Dopo essere stato selezionato dalla Biennale di Venezia 2018 – dove si è aggiudicato una menzione speciale –, e dopo aver debuttato quest’anno sulla scena lagunare, finalmente il “Saul” di Giovanni Ortoleva approda a Milano, al Teatro I.
Con il sostegno del drammaturgo Riccardo Favaro, il giovane regista toscano riscrive la storia biblica di re Saul ispirandosi anche al “Saul” di André Gide, e trasformandola in chiave squisitamente contemporanea.
L’Antico Testamento narra di Saul, primo re del Regno di Israele, il quale, dopo aver perso la protezione di Samuele, che gli aveva conferito la corona, chiama a corte un giovane, Davide, perché il suono della sua arpa possa alleviare il proprio dolore.
Il giovane, tuttavia, si inserisce nelle vicende politiche, riuscendo a sconfiggere il gigante Golia, accendendo così nel re la rivalità, commista a sentimenti contrastanti, tra l’affetto, l’invidia, la rabbia. Anche perché il giovane virgulto ha stretto un’intensa amicizia col figlio prediletto del re, Gionata. Saul e Davide arriveranno ad uno scontro diretto, che vedrà la sconfitta – per sua scelta – del primo. Questo è ciò che tramandano le sacre scritture.
Favaro e Ortoleva riescono a trasportare la vicenda nella contemporaneità, facendo aderire le personalità dei personaggi biblici a figure di oggi, con incredibile verosimiglianza.
Lo spettacolo inizia con Saul (Marco Cacciola), che è qui una famosissima rockstar ormai consumata dal tempo. Il regno di Saul oggi è una suite d’albergo e il suo trono una poltrona. Stravaccato e scomposto, col viso contratto da rabbia e frustrazione, passa il suo tempo logorandosi e spadroneggiando sul figlio, che sfrutta come assistente tuttofare. Gionata (Federico Gariglio) sembra un ragazzo fragile ma sveglio, asservito a un padre padrone che lo costringe a vivere nella sua ombra, tant’è che anche i colloqui di lavoro che rimedia, nel tentativo di costruirsi una vita propria, in realtà sono tentativi del mondo di avvicinare la rockstar. Interessante come i ruoli sembrino oggi invertiti: è il figlio ad essere assillato dalla cura per il padre, mentre quest’ultimo è perso nella sua megalomania.
Il rapporto padre-figlio è ben restituito da una serie di scene brevi, interrotte da un rumore acuto che ricorda la televisione in assenza di segnale. Non a caso, su uno schermo passano scene di film che nel tempo hanno raccontato questa storia, a ribadirne il senso paradigmatico e archetipico, che ci porta ad apprezzarla ancora oggi.
Per risollevare l’immagine di Saul, che permane nei fasti dei grandi, ma è corrosa dalla vecchiaia incipiente, viene ingaggiata una giovane star che sta spopolando: Davide (Alessandro Bandini).
L’iniziale diffidenza rabbiosa di Saul nei confronti di Davide a poco a poco si stempera, arrivando a tramutarsi in gelosia con l’ingresso di Gionata.
Il testo, qui, prende una piega inedita. Lo spettacolo viene fermato, come se ci fosse un errore di regia. Gionata irrompe in scena, spiegando in quale atto e scena si dovrebbe essere, ed inizia a leggere una specie di copione, che altro non è se non la storia originale del Saul.
Gariglio assume quindi la funzione di narratore: racconta le vicende bibliche, ma le battute dei personaggi vengono recitate dai protagonisti di quest’altra storia, riuscendo a fondere incredibilmente fonte testuale originaria e riscrittura. A questo intelligentissimo espediente va riconosciuto anche il merito di presentare la vicenda da cui viene tratta la rivisitazione, permettendo al pubblico di seguire con grande linearità l’andamento della narrazione e di coglierne l’acutezza dell’operazione di adattamento.
