Continua il fermento artistico nel Veneto, che pochi giorni fa ha ospitato la festa/vetrina Sguardi dedicata al teatro contemporaneo regionale, e che ora si prepara a dar spazio al giovane Schiume Festival.
Schiume si svolgerà da domani, 23 giugno, fino al 2 luglio al Forte Marghera (VE), e stavolta il marchio non sarà regionale, ma legato comunque a un bisogno di riscoperta del senso di appartenenza: non al Veneto ma alla realtà in senso più ampio.
Ogni giornata inizierà alle 19,30 per protrarsi fino a sera inoltrata, fra happening, performance, danza, teatro, installazioni, concludendosi con dj set dalle 23 in poi. Una vera e propria ventata di freschezza teatrale, dove non guasterà l’ingresso gratuito.
Giovane il festival e giovani i suoi ideatori: sei ragazzi (Irene Liverani, Alessio Mezzarobba, Simone Montella, Mattia Pagura, Carlotta Scioldo e Alessandro Vincenzi) che, partiti dall’ambiente universitario veneziano, hanno dato vita all’associazione La Periferia, iniziando a presentare i loro primi lavori per poi arrivare a metter su un vero e proprio festival, dando la possibilità a tanti artisti emergenti di esprimersi e farsi conoscere.
Per l’occasione incontriamo questo intraprendente gruppo, che ha fatto della propria personale passione un bisogno collettivo, attraverso Irene Liverani.
Sei ragazzi apparentemente molto diversi l’un l’altro. A parte i titoli di studi, quali sono i punti in comune nel vostro modo di concepire l’arte?
E’ vero, abbiamo formazioni e interessi molto diversi, ed è forse anche questo che contribuisce alla nostra forza, sia in termini di divisione del lavoro, sia di approccio nelle cose che facciamo. Quello che ci unisce è il vedere l’arte – o forse preferiamo dire “la creatività” – come un modo per mettere in comune qualcosa: produrre uno scambio vero tra le persone per rimettere in discussione argomenti di cui si parla poco o non si parla più.
La creatività è una forma di resistenza: un modo per comunicare, ma soprattutto per ricostruirci come agenti attivi di comunicazione, invece di accettare passivamente contenuti e categorie che ci vengono imposti dall’alto e in modo così pervasivi, che non ci chiediamo nemmeno più se i contenuti e le categorie davvero rispecchiano la nostra realtà e le nostre speranze. La creatività è partecipazione attiva. Questa idea si materializza in vari modi all’interno della nostra attività. Si concretizza nella nostra ricerca nell’ambito del teatro d’interazione e si concretizza nel fatto che, attraverso Schiume Festival, portiamo il teatro al di fuori del teatro in luoghi riqualificati, non nati per ospitare rappresentazioni teatrali, come ad esempio due ex-depositi di polvere da sparo del XIX secolo.
Rispondendo alla domanda, vedo che tornano più volte le parole “concreto” e “materiale”. Anche questa è una cosa che ci unisce: la fiducia nell’intervento concreto, semplice e attivo. Stanchi di piangerci addosso sulle sorti della creatività (e non solo) nel nostro Paese, volevamo creare la possibilità concreta, appunto, di cambiamento. Agire in modo costruttivo, per cominciare a modificare le cose dal basso.
È interessante la rapida crescita che avete avuto e che ha portato La Periferia a organizzare un vero e proprio festival. Com’è nata l’idea?
Schiume Festival è il punto di arrivo di un percorso. Tutto è cominciato dalla collaborazione con Forte Marghera, iniziata nel 2009 per la messa in scena di un nostro progetto di teatro interattivo, “Un Ballo”.
Da qui si è sviluppata l’idea, o forse l’esigenza, di espandere la nostra azione, portando avanti la collaborazione con le realtà che gestiscono il forte, per dare spazio ad altre persone e progetti. Questa esigenza si lega con la realtà di Venezia e Mestre, luoghi in cui vedono la luce moltissimi progetti innovativi, ricerche, sperimentazioni, ma che poi non hanno possibilità di essere proposti e di farsi conoscere. Con Schiume Festival intendiamo creare un nuovo circuito che può diventare un punto di riferimento per i ragazzi della nostra generazione, troppo spesso schiacciati da una mancanza di possibilità concreta di sviluppo per i propri progetti. Le cause sono all’interno di scelte politiche che penalizzano (per usare un eufemismo) la proposta culturale e creativa, e di un circuito teatrale troppo spesso immobile e prevedibile, dove la nuova generazione e le nuove proposte faticano a trovare spazio.
Schiume è dedicato non solo al teatro ma a diverse arti performative, selezionate tramite un bando. Qual è stato il criterio di scelta che avete seguito?
