Il festival, aperto il giorno precedente da un convegno sul rapporto fra teatro e territorio, ha riunito a Verona operatori provenienti dalle varie parti d’Italia, che hanno potuto vedere da vicino 25 spettacoli tra studi e nuove creazioni originali, scelti da un’apposita commissione coordinata da Andrea Porcheddu.
Dobbiamo subito dire che, pur nella varietà e ricchezza delle proposte presentate, che l’hanno qualificata come una vera e propria festa del teatro veneto, questa nuova “puntata” di Sguardi è stata per uno spettatore privilegiato come noi, che seguiamo la manifestazione dal suo inizio, un’edizione alquanto difficoltosa, seppur consona con i tempi difficili che stiamo vivendo, tanto che spesso non siamo riusciti bene a comprendere il vero stimolo necessario di molti spettacoli. Comunque, nel complesso, come sempre si è mostrata esemplificativa dei modi e delle direzioni su cui si muove tutto il teatro italiano.
Hanno deluso le aspettative soprattutto le compagnie esordienti o con cui comunque non eravamo mai entrati in contatto, portatrici di progetti confusi, dove tratto comune ci è sembrata la mancanza di un regia che ne coordinasse le varie parti; in quest’ottica, le creazioni più apprezzate sono state quindi quelle affidate alla bravura degli interpreti in scena, uno o due al massimo, un segno dei tempi, che il più delle volte impediscono alle formazioni teatrali di investire maggiormente.
Maura Pettoruso di Arkadis, per esempio, in “Nostra Italia del miracolo” riesce con naturalezza espressiva a rendere un sentito omaggio a Camilla Cederna, ripercorrendo la storia dell’Italia dagli anni Cinquanta agli Ottanta del secolo scorso, e lo fa attraverso i suoi articoli. In questo modo, come leggendo un grande giornale parlato, lo spettatore ripercorre le vicende del nostro Paese da angolazioni personalissime, mai banali, che sempre preconizzavano un’ Italia in divenire, e spesso pervase da un’ ironia beffarda.
La discreta regia di Giulio Costa, che firma anche la drammaturgia, composta da pochissimi elementi, lascia tutto alla capacità dell’attrice di catturare l’attenzione dello spettatore.
Le parole scritte su un giornale, per mezzo del teatro, tornano a rivivere per narrarci un’epoca, per riverberarci ricordi lontani, rivisti da un’ottica intelligente e particolare.
Su tutto un altro versante è Francesca Botti in “Ah L’amore l’amore” con Sabrina Carletti e l’accompagnamento musicale di Niccolò Sorgato, che compone una specie di breviario dell’amore e delle sue declinazioni attraverso le confessioni pubbliche di due donne che, inguaribilmente sole in una serata di svago solo apparente, si trovano a ragionare sulla loro condizione.
Lo spettacolo si compone di monologhi, canzoni di Tenco, Nada, Ciampi, Gaetano e Ruggeri, di situazioni in cui lo spettatore si ritrova perfettamente, portando alla riflessione sulla condizione di solitudine che porta l’assenza d’amore. Insomma, una sorta di teatro canzone ben recitato, divertente, ma non solo, colmo di annotazioni pertinenti riguardo il sentimento che muove la maggior parte delle azioni di noi tutti.
Ci piace elogiare Isabella Caserta e Francesco Laruffa di Teatro Scientifico che, intorno e sopra un marmoreo letto-sepolcro, a stretto contatto con gli spettatori, alla maniera antica, si sono cimentati con successo nell’ardua impresa di mettere in scena “Orgia” di Pier Paolo Pasolini, tragedia altamente anti teatrale, espressa poeticamente in versi, dove un uomo e una donna della ricca borghesia cittadina si sbranano in un rapporto di estremo sadomasochismo.
È un rito che rivela la vera natura dei rapporti sociali, dove la violenza del potere sorregge ogni realtà sociale, e dove si consuma “il dramma per la disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini”. Come spesso accade in Pasolini, la poesia travolge tutto, rendendo plausibili nella loro lacerante verità anche le situazioni più estreme, che i due attori sorreggono con grande abilità interpretativa.