Non manca lo scontro con Golia, che nel testo è “un’ombra che incombe sul palazzo”. Il corpo del gigante è sintetizzato in una composizione fisica, resa con la prossimità dei corpi dei tre attori. Nella narrazione di Gionata, Saul diviene sia re sia voce di Golia, che incombe con questa dualità sulla figura di Davide. Quell’amalgama di sentimenti di Saul, tra affetto per Davide, invidia per il legame che questi ha costruito con Gionata, e timore che il giovane possa sopraffarlo con la sua grandezza, è reso con una tensione omoerotica violenta, repressa e poi sfogata con impeto.
Il distaccamento tra Davide e Saul avviene, esattamente come nelle sacre scritture. Ma Davide qui non va a combattere: coerentemente con l’incipit dello spettacolo, il giovane parte per una lunga tournée.
Colpo di scena. Lo scontro che vedrà contrapporsi lo storico re e il nuovo capo dei Filistei, Davide appunto, diventa una sorta di concerto, una battle, con tanto di coreografie pop che strizzano l’occhiolino a Beyonce. Le capacità di Bandini, che fin qui si è contraddistinto per una recitazione di una qualità eccelsa, sottile, senza alcuna spinta, e con una sorprendente capacità di immedesimazione, sconvolge la platea con un’abilità fisica sensualissima e ineccepibile.
Il “Saul” è la storia di un fallimento, forse il primo fallimento di cui la tradizione ha memoria. La scelta di riportarlo in vita oggi è molto più di un semplice vezzo da studioso. Il presente è una costellazione di fallimenti, resi tanto più dolorosi dal successo di pochi. La società capitalista ci impone il successo, la riuscita: chi non vi arriva è inevitabilmente un perdente. E il raggiungimento del successo, coerentemente come è nel “Saul”, contempla anche l’annientamento dei sentimenti e dei rapporti affettivi costruiti: di fatto, come è di norma oggi, Davide fa le scarpe al suo mentore Saul, lo depone dal trono della sua fama e prende la scena tutta per sé.
Una storia di migliaia di anni fa, che forse ci annoieremmo a leggere, viene così rivisitata in chiave intelligente, riuscendo a far riflettere, e non poco. Riflettere su quanto il fallimento venga giudicato riprovevole dal mondo, quando dovrebbe essere una fase di rielaborazione e non un momento di auto annichilamento a causa del giudizio altrui. Ma riflettere sull’affettività: su quanto belle parole e nobili gesti di chi riteniamo esserci emotivamente vicino possono essere sbalzati via solo per l’ottenimento di un egoistico successo. Diventeremo un mondo di vincenti, sì, ma anche di anime sole.
Così del resto rimarrà Davide: seduto sulla poltrona-trono che fu di Saul. Solo, a sgranocchiare patatine.
SAUL
liberamente tratto dall’Antico Testamento e Saul di André Gide
menzione speciale alla Biennale di Venezia 2018, concorso Registi Under 30
regia di Giovanni Ortoleva
Drammaturgia Riccardo Favaro, Giovanni Ortoleva
Con Alessandro Bandini, Marco Cacciola, Federico Gariglio
Scenografia e Costumi Marta Solari
Musiche originali Pietro Guarracino con Ettore Biagi, Agnese Banti e Lorenzo Ruggeri
Movimenti coreografici Gianmaria Borzillo
Decoratrici Francesca Antolini, Maria Giulia Rossi, Martina Galbiati
disegno luci Davide Bellavia
attrezzeria Renza Tarantino
macchinisti Carlo Garrone, Kyriacos Christou
assistente volontario Lorenzo Caramello
assistente ai costumi Daniela De Blasio
direzione tecnica Teatro della Tosse: Roberto D’Aversa
organizzazione Marina Petrillo
direzione Amedeo Romeo
una produzione FONDAZIONE LUZZATI TEATRO DELLA TOSSE, ARCA AZZURRA PRODUZIONI, TEATRO i, in collaborazione con AMAT e Comune di Ascoli Piceno nell’ambito di Marche in Vita. lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma progetto di MiBAC e Regione Marche coordinato da Consorzio Marche Spettacolo
si ringrazia: PICCOLO TEATRO DI MILANO, TEATRO FONTANA
un ringraziamento speciale a Stefano Scherini, Pablo Solari
durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 2’ 30”
Visto a Milano, Teatro i, il 20 novembre 2019