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Sguardi postumi. Riflessioni a più voci sulla creatività veneta

Regione Veneto

Regione VenetoIn qualità di invitato alla festa del teatro contemporaneo veneto, che ha fatto di “contatto” e “conoscenza” le sue parole chiave, Klp ha colto l’occasione per curiosare tra operatori, organizzatori e artisti scambiando con loro quattro chiacchiere sull’esito dell’iniziativa.

Qual miglior momento di dialogo se non un conviviale buffet post-spettacolo? Così, dopo la prima tranche di programma nell’ultimo giorno di festa, abbiamo approfittato del convivio per dare voce a chi ha attentamente guardato il palcoscenico.

Davanti a una mousse al cioccolato ci siamo imbattuti in tre ospiti di rilievo: Labros Mangheras (presidente dell’associazione Produttori Professionali Teatrali Veneti), Francesco D’Agostino (direttore organizzativo della compagnia Quelli di Grock di Milano) e Andrea Porcheddu (coordinatore della commissione artistica di Sguardi).

Labros, siamo alla conclusione di questa seconda edizione Sguardi. Tirando le somme, come pensi sia andata?
E’ andata benissimo. Intanto perché quest’anno è stata aggiunta l’iniziativa Sguardi-Lab, un vero e proprio laboratorio sul sistema teatro a cui ho tenuto molto. L’anno scorso si parlò di residenze artistiche e vennero fuori importanti documenti che abbiamo poi pubblicato, stavolta abbiamo pensato di mettere insieme gli enti locali, le compagnie, le strutture teatrali venete e la politica per chiudere il cerchio, e ne sono venuti fuori degli appunti che gireranno per produrre nuove idee.
Grazie a Sguardi-Lab abbiamo constatato che il sistema teatro al livello nazionale è fallito. È fallito perché, come diceva Renato Quaglia, è stato inventato quando i telefoni erano attaccati al muro. Oggi siamo in una realtà completamente diversa, ma quel sistema continua a persistere, senza essersi però aggiornato. Oggi c’è quindi bisogno non di cambiarlo, ma di reinventarlo da capo. E paradossalmente gioca a favore del Veneto l’essere rimasto teatralmente al punto 0: non essendo mai stato ben organizzato, e trovandosi perciò in ritardo rispetto al resto d’Italia, ha fatto sì che noi restassimo fermi al punto di partenza, mentre nel frattempo gli altri sono andati avanti col proprio sistema, che è poi invecchiato e crollato. In pratica siamo in un momento in cui per gli altri – e con altri intendo le altre regioni – è un tornare indietro, per il Veneto un ripartire.
La grossa crisi di cui si sente tanto parlare non è nel teatro. Come abbiamo visto anche qui, il teatro è quanto mai vivo, giovani compagnie nascono continuamente con idee interessantissime, riuscendo anche a fare mercato, ma restando invisibili al vecchio sistema, che da sempre ruota intorno al F.U.S. Per cui, nel momento in cui il F.U.S. ha diminuito i finanziamenti, il teatro è andato in crisi totale. Ma all’esterno di questo sistema ce n’è un altro parallelo, che non si basa sul Fondo Unico e che per questo cresce e va avanti, e che in Veneto è molto forte. Sguardi lo rappresenta in pieno: al suo interno vi sono circa 25 strutture partecipanti, di cui solo cinque riconosciute dal F.U.S., per un totale di non di più di 130.000 euro. Parliamo cioè di una somma inesistente. Tutto ciò che abbiamo visto in questi giorni è la dimostrazione che questo sistema parallelo funziona, e che questo settore di teatro ha al suo interno degli artisti che partecipano e creano per una propria esigenza, indipendentemente dagli esiti di mercato.

È pronto, secondo te, il teatro veneto per confrontarsi col mercato nazionale?

Secondo me sì. Faccio l’esempio di Marta Dalla Via, che l’anno scorso ha portato a Sguardi “Veneti Fair”. Lo spettacolo era pronto per proporsi all’estero e fu presentato a Sguardi senza credere più di tanto nella sua riuscita nazionale. Dopo Sguardi ha invece avuto moltissime repliche, incontrando anche il C.R.T. di Milano, che ha prodotto il nuovo spettacolo di Marta. Il suo caso di ‘esportazione’ fuori dalla regione non è rimasto isolato. Per non far torto a nessuno, prendo ad esempio la mia compagnia – il Tib Teatro – che, in media, gira 120 teatri l’anno, dalla Sardegna alla Svizzera.
Il teatro veneto nel mercato nazionale va molto bene, e paradossalmente ha molta più visibilità fuori dalla propria regione. Inoltre, grazie a Sguardi, è nata ARA, una nuova associazione sviluppatasi a Padova dopo la prima edizione, che mette insieme tanti artisti che hanno partecipato a Sguardi, in una struttura unica e perciò più forte.
La cosa bella di questa festa/vetrina è che permette a tutti noi del settore di prendere contatti e conoscerci meglio, rendendoci conto di quanto siamo simili e di quanto sia in realtà semplice fare un cammino insieme.

