Il mondo è in crisi, parola di teatro. Reportage da Sguardi Festival 2010 (2^ parte)

Veneti Fair
Veneti Fair
Veneti Fair

Crisi mondiale, crisi sociale, crisi economica, crisi culturale.
La parola “crisi” ci perseguita, è ormai la più diffusa sui giornali, l’intercalare più usato dalla gente, l’alibi più comodo delle istituzioni (anch’esse in crisi). Come reagire? Tutti si lamentano ma nessuno ha più voglia di issare rivoluzioni e sommosse popolari: troppo sangue, troppa fatica, troppo stress.
In teoria (almeno in quella) la più grande arma del mondo contemporaneo è il dialogo; parlare, chiedere, comunicare sono nostri diritti, perlomeno quelli che ci restano. Sarebbe ormai fuori moda discutere i problemi dell’Impero nel buon vecchio Foro romano, perciò è giusto che la tribuna degli oratori trovi un luogo più raccolto, predisposto per la visione e per l’ascolto, magari con comode ed invitanti poltroncine… il teatro allora!

E infatti, pur essendo nel centro del mirino di tagli statali e sovvenzioni, il teatro non si arrende. Anzi. Si è assistito ad un vero e proprio fenomeno “reazionario” in Sguardi, festival-vetrina del teatro contemporaneo veneto dove il tema comune delle piccole sommosse-spettacolo è stato appunto questa patata bollente del mondo in crisi.
E sono riusciti a tenerla a lungo, pur scottandosi, Marta Dalla Via con “Veneti Fair” e Colectivo tbt – Carichi Sospesi con “North-b East”. Due spettacoli che, tra autobiografie ed invenzione, hanno scosso (o hanno provato a farlo) quel popolo in ascolto dei suoi oratori.
Marta, attrice e performer formatasi tra gli altri con Pippo Delbono, dal 2002 lavora con la compagnia Pantakin da Venezia (al festival con“Cirk”), con la quale vince il Leone d’oro alla Biennale di Venezia 2006. Autrice dei suoi allestimenti, con l’ultimo lavoro, “Veneti Fair”, regia di Angela Malfitano, ha debuttato al Napoli Fringe Festival trovando grande favore del pubblico.
In effetti “Veneti Fair”, provocatorio ed attuale, è, per chi guarda il nord “dal sud”, una vera e propria calamita. Persino la banale affermazione “il mondo è tondo e c’è sempre qualcuno più terrone di qualcun altro” fa effetto sul sentimento di riscatto di un meridione sempre più a rischio sfratto dall’Italia. L’industriale, la letterina, la pettegola delineano le nuove maschere veneziane e parlano con ironico cinismo di una terra, quella veneta, dove persino il lavoro nero e il razzismo verso lo “stra-comunitario” sono diventati una noiosa routine. E mentre ogni maschera-macchietta racconta la realtà del suo mondo ristretto, il riso del pubblico abbonda, ma sa di amaro.

Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza il Colectivo tbt – Carichi Sospesi. Nato nel 2009 da Marco Tizianel, Silvio Barbiero e Paolo Tizianel, il Colectivo vede con “North-b East” il suo primo lavoro, debuttato già nel 2009 nella stagione “Paesaggio con Uomini” di Dolo.
Due vite apparentemente lontane, tra uno smog che “sfugge alle sigle e ai numeri, più sottile delle polveri, più impalpabile dei gas” si rincorrono per poi incontrarsi, forse amarsi. Un bancario e uno studente fuori corso si trovano a scontare entrambi le pene di una società, quella della “Padania Valley”, in una sequenza di eventi tragicomicamente quotidiani, di cui siamo tutti vittime, ‘nord-estini’ e nostrani.

C’è chi, però, non può permettersi ancora a lungo di aspettare che la terapia d’urto contro il mal-di-contemporaneo faccia effetto. A causa della crisi e dei tagli finanziari, il Tam Teatromusica – che realizza progetti in ambito di diversità – rischia di dover dare un taglio anche al contributo sociale che da anni riesce a portare in luoghi problematici. “Siamo molto preoccupati per i tagli da parte della Regione – afferma Andrea Pennacchi che, con Maria Cinzia Zanellato, ha presentato a Sguardi “Annibale non l’ha mai fatto” – Speriamo di poter contare presto su un appoggio del Comune”. In scena Pennacchi affianca (e ci tiene a sottolineare il suo ruolo secondario) Farid Kessaci, detenuto del carcere Due Palazzi di Padova, dove dal 1995 porta avanti un laboratorio permanente con un gruppo di detenuti. 

Alla crisi, insomma, si aggiunge la paura del non potersi più donare agli altri, in una realtà in cui è diventato difficile persino darsi a se stessi: una crisi in crisi, difficile da affrontare anche mettendola in scena.

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