.
L’idea di profanazione, intesa nel “De esu carnium” come rottura dell’ordine cosmico, irrompe così immediatamente attraverso un’immagine dissonante e scomoda per lo spettatore moderno. Di qui in poi, attraverso il legame della trasformazione inversa da uomo a suino, si sviluppano interrogativi sull’intelligenza degli animali, proposti nel secondo quadro sottoforma di dialogo filosofico tra un Ulisse in giacca e cravatta, che si ingozza ad un buffet, e Grillo, sofista trasformato in porco dalla maga Circe. E poi un finale giocato sulle contrapposizioni, quella fra una bambola erotizzante, stereotipo di una bellezza artificializzata che apre e riempie alcuni cuori di maiale di monete per poi ricucirli con movenze meccaniche e l’innocenza di un gioco per bambini, contrapposto ad una vestale che, con indosso un peplo, canta la fine, in un flash visionario ed epico. A chiudere il divertentissimo video con un macellaio siciliano che legge, in un italiano malfermo e con la bocca piena, le solenni parole di Plutarco mentre azzanna un panino gigantesco pieno di porchetta.
Ne abbiamo parlato con Daniela Marzullo e Benedetta Zaccarello, uno spunto per indagare un filone d’indagine che, siamo sicuri, nei prossimi anni troverà altri interessanti sviluppi.