Scenario a Palermo

 

SCENARIO A PALERMO
un progetto in collaborazione con Premio Scenario e Compagnia M’arte
da martedì 24 a domenica 29 novembre 2009
al Nuovo Montevergini
ore 21.15

Un occhio rivolto al futuro, a quello che di nuovo esprime la ricerca drammaturgica in Italia, tramite la collaborazione consolidata con il Premio Scenario e la Compagnia M’arte, Il Palermo Teatro Festival ospita i vincitori del premio, le menzioni speciali ed i finalisti palermitani, in una sezione, Scenario a Palermo, che prova ad aprire un dibattito su quello che di nuovo ed interessante vuole esprimere in questo momento il teatro.

Martedì 24 novembre 2009
Compagnia Anagoor (Castelfranco Veneto – Treviso)
TEMPESTA
segnalazione speciale Premio Scenario 2009
con Anna Bragagnolo e Pierantonio Bragagnolo
regia di Simone Derai
studio del movimento Simone Derai, Anna Bragagnolo
riprese video Marco Menegoni, Moreno Callegari, Simone Derai
montaggio e regia video Simone Derai, Marco Menegoni
suono Marco Menegoni
assistenza  Marco Menegoni, Moreno Callegari
consulenza storica e iconografica professor Silvio D’Amicone
scrittura Simone Derai, Eloisa Bressan

Motivazione della Giuria. Per la preziosa indicazione di una scena ove appare possibile coniugare radicamento e modernità, immagine del corpo e concreta presenza della carne dell’attore. Teatro radicato, dove il rapporto inquieto e appassionato con la natura è mediato dall’arte, come scrigno capace di custodire la memoria individuale e collettiva del proprio territorio. Il radicamento si compie qui grazie a una attenta cura compositiva che ruba alla pittura di Giorgione lo stupore del tempo fermato a interrogare la condizione dell’esistenza presente e l’alchimia della trasformazione possibile. L’arte si affianca alla terra a restituirci le nostre radici.

Lo spettacolo. Tempèstas in origine significò momento del giorno, solo in seguito divenne condizione, stato atmosferico e infine, in modo speciale, un tempo burrascoso e rovinoso. Ne La Tempesta, nel fregio e in altri dipinti di Giorgione, l’attimo fulmineo viene congelato nella rappresentazione naturale del lampo, dell’atmosfera e della luce di un Veneto che non ritornerà. Erba, terra, vento, nebbie, acqua, luce e nembi: la natura offre un codice – la cui chiave è da ricercare nei testi apocalittici – per annunciare la fine dei giorni. Si profila dagli ultimi studi sull’opera di Giorgione un artista più inquieto del paesaggista idillico romanticamente descritto dalla tradizione. Due influenze culturali sembrano animare Giorgione: da una parte una visione pessimistica del mondo e della sua storia assimilata dalla cultura giudaica, dall’altra la fiducia in una promessa di salvezza e nell’esistenza di strumenti per fare fronte al caos che rimanda contemporaneamente all’umanesimo quattrocentesco, alle aspettative messianiche ebraiche e alla fede, di matrice cristiana. La costruzione drammaturgica e l’invenzione iconografica di Tempesta, prendono le mosse dallo studio della composizione e dei temi nell’opera giorgionesca, tuttavia – lungi dal voler creare un percorso teatrale sulla figura di Giorgione e sulla sua opera – ambiscono ad approdare a una creazione assoluta, cioè libera e indipendente.
La nostalgia per un’età della terra e della polvere e il tentativo di conciliarla con la modernità, comprendendo la profonda frattura e le tensioni che questa frattura continua incessantemente a esercitare nel profondo della nostra società, caratterizza da tempo, come una linfa comune, i lavori della compagnia Anagoor.
Questa generazione non conosce guerre, avendole l’occidente allontanate da sé e spinte in Terre Sante perennemente ferite e purulenti. Tuttavia è la prima ad aver assimilato l’angoscia di un olocausto nucleare, la paura di pandemie e di un contagio sessuale che ha cambiato per sempre l’amore e le relazioni, l’inquietudine per un visibile collasso ecologico. È questa percezione di noi stessi, locali e globali, visione intima e quadro d’insieme, l’oggetto d’indagine.
L’Apocalissi (nel senso e di battaglia finale, e di rivelazione) che ci interessa è tanto quella universale quanto quella personale, di ciascun individuo che sente e soffre il tempo breve della giovinezza, l’irreparabile finitezza. La crescita, la sfida contro il chaos, la caducità.  Come in Giorgione l’Anticristo è uno di noi, così è in noi stessi che cresce l’antagonista della nostra personale battaglia.