Facciamo un passo indietro. Hai fatto l’esempio di Marta dalla Via. C’è quindi stato un “monitoraggio” degli incontri tra compagnie e operatori dopo la partecipazione a Sguardi?
Abbiamo intenzione di farlo, infatti a luglio saranno distribuite delle schede a tutti gli artisti che hanno partecipato ad entrambe le edizioni per capire quanto mercato si è creato in seguito a Sguardi. Non pensiamo che troveremo dati miracolosi, ma di certo potremo constatare buoni risultati. Abbiamo intenzione di puntare sui numeri e di condurre questa ricerca in maniera sistematica.
Comunque il riscontro in generale è molto positivo. Pensare alla vendita dello spettacolo grazie all’incontro con l’operatore è giusto, ma non gli diamo troppo valore, è un fattore importante ma non l’unico. La cosa principale è riconoscere che tra noi abbiamo cose in comune, e renderci più visibili alle istituzioni, come regioni e comuni. Spesso non si ottengono fondi non per mancanza d’interesse verso il settore, ma per mancanza di conoscenza. Gli enti sanno bene che esiste lo Stabile, la Fenice, l’Arena, ma di noi non sanno nulla. Sguardi ci rende più visibili, scatta la nostra fotografia e facilita i rapporti con le istituzioni. Ecco perché Sguardi nasce in questa regione, per soddisfare l’esigenza di essere guardati dal nostro stesso territorio.

Francesco D’Agostino, tu sei qui in qualità di operatore fuori i confini del Veneto. Quali sono le tue impressioni su questa nuova edizione di Sguardi?

Avendo seguito l’iniziativa già a Padova, ho potuto confermare ciò che già pensavo: la caratteristica che più mi piace della rassegna è il mettere insieme tanti tipi di teatro, da quello per ragazzi a quello di ricerca e innovazione. Unire le forze è secondo me molto importante.
Che ci sia poi un coordinamento artistico da parte di un critico teatrale come Andrea Porcheddu è un altro dato molto significativo, perché tutela la visione da parte di noi operatori mettendoci al riparo, per quanto possibile, dal teatro amatoriale.
Trovo interessante avere dei luoghi in cui poter assemblare spettacoli e momenti di convivialità come questo – anche se il catering non è dei migliori! –, assecondando possibilità d’incontro tra artisti e pubblico specialistico.
Rispetto a Sguardi prima edizione l’unica pecca è forse la scelta del periodo, che secondo me è meno indicato. Credo che il mese di settembre, scelto per la scorsa edizione, sia più adatto, perché giugno è già molto affollato di vetrine e festival. Io personalmente è quasi un mese che giro per festival senza riuscire ad andare in ufficio! Settembre invece è un mese abbastanza vuoto, e riguardo la vendibilità non cambia molto tra i due mesi: a giugno le programmazioni adulti sono già chiuse e a settembre le programmazioni ragazzi ancora aperte. Devo dire poi che la scelta di fare un festival in vere e proprie città come Padova e Venezia mi lasciava perplesso, perché immaginavo difficoltà organizzative e la possibile dispersione, tant’è che spesso i festival vengono fatti in piccoli comuni. Ma devo dire che entrambe le città hanno invece dimostrato di essere ben accoglienti e preparate. Trovo molto curato il livello organizzativo.

Potendo fare un confronto col territorio lombardo, trovi che la produzione veneta sia a un buon livello qualitativo?

Il piacere-non piacere è ovviamente soggettivo, e specie andando a un festival non ci si può mai aspettare che tutto ciò che si vede piaccia. La mia critica nasce nel momento in cui vedo del non professionismo, e dei casi li ho trovati anche qui, ma probabilmente alle spalle c’è un pensiero in qualche modo educativo, teso a far sì che le compagnie possano rendersi anche conto della bassezza del proprio livello, scontrandosi con pubblico e operatori… una sorta di terapia d’urto! In generale, secondo me, il livello è mediamente buono; ci sono delle cadute, ma rientrano nella fisiologia dei festival. Trovo che il teatro veneto sia assolutamente competitivo e che non abbia nulla da invidiare ai professionisti di altre regioni. È un bene che la PPTV si sia adoperata per creare questa manifestazione, perché era davvero un peccato non avere un panorama del nord-est teatrale.

