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Scimone Sframeli: smetteremo quando non avremo più nulla da dire (e non è ora)

Bar - Scimone s Sframeli|Nunzio - Scimone s Sframeli|Giù - Scimone s Sframeli|La busta - Scimone s Sframeli

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Giù - Scimone s Sframeli
Da sx Scimone, Sframeli e Gianluca Cesale in Giù (photo: Andrea Coclite)

Un ritorno prezioso e necessario per riannodare, a vent’anni dalla prima di “Nunzio”, le fila di un percorso che per molti versi ha rappresentato, già col suo atto iniziale, un momento di cambiamento per il teatro italiano contemporaneo.
La Compagnia Scimone Sframeli è di nuovo a Taormina per festeggiare i primi venti anni di attività teatrale, nello stesso luogo dove debuttò, il 20 agosto del 1994, con la regia di Carlo Cecchi.
Ecco allora una monografia per ricordare il sodalizio artistico dei messinesi Spiro Scimone, autore/attore, e Francesco Sframeli, attore/regista, esempio di compagnia ‘esportata’ anche all’estero, dove quasi tutti gli spettacoli sono stati rappresentati con successo.

Un compleanno importante, festeggiato con la messa in scena di tutti e sette i loro testi, al Palazzo dei Congressi di Taormina, a partire da “Nunzio” e “Bar” (andati in scena nel fine settimana), a “La festa” (stasera, martedì 22), “Il cortile” (mercoledì 23), “La busta” (sabato 26), “Pali” (martedì 29) e infine “Giù” (giovedì 31), per la prima assoluta al sud dopo il debutto, due anni fa, al Festival delle Colline Torinesi.

Il progetto “L’universo teatrale di Spiro Scimone e Francesco Sframeli” è organizzato in collaborazione con Taormina Arte, sotto forma di antologica, grazie al sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e alla collaborazione del Centro internazionale di studi sulle arti performative “Universiteatrali” dell’Università di Messina, che permette agli studenti di fruire di prezzi agevolati per la visione degli spettacoli, incentivando la conoscenza di una compagnia che ha all’incirca la stessa età dei ragazzi.

Da sx Francesco Sframeli e Spiro Scimone in Nunzio, per la regia di Carlo Cecchi (photo: Andrea Coclite)

Un ritorno per guardarsi indietro, analizzare la strada fatta, ma anche occasione propositiva per tracciare quella ancora da compiere.
La monografia taorminese diventa per noi anche pretesto per un confronto con Spiro Scimone.

Vent’anni di teatro, una prima riflessione.
Non ci aspettavamo tutto questo, volevamo provare a mettere in scena un nostro testo, abbiamo avuto la fortuna di cercare e trovare un maestro, Carlo Cecchi, che ci ha offerto basi forti su cui muoverci, senza ripetere il suo lavoro. Oggi sono proprio i maestri a mancare, sempre meno si cercano e si ha voglia di conoscere il loro mondo, appropriarsi dei loro insegnanti e cercare una strada personale.

Come racconteresti il vostro percorso drammaturgico?
La nostra è una drammaturgia che si basa sul bisogno e la necessità di dire delle cose. Un teatro di parola che si rifà, in modo nuovo, alla tradizione. È questa la forza del teatro contemporaneo, che nasce dalla continua ricerca del rapporto tra autore, attore, spettatore, e diventa occasione per riflettere su ciò che accade ma in modo completamente differente da come viene fatto, ad esempio, dai giornali o dalla televisione. Noi proviamo a raccontare la realtà attraverso l’arte teatrale, cercando di trovare la nostra cifra, con delle evoluzioni ma mantenendo nel tempo dei punti di continuità che danno il senso della nostra poetica e la rendono riconoscibile pur nel cambiamento operato. Vorremmo poi trovare la forza di smettere quando avremo compreso che non abbiamo più nulla da raccontare, ma per adesso non è così!

La busta, con Salvatore Arena (photo: Marco Caselli Nirmal)

Con Francesco Sframeli formi una solidissima coppia artistica. Qual è il vostro rapporto?
Lui dà la vita, l’anima al personaggio, e per un autore è fondamentale poter contare su di un attore così. Ci conosciamo da quando eravamo ragazzi, a livello professionale continuiamo a sentire il bisogno e l’esigenza di andare avanti insieme, nonostante tutte le difficoltà che incontriamo in un percorso spesso in salita come è quello del teatro di oggi, perché tra noi è fondamentale la distinzione dei ruoli, anche nella condivisione dei percorsi, e soprattutto la sincerità di dirsi le cose che non vanno, per il bene dell’arte, e trovare insieme le soluzioni.

Perché questo progetto a Taormina? 
Per mostrare un percorso, i desideri, i sogni, le fatiche di una compagnia, ma anche per guardare ad un pubblico nuovo, che va ricreato ed educato, anche attraverso la possibilità di proporgli tutto il lavoro fatto. Il nostro intento è creare una nuova relazione con i giovani, capire se possiamo continuare ad essere, con i nostri spettacoli, occasione e punto di riferimento per raccontare l’attualità.

A corollario della monografia è previsto, il 31 luglio, un confronto sul vostro lavoro e l’esperienza della compagnia condivisa tra critici, studiosi, traduttori e operatori. Quale pensi sarà il valore di questo momento?
Da una parte si analizzerà la nostra drammaturgia, ma sarà anche occasione, grazie alla presenza di studiosi e operatori, di parlare del teatro contemporaneo in Italia, comprendere i modi nuovi per divulgarlo, sostenerlo, dargli visibilità in un momento di grande crisi, in cui viene penalizzata ancor di più la qualità a discapito di nomi “televisivi”, utili solo a riempire le sale da cui tanti restano fuori.

Sframeli e Scimone in Bar, per la regia di Valerio Binasco (photo: Andrea Coclite)

 

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