Tramite la selezione dei progetti abbiamo cercato di realizzare la possibilità d’incontro tra gruppi provenienti dall’area veneziana e gruppi provenienti dal resto d’Italia e d’Europa, creando un’occasione di dialogo e di scambio di esperienze che possa arricchire tutti i partecipanti.
Tema comune ai progetti selezionati è capire l’influenza del luogo sull’individuo: ognuno dei progetti presentati a Schiume sviluppa una particolare relazione con il luogo nel quale viene allestito. Molto importante in questo caso è la vicinanza con Marghera e le sue industrie.
Abbiamo promosso lavori caratterizzati da una ricerca innovativa, dalla multimedialità e dalla interdisciplinarità.
Infine va detto che Schiume è, per quest’anno, finanziato dal Senato degli Studenti dell’Università IUAV di Venezia. Il budget di cui disponiamo – fondamentale per la sopravvivenza dell’iniziativa, ma molto limitato per un festival di questa portata – ha certamente influito sulla selezione dei progetti. Abbiamo infatti dovuto “rinunciare” ad altri che ci sembravano estremamente interessanti, ma che purtroppo non siamo riusciti a fare rientrare nelle spese.
Nonostante tagli e crisi nel settore arte e teatro, avete dato vita a un progetto importante e coraggioso. Cosa vi spinge a credere ancora in questo percorso?
Abbiamo dato vita a Schiume Festival non “nonostante”, ma proprio per i tagli e la crisi; più in generale, per la situazione politica, sociale, culturale e civile dell’Italia oggi.
Facciamo parte di una generazione nata negli anni ‘80 e cresciuta in una società televisiva che ci ha fatto credere che le possibilità di azione e di cambiamento fossero pochissime. Invece, se qualcosa cambierà, sarà proprio grazie a tutte le iniziative in cui si è ricostruita una partecipazione attiva delle persone iniziando dal basso, dal “fare rete”.
Schiume Festival ci serve come piattaforma da cui partire per chiederci dove siamo e in che modo il contesto ha influito sulla nostra identità. E ci serve anche per interrogarci sugli spazi che abbiamo per cambiare questo contesto, su come lo vorremmo e quali sono le nostre aspirazioni di cambiamento. Per cominciare, insomma, a ragionare in modo positivo e costruttivo.
Purtroppo le risorse sono ancora limitatissime, ma questo non ferma l’energia, anzi.
I gruppi che presenteranno il proprio lavoro a Schiume non riceveranno alcun compenso oltre al rimborso spese e al vitto e alloggio per tre giorni. Abbiamo deciso di investire buona parte del budget in questa idea del vitto e alloggio in modo da dare agli artisti ospiti la possibilità di fermarsi non solo per il tempo di messa in scena del loro progetto, ma un po’ più a lungo, favorendo conoscenza e scambio tra i gruppi.
Noi dell’organizzazione investiamo il nostro tempo, il nostro lavoro e le nostre energie senza nessun compenso. Allo stesso modo, nonostante il budget limitato, abbiamo scelto di non chiedere mai il prezzo di un biglietto, per far sì che le iniziative proposte a Schiume siano davvero alla portata di tutti.
Ci piacerebbe un giorno poter disporre di risorse in modo da ricompensare, come è giusto, il lavoro di tutti. Per adesso continuiamo a giocare al meglio le carte che abbiamo. Non ci piace lasciar perdere: più la situazione sembrava difficile, più sembrava impossibile ottenere un finanziamento, e più Schiume Festival è divenuto una conquista, una realtà per cui vale la pena battersi.
Nella mitologia greca il nome Afrodite significa “nata dalla schiuma”. La schiuma è l’inizio di una nuova generazione. Secondo voi da questa stessa schiuma c’è speranza di ri-nascita anche per il teatro?
Schiume dà spazio a un teatro non professionalizzato – e con questo intendiamo il teatro fatto da chi deve trovarsi almeno un altro lavoro per pagare le bollette, e da chi, nella generica parola “teatro”, fa confluire linguaggi diversi e discipline diverse.
Per noi “teatro” non significa quello che avviene su un palcoscenico, con un pubblico seduto su sedie numerate, al prezzo di un biglietto. Per noi è una parola che contiene ricerche diverse, sperimentazioni, multimedialità e interdisciplinarità dei linguaggi. Ancora una volta, il teatro è una rete.
Dalla schiuma c’è una possibilità di rinascita, ma ciò deve avvenire in tutti i campi della vita civile. Per Peter Sloterdijk, il filosofo a cui il festival deve il suo nome, le schiume sono l’ultimo sistema nella storia della civiltà umana. Le schiume sono sistemi di co-isolazione, non più comandati da un centro che dà loro un senso univoco: mondi diversi ma stretti gli uni agli altri. Le schiume sono la rete, rappresentano una ritrovata partecipazione attiva che si organizza dal basso e che ribollendo potrà portare un cambiamento concreto.