La storia racconta come, nei periodi particolarmente bui, caratterizzati dall’alienazione e dalla perdita dei valori e degli ideali condivisi, l’arte risponda spesso con una ventata di nuova energia, che scorre come una vena sotterranea stimolando la creatività, la necessità di espressione, l’urgenza di saziare un grande digiuno.
Anche gli anni che stiamo vivendo sembrano non fare eccezione, ma nonostante la drastica riduzione dell’investimento pubblico nella cultura (pari ad uno scandaloso 0,23% del Pil), gli stimoli artistici non mancano, specie in ambito teatrale, dove stiamo assistendo ad un aumento vorticoso di produzioni di giovani compagnie. Tutta questa vitalità ed energia teatrale significa veramente che abbiamo toccato il fondo? E se fosse così, siamo effettivamente sicuri di voler risalire?
Su questo fenomeno, particolarmente sentito nel Nord-est, si sono confrontati la settimana scorsa studiosi, critici, operatori e gli stessi artisti durante l’edizione 2010 di Scena & Controscena, organizzata dalla Fondazione di Venezia e dall’associazione Questa Nave al Teatro Aurora di Marghera.
Ad aprire la discussione è stato lo studioso e critico Andrea Nanni, che ha proposto un’analisi socio-semio-estetica delle giovani compagnie di teatranti che appartengono a quella che lui ha definito Generazione 00: “come la farina”, ha simpaticamente aggiunto, ed è certo che, se riflettiamo sulla fame di teatro che c’è in giro, la metafora è quanto mai azzeccata.
Commistione dei linguaggi e frattura con il passato caratterizzano in primis la nuova generazione che si affaccia sulla scena nazionale, sia di teatro che di danza, per la quale mantenere aperto il canale tra realtà e novità, tra vita e scena, non risponde ad una presunzione di originalità, bensì ad una particolare percezione, ricezione e presenza nella contemporaneità, a ciò che è legato al vivere quotidiano e sociale.
Le affinità nelle differenze del giovane teatro italiano contemporaneo possono essere riassunte in una maggiore coscienza di un processo di rinnovamento, specie nella danza; nei rapporti scarsi e difficili con le istituzioni; in una modalità di lavoro collettivo, senza distinzione di ruolo (tutti si mettono in gioco con il conseguente tramonto del teatro di regia); e nella contrazione dei formati, a cui la danza ha fatto da apripista: gli spettacoli sono sempre più brevi e spesso non arrivano all’ora di rappresentazione e anche le serate diventano miste, con più artisti che si esibiscono nello stesso spazio.
La Generazione 00 sembra vitale, innovativa e talvolta spiazzante; ma allora, come va il teatro? A questa domanda Valeria Ottolenghi, critico e vicepresidente dell’Anct, l’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, risponde così: “Benissimo! Certo, sappiamo che il teatro sta male, malissimo, specialmente dal punto di vista economico, l’Italia tutta sta male, ma ci sono tante compagnie, tanti spettacoli buoni e tanti spazi e stagioni in più. Le città e le provincie si riempiono di teatri periferici e alla guida di questi teatri ci sono persone assolutamente competenti”.
A quanto sembra le cose sono cambiate. Si moltiplicano gli spettacoli, le opportunità teatrali di incontro, formazione, creazione, visibilità. E’ aumentata la sensibilità nei confronti delle diverse poetiche, come sono aumentati gli spazi della critica. La cultura teatrale, insomma, è decisamente in crescita, e soprattutto ha abbandonato l’unico stereotipo (vigente ancora in televisione) del teatro di prosa “di una volta”.
Il dialogo si dilata, è sempre più attivo e partecipato; ci si confronta durante le occasioni performative e nei momenti d’incontro: dibattiti, aperitivi con gli artisti, convegni, ma anche sul web, attraverso portali e blog di appassionati che riempiono quel vuoto lasciato dalla carta stampata.
E se l’università, secondo il critico e studioso Andrea Porcheddu, non ha fatto o non fa nulla per il teatro, mentre viceversa il teatro ha fatto e fa tantissimo per l’università, la necessità di conoscenza e formazione è in aumento. Claudio De Maglio, direttore della Civica Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine, e Renato Gatto, direttore dell’Accademia Teatrale Veneta di Venezia, raccontano come la richiesta di iscrizioni sia in costante aumento, e di com’è fortemente sentito il bisogno di una conoscenza teatrale, anche da parte di chi non ne è a digiuno ma ha già anni di pratica alle spalle.
