Simona Malato e Chiara Peritore protagoniste della produzione del Teatro Biondo di Palermo, sold out da febbraio
Ci sono ferite impossibili da sanare, troppo grande il dolore che portano con sé ed il senso di colpa che si insinua in un angolo della mente e del cuore.
Se la realtà diventa troppo dura da affrontare, priva di senso e di un possibile fine positivo a cui tendere, può l’immaginazione costruirne una nuova?
Per l’autore e regista Rosario Palazzolo, «sabotare la realtà con l’immaginazione è l’unica alternativa che abbiamo, la sola che ci permette di spostare in avanti il limite del precipizio, ridisegnando continuamente il panorama, costruendo immaginari improbabili con una risolutezza manichea, che riesce a trasfigurare la verità».
È quello che mette in atto con “Se son fiori moriranno”, spettacolo scritto e diretto dallo stesso Palazzolo, con Simona Malato, Chiara Peritore e Delia Calò, prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, primo atto di un “Dittico del sabotaggio” e ulteriore tassello di una ricerca che l’autore palermitano porta avanti sui rapporti tra realtà e immaginazione, tra la concretezza di un mondo crudo e spesso insostenibile e la creazione artistica come possibile spazio di fuga.
L’immaginazione, con le parole utilizzate da Palazzolo, «è una manna, una maledizione, un ordigno e una trappola, è ciò da cui non riusciamo a separarci, ciò che difendiamo con la nostra stessa vita gettando sul piatto pure quello che non abbiamo, purché rallenti l’inesorabilità degli eventi, esponendoci a un’agonia insopportabile, che impariamo a sopportare».
L’immaginazione come grimaldello per provare a guardare in faccia un dolore altrimenti troppo impossibile da affrontare, quello di una madre costretta ad osservare, inerme, l’agonia della figlia, in stato vegetativo da 15 lunghissimi anni. Ruota attorno a questa condizione – tra fissità e irrefrenabile voglia di agire, muoversi nello spazio scenico – la narrazione intensa e convincente messa a punto da Palazzolo, che dipinge una realtà distorta e dissonante, nella quale presente e passato si confondono.
A dare corpo alle suggestioni proposte da Palazzolo sono una madre, interpretata da Simona Malato in modo intenso e sempre capace di restituire piene le molte sfumature del calvario di donna lacerata dai sensi di colpa; una figlia, Chiara Peritore, diplomanda alla scuola di teatro del Biondo, bambina nel corpo di adolescente, dolce, ingenua ed energica. E poi una voce fra il pubblico, quella ferma ma insieme amorevole di Delia Caliò, che tiene le fila tra realtà e immaginazione e prova a dare un sostegno e un briciolo di speranza alla madre disperata.
Madre e figlia si muovono in uno spazio chiuso, coloratissimo ma pieno di crepe e lacerazioni – le scene sono di Mela Dell’Erba che cura anche i costumi, le luci di Gabriele Gugliara –, porte sbarrate, perimetro segnato: la stanza dei giochi della piccola Luisa diventa unico luogo da vivere durante tutta la narrazione, in cui la madre Adele costruisce il suo eterno presente.
Immaginifica anche la parola imbastita da Palazzolo, attraverso una scrittura affilata, densa, dove frasi spezzate si scontrano con intensi silenzi, a cui fanno da contrappunto le musiche originali e cariche di emotività di Gianluca Misiti.
Quella che l’autore costruisce per Adele – donna semplice, dedita alla figlia, sua vera ragione di vita, e al proprio lavoro, unico loro mezzo di sostentamento – è una lingua informe, surreale, ironica, una lingua nuova per dare corpo ai suoi pensieri, ai suoi desideri: inventa parole nei frangenti in cui non riesce a trovarne di sue, ne storpia altre dando vita ad un inevitabile effetto comico. Una risata spesse volte amara, come la materia entro cui la madre si muove con determinazione, affetto senza fine nei confronti della figlia che “prende vita”, sollecitata dall’amore della madre, per poi tornare nel suo sonno immutabile, o forse anche quei momenti di gioco e condivisione fra mamma e figlia sono frutto di una immaginazione distorta.
In questo gioco massacrante per la madre, il pubblico diventa un comprimario silenzioso, che osserva e giudica, e al quale la donna si rivolge per cercare conforto, nel tentativo di condividere la responsabilità di un fardello troppo pesante da reggere, e trovare una possibile via di fuga dalla fine terribile che però dovrà inesorabilmente ed inevitabilmente consumarsi, così come alcuni segnali sulla scena lasciano presagire.
Se son fiori moriranno
testo e regia Rosario Palazzolo
scene e costumi Mela Dell’Erba
musiche originali Gianluca Misiti
light designer Gabriele Gugliara
con Simona Malato, Chiara Peritore
e la voce di Delia Calò
aiuto regia Angelo Grasso
produzione Teatro Biondo di Palermo
durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 3’
Visto a Palermo, Teatro Biondo, il 18 marzo 2023