Mercoledì 25 novembre 2009
Compagnia Codice Ivan (Bolzano)
Pink, Me & The Roses
Premio Scenario 2009
drammaturgia originale collettiva di e con Anna Destefanis, Leonardo Mazzi, Benno Steinegger

Motivazione della Giuria. Porsi una domanda sull’arte, mentre l’arte ci interroga sulla nostra irriducibile natura. Riflettere su cos’è che non procede mentre il decadimento non si ferma mai. Guardarsi sfiorire nel luogo della bellezza. E non sapere da dove cominciare. I giovani di Codice Ivan sembrano accedere al teatro da ingressi decentrati e disorientanti che, assunti in piena consapevolezza, offrono un’angolazione speciale allo sguardo, una libertà che dischiude le valvole del processo creativo fino al suo grado di immediatezza. Così, la favola antica sull’impossibile collaborazione fra la rana e lo scorpione apre la scena alle domande sul perché tutti i nostri tentativi di dialogo sembrino destinati all’insuccesso; e sul perché sia proprio il linguaggio a segnarne il fallimento. Ma forse c’è un fattore umano che può ribaltare le prospettive più scontate e tetragone. Bisogna riportare questo fattore sulla scena, magari a partire dallo spettatore. Così il palco svuotato, anziché mostrarsi come luogo di spopolamento, può farsi luogo dell’accoglienza.

Lo spettacolo. «Lo scorpione, portato sulla schiena della rana per attraversare il fiume, punge la rana. La rana morendo chiede allo scorpione: “Perché mi hai punto, visto che in questo modo moriremo entrambi?”. Lo scorpione risponde: “Perché è nella mia natura». Esopo
Pink, Me & The Roses è un decadimento. Un “concerto” in cui il vecchio rocker suona musica che parla di musica. La morte-suicidio dello pseudo-attore e della pseudo-scena. Ci chiediamo dov’è il dentro e dov’è il fuori, dov’è il limite tra il corpo del performer e quello del personaggio, dove i limiti tra le cose, tra rana e scorpione, tra vittoria e sconfitta, tra bene e male. Pink, Me & The Roses è un palloncino, una parrucca, una poltrona, un golf, del linoleum, un coltello in una bocca, del pvc, un trespallet, due tacchi, e anche… un occhio di bue su due ruote. Pink, Me & The Roses non solo rivela ciò che succede dietro le quinte, ma anche come si è arrivati alla messa in scena. Il making off irrompe in una scena essenziale: pochi oggetti, pochi colori, poco spazio e ben marcato. Siamo oltre la narrazione e l’inganno non regge più. Improvvisamente la scatola nera diventa bianca: la vita irrompe. Durante il processo siamo saltati da un piano a un altro di analisi, cercando di capire chi fosse la rana e chi fosse lo scorpione. Abbiamo individuato nel teatro lo strumento di auto-determinazione per eccellenza, il passaggio per attraversare il fiume (la rana); e nell’attore il conflitto perenne tra la propria natura e la necessità di divenire altro – il desiderio di attraversare il fiume (lo scorpione).