E’ un solo attore, Alberto Pagliarino, su un testo di Alessandra Ghiglione, in scena per “Pop economix live show” a spiegarci, in modo semplice e attraverso accorte esemplificazioni, le ragioni e lo sviluppo della crisi che sta investendo il mondo intero, partendo dal famoso fallimento della Lehman Brothers.
Ci vorrebbe qualche pausa in più, lasciando spazio maggiormente ai sentimenti comuni, ma lo spettacolo ci sembra essere un buon esempio di teatro civile di denuncia.
Come si è detto sono soprattutto mancate, come nelle precedenti edizioni, le sorprese legate a gruppi di recente formazione (o a noi sconosciuti), che si sono presentati con spettacoli confusi che hanno messo a dura prova l’attenzione dello spettatore.
E’ il caso di “Ogni possibile inutile resistenza”, creazione di teatro-danza (?) sul tema dell’interruzione, scritto e interpretato da Giulia Tomelleri, in cui è stato coinvolto anche un attore di pregio come Solimano Pontarollo. O come “Spring boy” sulla figura di Bendan Behan, drammaturgo e militante dell’IRA, che giovanissimo subì un duro internamento, con l’immancabile video di supporto che interagisce con l’attore, dove il rapporto tra vittima e carnefice non si traduce in nessun moto di condivisione o riflessione ma purtroppo solo di noia.
O, ancora, con l’improbabile, sotto diversi aspetti, messa in scena della compagnia I Tre punti dei “Blues” di Tennessee Williams o infine come “Goliarda”, spettacolo cineteatrale, scritto, diretto ed interpretato da Cristiana Raggi, che comunque tenta di far uscire dall’oblio la figura di Goliarda Sapienza, anche qui con l’aiuto fondamentale del, per altro suggestivo, video di Liviana Davì.
Non del tutto banale invece ci è parsa la versione danzata di “Cappuccetto rosso” di Ersilia Danza, con ideazione coreografia, regia e testi di Laura Corradi su musiche originali di Fabio Basile e con in scena i convincenti Midori Watanabe e Carmelo Scarcella. Lo spettacolo però accumula troppe direzioni, sovraccaricando di segni e significati una storia che dovrebbe invece andare più a fondo nel rapporto tra i due personaggi, dimenticandosi di essere offerta ad un pubblico giovane.
Piacevole è poi il risultato di “Fragile” di Pantakin Circo, con Benoit Roland ed Emanuele Pasqualini che, senza parole alla maniera del cinema muto, con la regia di Ted Keijser, giocano con un numero imprecisato di scatoloni, stimolando l’attenzione e lo sguardo dello spettatore ad immaginarne il contenuto.
Segnaliamo ancora, tra gli altri, la Merini di Vasco Mirandola, proposta in musica, e la fatica immane di Patricia Zanco nel farci dimenticare Marco Paolini proponendoci ancora uno spettacolo sul Vajont; infine Ilaria Dalle Donne, che cerca meritoriamente, anche qui con fatica, di trovare una sua originale dimensione stilistica.
Insomma, al di là dei risultati, una vera e propria festa per il teatro veneto, che in questi ultimi anni, a partire da Babilonia Teatri, Fratelli dalla Via (recenti vincitori del Premio Scenario), Barabao Teatro (a Sguardi con una parte del loro nuovo lavoro “Patatrak”), ha comunque dato grandi soddisfazioni.
Non ho voluto infangare il fatto che madre e figlia fossero insieme sulla scena, cosa che mi è sembrata bellissima parlando di quell’argomento, l’errore è della compagnia che ha voluto presentarlo in un Festival
immagino che i tralasciati, non lo siano stati per distrazione.
Non avrei però taciuto della Piccionaia. Che è soggetto più colpevole di altri, per costituzione storica.