Approfondisce il discorso Maurizio Schmidt, regista e direttore 2007-2009 della Paolo Grassi di Milano, sottolineando l’urgenza di una formazione che vada oltre gli anni accademici istituzionali, perché la pedagogia non deve essere un fatto iniziale, una formazione di base: il bisogno di cui si avverte la richiesta è la presenza di un luogo per la formazione continua, che probabilmente troverà concretezza nei prossimi tre anni proprio a Venezia, con l’avvio di un corso di pedagogia alla scena e di formazione dei formatori.
A quanto racconta Elena Lamberti, agguerrita operatrice del settore, la maggiore visibilità di cui può godere la nuova Generazione 00 è una conseguenza della più alta e fortissima attenzione che i gruppi emergenti stanno incontrando negli ultimi anni. Rispetto a due-tre anni fa, la difficoltà di proporre gruppi semisconosciuti si è infatti notevolmente ridotta. Un tempo veniva richiesta una maturità di linguaggio che, per ovvi motivi, i giovanissimi non potevano avere. Oggi viene loro data la possibilità di raggiungere questa maturità nel tempo, venendo spesso supportati in questa fase di crescita da un aiuto e contributo, come nel caso di alcuni premi teatrali, che prevedono di seguire il percorso di crescita del gruppo vincitore o di un loro singolo progetto, o ancora attraverso le residenze artistiche, pratica già estremamente diffusa oltre confine, e che ha preso piede sia in festival nazionali, sia all’interno della programmazione stagionale di qualche teatro, permettendo alle compagnie di sopperire alla mancanza di propri spazi creativi o dei mezzi economici per gestirli. Quel che è sicuro, è che non c’è festival o rassegna di teatro contemporaneo che non ospiti gruppi giovani più o meno sconosciuti. E se questo, per un verso, potrebbe rispondere ad una politica di attualissimo “cost cutting”, dall’altro la qualità di molti lavori spinge gli organizzatori ad assumersi il rischio dell’avventura.
Ma alla stessa domanda (come va il teatro?), qual è la risposta della stessa Generazione 00? Nonostante la vitalità e l’esuberanza della maggioranza (fiducia e abbandono, risponde con forza invocatrice una delle giovani attrici presenti), l’entusiasmo della risposta non pareggia quello di Valeria Ottolenghi. Le difficoltà si sentono e si vivono tutte e, al di là della lusinghiera appartenenza all’indagato fenomeno generazionale, molti chiedono come fare per sopravvivere, cercando aiuto e appellandosi alla fratellanza.
Si avverte, insomma, una grande forza ma anche una grande solitudine, come se mancasse la consapevolezza della necessità di una strategia: perché, come ricorda Teatro Sotterraneo, esiste una selezione naturale anche della specie teatrale.
Quello su cui sembrano essere tutti d’accordo, forse in risposta ad un proiettile provocatorio lanciato in sala dal direttore di Armunia Festival Massimo Paganelli (che afferma che del pubblico non gliene è mai fregato niente) è proprio l’importanza che assume lo spettatore nei rispettivi lavori. Con delle eccezioni. Eva Geatti di Cosmesi coraggiosamente ammette infatti: “Non voglio occuparmi anche del pubblico, non ce la faccio”.
Ma (almeno ufficialmente) è una voce fuori dal coro, visto che la maggioranza lo considera fondamentale e necessario perché, come interviene Pierpaolo Comini, il teatro si fa in due.
Ero presente all’incontro in veste di spettatrice, e devo purtroppo confermare che se il teatro si “fa in due”, i teatranti continuano a non rendersene conto. In 6 ore di “dibattito” il pubblico, che aveva moltissimo da dire, non è stato minimamente interpellato. Neanche con una parola di scuse sul fatto che non c’é stato tempo per farlo. Allora certo, una platea piena fa bene al cuore del teatro… Ma una platea muta, alla quale non viene minimamente data la possibilità di esprimersi, in un’occasione creata ad hoc , lascia un senso di grande amarezza. Il dibattito non c’è stato.Hanno parlato i critici, le compagnie hanno risposto – spesso negando (ad esempio rigiuardo le provenineze di questa generazione nordest che tanto nordest non è) – ma non c’è stata l’occasione di replica da nessuna delle due parti. Il pubblico, certamente interessato, ha resistito fino alla fine, poi dopo l’applauso se n’è andato con la propria opinione ancora in gola. Come sempre dopo uno spettacolo. Una bella occasione sfumata nella tempesta.