SCENARI PALERMITANI
Giovedì 26 novembre 2009, ore 21.15

Compagnia Nuda Veritas (Palermo)
Eden (Studio)
Finalista Premio Scenario 2009
con Marta Capaccioli, Diego Invernizzi, Daniela Macaluso, Antonio Stella, Giovanna Amarù
regia e coreografia di Giovanna Amarù

«Dio fece quindi piegare il popolo per via del deserto» (Esodo, 13, 18)
Sovrane insegne, ci ripetiamo per vivere, l’accaduto accadrà. L’esatto Teorema di cinque figure doppie, come primo/ultimo seme di una discendenza e di una separazione, colate in imbuto, in un luogo dove, svanito il tempo, lo spazio perde la sua misura. La storia è una smorfia della ragione, il ripetere è in ciascuno attesa di chiarimento, felicità nella norma ed esercizio di proprietà, il deserto è l’ammontare dei passi e delle teste cadute, i frutti sono tumescenze terrestri e le corone concrezioni del desiderio. Elogio dei dolci giorni comuni, Eden senza memoria e profondità, miserabile magnificat di quando si compiva il destino ciecamente. Chi sarà qui domani, chi se ne andrà porterà via noi stessi o chi credevamo di essere e l’esodo dalla casa ci renderà stranieri, docili come bestie, insoluti e insolventi, eredi del diritto alla colpa e del rovescio della salvezza.

Monica Andolina, Delia Calò, Giada Robbiano, Valeria Di Matteo (Palermo)
Masculiata (Studio)
Finalista Premio Scenario 2009
con Monica Andolina – Delia Calò – Antongiulio Pandolfo
musiche di Valeria Di Matteo
una produzione Compagnia del Tratto

Lo spettacolo. Masculiata è uno spettacolo grottesco e visionario. In una società del futuro, il potere decide ogni cosa, annullando ogni diversità, stabilendo persino la sessualità degli individui. Nessuna donna, nessuna possibilità di ribellarsi. Un luogo, invece, popolato solo da “masculi”, da uomini cioè (o da donne “masculiate”) che fanno della coercizione l’unico mezzo di comunicazione in una società paranoica e vaneggiante. Tre i personaggi: Austì e Totò (due donne “masculiate”), e Curò (una donna che sta per essere “masculiata”), in un luogo che ha smesso di rivelarsi, celebrano un rituale sghembo, ‘U leva sapuri. Un rituale imposto che occorre a perpetuare la stoltezza e a privare gli individui di qualsiasi libertà. Un quarto personaggio è rappresentato da una radio, ovvero il potere (Iddi); un potere che determina ogni azione servendosi di alcune strofe di una canzone napoletana (scritte appositamente per lo spettacolo). Masculiata racconta un futuro prossimo (sempre meno ipotetico), dove non esiste più alcuna libertà d’azione, dove ogni cosa è stabilita da un potere che massifica, ingloba, divora l’individuo e le sue differenze. Un futuro senza alcuna speranza o consolazione o via di fuga o possibilità di svolta o ipotesi risolutiva.

Domenica 29 novembre 2009
Marta Cuscunà (Ronchi dei Legionari – Gorizia)
È bello vivere liberi!
Ispirato alla biografia di Ondina Peteani
Prima staffetta partigiana d’Italia deportata ad Auschwitz N. 81 672
Premio Scenario per Ustica 2009
ideazione, drammaturgia, regia e interpretazione Marta Cuscunà
costruzione degli oggetti di scena Belinda De Vito
luci e suoni Marco Rogante
co – produzione Centrale Fies – Operaestate Festival Veneto

