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“Scannasurice”: ricordando Enzo Moscato

Imma Villa (ph: Tommaso Le Pera)

Imma Villa (ph: Tommaso Le Pera)

Carlo Cerciello firma la regia che vede Imma Villa assoluta protagonista

Muore l’uomo, gli sopravvive l’artista; il drammaturgo se ne va, la sua opera resta. Impressa sulla pagina, ma anche negli occhi, nelle orecchie, nei sensi, nella memoria di chi ha avuto modo d’essergli contemporaneo. Enzo Moscato è voce destinata a risuonare oltre, per l’enorme spessore del suo lascito drammaturgico. La lunga scia della sua parola scritta gli fa corteo per spargersi a postuma epitome, consegnandolo definitivamente alla storia del nostro Teatro, una storia in cui già era entrato da vivente. Perché eri consapevole, quando ne vedevi in scena l’opera e la figura, di essere al cospetto di un monumento teatrale: la Nuova Drammaturgia, il dopo Eduardo, quella contrapposizione salubre e salvifica che aveva sgombrato il campo da una incipiente cristallizzazione del teatro napoletano, troppo e troppo a lungo deferente – in una sorta di laica santificazione – verso la figura di De Filippo, quasi a farne prigione ineludibile, aveva trovato in Enzo Moscato, in Annibale Ruccello e (in diversa maniera) in Manlio Santanelli gli epigoni di una tradizione da cui svincolarsi per intraprendere nuovi percorsi.

Viene da ripensare ai frantumi della Napoli del dopoguerra, a quella “Grande Rovina” – di cui Moscato fa cenno nella sua autobiografia poetica “Gli anni piccoli” (Guida, 2011) – all’ombra della quale la sua vita comincia a intridersi di fantasia, a popolarsi d’un mondo sotterraneo e brulicante, in cui prendono sembianze sotto forma d’embrione quelli che poi diventeranno i suoi personaggi, essenze di una Napoli popolata da spiritilli e munacielli, puttane e femminielli, che sembrano emergere dalle profondità tufacee del ventre cupo di una città in magnifico imputridimento, gravida di un lirismo che sfugge agli occhi del semplice passante, e a cui regala evidenza la penna del Poeta.

Mi coglie, la notizia della morte di Enzo Moscato, mentre sono intento a ragionare sul suo “Scannasurice”, andato in scena al Teatro Elicantropo, riproposto in quel congegno scenico perfetto che vede la regia di Carlo Cerciello, la splendida e imponente scenografia costruita da Roberto Crea e l’interpretazione di una Imma Villa che ne padroneggia il testo muovendocisi come fosse il giardino di casa propria.
Primo testo “ufficiale” della drammaturgia moscatiana, riproposto in una versione collaudata, suggerisce d’acchito una riflessione sulla propria attualità: testo del 1982, proposto, riproposto, interpretato e offerto in visione senza che il proprio impianto drammaturgico subisca modifiche significative che lo rendano coevo al tempo in cui va in scena. Perché non c’è bisogno di adattarlo al tempo presente. Perché è trasversale. Perché, come l’“Amleto” secondo la visione ‘politica’ che ne dà Jan Kott in “Shakespeare nostro contemporaneo”, è “come una spugna. Basta non stilizzarlo e non rappresentarlo come un pezzo da museo, perché assorba immediatamente tutta la nostra contemporaneità”. Ecco, è proprio questa la sensazione che si ha (ri)assistendo a “Scannasurice”, a distanza di un numero variabile di anni, e cioè che continui sempre ad attagliarsi, mutatis mutandis, a quella realtà dalla quale ha attinto, a quegli opachi sedimenti di passato da cui è scaturito, al contempo calzando al tempo presente con sartoriale aderenza. Questo perché quel testo, nato all’indomani del terremoto del 1980, narrazione simbolica di uno sconquasso morale e emozionale oltreché fisico e materiale, trova riscontri e corrispondenze continui, come se per un incanto che somiglia più a un sortilegio che a una magia, finisse per stabilire un ciclico andirivieni tra il passato e il presente della città, in un vichiano riproporsi di corsi e ricorsi storici.

Ma chi è davvero Scannasurice, personaggio eponimo di questo dramma per voce sola e polifona? È un marginale, un’androgina creatura che si aggira negli anfratti di un decrepito falansterio sviluppato su tre livelli, circondata da ratti che fungono da cornice simbolica al proprio narrare, alla propria invettiva che è un continuum monologante, un saltabeccare aneddotico e frastornante, fatto di storie senza requie, che hanno come protagonisti un passato remoto dal quale emergono le figure decapitate di Corradino di Svevia e Luisella Sanfelice, e un presente parimenti drammatico nel quale si stagliano figure comuni – studenti, puttane, sensali, giovani sposi – ma anche magiche e misteriche apparizioni di munacielli e belle ‘mbriane.

Memoria e magia si fondono e si trasfondono nella figura di Scannasurice, che Imma Villa ormai non sembra più ‘interpretare’, ma ‘possedere’ (e esserne posseduta), vivificandola in scena in una interpretazione che non smette di abbagliare e di conquistare, riuscendo a trascinarti dentro la rappresentazione, in ciò contribuendo in maniera determinante a quella coniugazione al tempo presente che riesce a rendere parallelo e a tratti sovrapposto l’hic et nunc della scena con la realtà che le è esterna.
S’aggira, Imma Villa, su una scena che è una sequela di penombre squarciate da lame di luce, nel cui chiaroscuro l’attrice si muove attraversando ogni andito, raccontando un microcosmo di marginalità e precarietà, in cui pullulano i topi, metafora di un popolo reietto, scevro da oleografie inflazionate per essere evocato in tutta la sua contrastante essenza, fatta di fatiscenza e putridume a cui sembra chimerica la speranza di avere redenzione.

“Scannasurice” è un viaggio negli Inferi feraci di una città, di un micromondo senza tempo; attraversando una simbolica parabola sospesa tra vita e morte all’interno di un metaforico ipogeo, Imma Villa si fa sciamanico tramite interpretativo nelle mani registicamente sapienti di Carlo Cerciello, che in modo egregio trasfonde la scrittura moscatiana sulla scena.

Fa effetto scrivere di uno spettacolo nel tempo stesso in cui il suo autore ci lascia, perché suggerisce riflessioni più approfondite: sull’opera che continua a parlarci, sulla sua voce che non si spegne davvero, sul reale peso artistico di un’eredità che sarà probabilmente valutato nel tempo, ma la cui importanza e il cui intrinseco valore appaiono già sin d’ora – e incontrovertibilmente – ponderosi. E forse, alla luce anche dell’emotività del momento, più forte, più vibrante e più intenso ci appare il senso profondo di questo spettacolo: come un urlo disperato che dà voce a chi non ha voce. Da una voce che si è spenta ma che pure continuerà a parlarci. Con le parole di Scannasurice, prima d’acquattarsi morente e consegnarsi al buio che precede l’applauso; con le parole di Enzo Moscato, lasciate per iscritto a parlarci, oltre la vita, sopravvivendo alla morte.

Scannasurice
di Enzo Moscato
regia Carlo Cerciello
con Imma Villa
scene Roberto Crea
costumi Daniela Ciancio
suono Hubert Westkemper
musiche originali Paolo Coletta
disegno luci Cesare Accetta
foto Tommaso Le Pera
aiuto regia Aniello Mallardo
produzione Teatro Elicantropo Anonima Romanzi ed Elledieffe

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 3’ 15’’

Visto a Napoli, Teatro Elicantropo, il 15 dicembre 2023

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