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Sciopero Sociale. Lottiamo per il Welfare ma non dimentichiamo di ragionare

Let's strike

Let's strike
Let’s strike

Ieri sera ce lo siamo pure chiesti. Domani che facciamo? Scioperiamo simbolicamente pure noi, che di cultura scriviamo quotidianamente, facendo tacere il giornale?

Poi abbiamo deciso che avremmo comunque lavorato, e non perché crediamo che la situazione non sia grave o ci piovano nelle tasche chissà quanti soldi, noi che potremmo autodefinirci senza alcuna esagerazione ‘volontari dell’informazione culturale’. 
 
Chi scrive, oltre a dirigere questo giornale (con il quale non vivrebbe), lavora proprio nella Cultura (sì, quella con la C maiuscola per cui si protesta anche oggi), per la precisione nel mondo dei libri e delle biblioteche. Quale migliore settore per aver motivi di protesta? Proprio io che faccio i conti giornalmente con i tagli, con i continui cambiamenti legislativi, con la precarietà e le mille difficoltà che – dall’alto e dal basso – piovono nella gestione di un “bene comune” come può esserlo una biblioteca pubblica, splendido biglietto da visita elettorale (soprattutto nei piccoli centri) se il servizio è eccellente e amato dal territorio, eppure sempre destinato a ricevere le briciole al momento di redigere bilanci.
Eppure, nonostante tutto questo, mi sembra alto il rischio di trasformare un potenziale momento di riflessione in uno sciopero ideologico o ideologizzato. Bianchi contro neri, o viceversa, e cambiate i colori se non vi piacciono. Un po’ come se l’equazione sia semplificabile in Privato = male / Pubblico = bene.

 Tra le motivazioni dello sciopero di oggi, contro il Jobs Act ma non solo, in un pot-pourri di argomenti e lotte incrociate (proprio qua sta la forza! dicono gli organizzatori), ce ne sono molte che condivido: il movimento contro le Grandi Opere (solo così il Paese può tornare a ‘crescere’? E poi, la logica della crescita non è ormai sorpassata da ogni punto di vista?); la battaglia per i Beni Comuni visti come fonte di democrazia e non come possibilità di far cassa attraverso le privatizzazioni; la tutela della destinazione d’uso di spazi culturali…
Eppure ci sono dei ‘ma’. Delle sfumature che forse non andrebbero sottovalutate a favore di uno schieramento netto. Faccio qualche esempio.
 
Gli studenti che scendono in piazza oggi muovono critiche che possono essere considerate sacrosante: i tagli ai fondi per le università, l’erogazione di borse di studio… 
Ma quando si parla, nella “Buona Scuola“, di meritocrazia per gli scatti dei professori, scusate ma qua non mi trovo così in disaccordo con la proposta Renzi (pur non considerandomi renziana).
Ragazzi, siete davvero sicuri di volere dei docenti che sanno di avere una cattedra per diritto acquisito e a cui la qualità del loro lavoro importa poco o nulla?
Li vedo tutti i giorni i professori che valgono e quelli che non valgono. La differenza salta agli occhi immediatamente avendo a che fare con le loro classi. I ragazzi che hanno validi professori hanno una marcia in più: nel grado di attenzione, nell’interesse, nella capacità di comunicazione e confronto…
Chi insegna fa uno dei mestieri più importanti al mondo, e trovo sia giusto – in un’Italia quasi mai meritocratica – fare in modo che un insegnante che non scalda una sedia solo per ripiego sia valutato (anche economicamente) per quanto vale e per quanto ha voglia di ‘dare’.
La proposta di Renzi potrebbe certo essere perfezionata (con una battaglia per migliorare il contratto economico di categoria magari, o con un sistema che integri anzianità e meritocrazia), ma non credo che il principio sia sbagliato in toto.
Passiamo al settore che conosco più da vicino. Sono la prima a battersi per i beni comuni e, ad esempio, per la gratuità dei servizi di una biblioteca. Ma siamo poi certi di voler fare di tutta l’erba un fascio?
Oggi una grande parte di biblioteche pubbliche sono date in gestione a enti esterni o cooperative che, più o meno qualificate (ed ecco già qua il primo dramma), gestiscono tutti o quasi i servizi. Conosco tanti esempi di biblioteche la cui gestione è quasi totalmente esternalizzata che funzionano molto meglio di tante biblioteche ancora con bibliotecari assunti a livello comunale/statale, ancorati a vecchi modelli ormai del tutto obsoleti, il cui unico scopo è arrivare alla pensione, spesso del tutto inconsapevoli (o disinteressati) delle potenzialità che potrebbe offrire il loro lavoro, perché tanto quel posto ce l’hanno (ah, il vecchio posto fisso!), e allora perché preoccuparsi di altro?
Per contro ci sono (più o meno giovani) bibliotecari sempre più specializzati, con alti profili, che vivono nella precarietà ma svolgono il loro lavoro con passione ed entusiasmo.
Che la soluzione sia solo quella di regolarizzarli attraverso concorsi pubblici che ormai non esistono praticamente più in quel settore? Non lo credo affatto. Credo semmai sia molto più importante, da parte di un ente pubblico, dare in appalto un servizio ad una realtà privata (cooperativa o altro) valida, che sia di supporto alla formazione permanente dei suoi lavoratori, che dia stipendi adeguati e che sia riconosciuta in modo unanime per la sua professionalità e per quella dei suoi dipendenti (i volontari? Ci sono tantissime altre realtà che li cercano…).
Ecco allora dove sta il perno rotto: gli enti pubblici dovrebbero indire gare d’appalto non al ribasso, dovrebbero tenere in conto la professionalità, gli obiettivi raggiunti negli anni, il grado di innovazione introdotta, la soddisfazione dell’utenza, eliminando manovre politiche, ‘amicizie’ etc. etc. Discorsi lunghi e dai mille risvolti.
Per quanto mi riguarda la ‘salvezza’ di una biblioteca di pubblica lettura – servizio che peraltro negli ultimi anni ha avuto un enorme incremento di utenti in tutta Italia – non sta nel suo essere o meno privatizzata (in alcuni casi privatizzarne alcune potrebbe forse spronare ad ottenere migliori risultati), ma nel garantire gli stessi livelli di gratuità del servizio per l’utente, servizi d’eccellenza (compatibilmente con il budget a disposizione) e retribuzioni adeguate alla professionalità del personale.
Qui non si vuole certo auspicare alla guerra serrata di tutti contro tutti, né tantomeno affermare che lottare per mantenere il Welfare State non sia di primaria importanza. Ma scegliere tra bianco e nero non fa che creare masse che ragionano per stereotipi. E allora, forse, in questa giornata di slogan e cortei dalle inevitabili tensioni, è meglio ragionarci un po’ più su, senza eliminare alcune sfumature. 
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