Motivazione della Giuria. È bello vivere liberi restituisce il sapore di una resistenza vissuta al di fuori di ogni celebrazione o irrigidimento retorico. Resistenza personale, segnata dai tempi impetuosi di una giovinezza che è sfida, scelta e messa in gioco personale. Resistenza politica, dove la protagonista, Ondina, incontra la storia e la sua violenza. Resistenza poetica, all’orrore che avanza e annulla. Resistenza adolescente, che incontra il sangue, lo subisce, lo piange, ma continua ad affermare la necessità della felicità e dell’allegria anche nelle situazioni più estreme che Ondina vive. Ondina, di cui Marta Cuscunà ha ricercato le tracce attraverso un lavoro accurato sulle fonti storiche, dentro la memoria del proprio territorio e attraverso le parole di chi l’ha conosciuta. Spettacolo felicemente atipico, coniuga un fresco ed efficace lavoro di narrazione, attento ai piccoli gesti del quotidiano, a stupori di ragazza, con il mestiere del burattinaio, che riprende i propri personaggi, ne soffia via la polvere e li riconsegna, felicemente reinventati, a una comunicazione efficace, archetipica, popolare. In questa ricerca anche l’orrore del lager può essere raccontato, senza che lo spettacolo perda lo straordinario candore e la felicità nel racconto della storia che ancora siamo.
Con il sostegno di Comitato Provinciale ANPI di Gorizia, Sezione ANPI di Ronchi dei Legionari, Centro di Aggregazione Giovanile del Comune di Monfalcone, Biblioteca Comunale Sandro Pertini di Ronchi dei Legionari
È bello vivere liberi! è l’ultima frase che Ondina Peteani ha scritto a poche settimane dalla morte, quando, in ospedale, il medico le chiese di scrivere, a occhi chiusi, la prima frase che le fosse venuta in mente. Ondina, allora, ha scritto quello che sentiva profondamente: amore per la libertà. Ondina è stata definita da alcuni storici “prima staffetta partigiana d’Italia”, per la precocità del suo impegno nella lotta di Liberazione, avvenuta in un territorio in cui la Resistenza è iniziata prima rispetto al resto d’Italia, grazie alla vicinanza con la Jugoslavia dove fin dal 1941 si erano formati gruppi partigiani attivi contro l’occupazione fascista. La sua storia attraversa gli anni del fascismo nel Monfalconese, viene segnata in modo indelebile dalla detenzione ad Auschwitz e continua nel dopoguerra, come ostetrica e organizzatrice culturale e politica all’interno del PCI, poi PDS. Lo spettacolo si ispira alla prima parte della vita di Ondina fino alla liberazione dai campi di concentramento e mette in luce alcune particolari tematiche: il contributo fondamentale apportato dalla Resistenza femminile all’emancipazione della donna; i sogni di libertà, gli ideali di pace e fratellanza dei giovani che aderirono al Movimento di Liberazione; l’incubo della deportazione nazista e la sopravvivenza nei lager. «Vorrei che questo progetto raccontasse la Resistenza in un modo non retorico né nozionistico: trasmettendo l’entusiasmo, la voglia di vivere liberi, la gioia di lottare per difendere la democrazia e la libertà che animarono i partigiani. Vorrei raccontare tutto questo attraverso linguaggi differenti: le testimonianze (per ricreare l’atmosfera e lo spirito di quegli anni attraverso le parole di chi li visse in prima persona); il monologo civile (per creare un filo conduttore tra le vicende e un punto di vista contemporaneo); i burattini (per ritrovare la forma del teatro popolare che gli stessi partigiani utilizzavano nei bozzetti drammatici che scrivevano e interpretavano per festeggiare le vittorie); il teatro di figura con pupazzi (per raccontare in modo evocativo l’orrore dei lager; perché a un pupazzo si può fare di tutto, anche le cose più terribili). La biografia di Ondina mi ha letteralmente entusiasmata, scossa, “accesa”. Ho incontrato una ragazza, poco più giovane di me, incapace di restare a guardare, cosciente e determinata ad agire per cambiare il proprio Paese, con un’intuizione fondamentale: la Donna è una risorsa irrinunciabile per la Pace e la Giustizia. Un esempio di partecipazione attiva, di come ogni singolo individuo può diventare indispensabile per la vita di un intero popolo.
D’altra parte la vicenda di Ondina mi ha permesso di guardare l’incubo dei lager nazisti da un punto di vista particolare: non solo dalla parte di chi aveva l’unica colpa di essere ebreo, omosessuale, handicappato, ma anche di chi aveva fatto una scelta di campo coraggiosa e definitiva. Ondina è stata deportata, umiliata, privata della sua identità e torturata perché lottava per la Libertà e aveva scelto di schierarsi, nonostante tutto. Avverto l’urgente necessità di raccontare questa storia, oggi, perché “chi è senza memoria è senza futuro” e in Italia molti hanno dimenticato troppo in fretta il significato della Resistenza».

INFO
Nuovo Montevergini
Via Montevergini, 8 – Palermo – tel/fax 091. 6124314 – 3828 www.palermoteatrofestival.com

PREZZO
Euro 7
Prevendita on line su www.liveticket.itwww.palermoteatrofestival.com o c/o il botteghino del teatro alle 19 del giorno dello spettacolo

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