Andrea (Porcheddu), cosa pensi della riuscita di quest’edizione di Sguardi?
Mi sembra che la ‘festa’ sia andata abbastanza bene. Abbiamo avuto una grande risposta da parte degli operatori italiani, incuriositi da quanto sta succedendo da queste parti.
Dal punto di vista organizzativo è stato tutto impeccabile e il merito va all’efficienza dell’organizzazione e della logistica, che non si è fatta abbattere dalle difficoltà che presenta una città come Venezia per quel che riguarda trasporti e strutture.

In qualità di coordinatore del comitato artistico hai avuto conferma delle scelte fatte?
Dal punto di vista degli spettacoli mi è sembrato di trovare risposta alla suggestione su cui rifletto da tempo, cioè che il teatro veneto è in gran fermento. Gli esiti sono più o meno interessanti, alcuni ancora acerbi o in divenire, altri già maturi, ma le scelte della giuria rientravano in una logica abbastanza aperta e ampia, dove ciascun membro della commissione ha portato osservazioni e motivazioni diverse. Detto questo, in generale credo che dal punto di vista artistico abbiamo dato un bello spaccato teatrale di grande vivacità.

Rispetto al numero 0 di Padova, trovi miglioramenti o peggioramenti in questo numero 1?
Ho trovato di sicuro conferma sulla necessità di fare questa vetrina. Quest’anno è stato riconfermato il sostegno della Regione Veneto, che per noi è molto importante, e abbiamo incontrato il favore del Comune di Venezia, che ha mostrato grande interesse per l’iniziativa.
Si riscontra un bisogno condiviso, soprattutto da parte degli artisti, di confrontarsi con una prospettiva nazionale e di entrare in logiche di mercato più ampie.
Mi sembra interessante anche notare che l’anno scorso molti spettacoli riflettevano sul tema dell’identità, su cosa vuol dire essere veneti oggi e appartenere al nord-est. Quest’anno il tema è stato diverso: ci si è occupati meno dell’identità veneta e più della realtà. Abbiamo avuto anche maggiore attenzione al teatro ragazzi, e quindi al nuovo pubblico che ha portato a una ricerca di nuovi linguaggi molto interessanti.

Qualitativamente parlando e ovviamente generalizzando, il teatro veneto che è stato qui rappresentato è a un livello tale da potersi confrontare al di fuori della sua regione?
Secondo me ci sono alcuni spettacoli – di cui non faccio nome per ‘segreto professionale’- che potrebbero tranquillamente essere portati fuori dal Veneto; altri sicuramente no, e per questi è un bene l’essersi confrontati in questa vetrina, così magari riusciranno a capirlo!
Adesso ciò che manca molto è una prospettiva internazionale, bisogna cominciare a ragionare in termini almeno europei, e capire cosa succede negli altri Paesi, per riflettere sulle estetiche del contemporaneo, anche del nostro contemporaneo. E su questo siamo ancora molto indietro, credo che pochissimi di questi spettacoli, forse nessuno, potrebbero reggere un confronto internazionale.

Parlavamo anche con Labros del monitoraggio post-Sguardi, per capire che esiti ha portato l’incontro tra artisti e operatori. Cosa pensi a riguardo?

Beh’, diciamo che il ‘conto dei coperti’ non ci interessa poi tanto. Noi naturalmente ci auguriamo che dei molti operatori presenti al festival alcuni vorranno riempire i loro cartelloni con le nostre proposte. Si sa che, comunque, le dinamiche di mercato sono tante, e a questo si aggiunge il periodo non proprio roseo dell’economia teatrale, che perciò tende a puntare maggiormente su nomi consolidati per non correre rischi. Su questo di certo non possiamo intervenire, ma credo che anche se nell’immediato non c’è la compravendita, l’importante è che si siano creati i contatti, che sono la cosa principale affinché avvenga dialogo, ascolto e conoscenza, scopi sostanziali di questa vetrina.

Klp, oltre che raccogliere i pareri più “tecnici”, ha approfittato anche della pausa caffè, per sentire la voce di alcuni artisti. Abbiamo così incontrato Antonino Varvarà, direttore del Teatro Aurora di Marghera, nonché regista di “Come uno scarafaggio sul marciapiede” esibitosi a Sguardi sabato 11 giugno, e Marco Sgarbi, direttore del Teatro Comunale di Occhiobello, che ha presentato “Senza Titolo” di Giulio Costa.

Antonino, qualche impressione a caldo su questa festa/vetrina?

Innanzitutto vorrei dire che mi ha fatto molto piacere aprire il nostro Teatro Aurora alla interessante vetrina di Sguardi, ospitando alcuni degli spettacoli in programma. Oltretutto è stata una bella soddisfazione vedere alle dieci del mattino almeno una ottantina di persone tra operatori e non, prendere posto per assistere al nostro lavoro. Dopo gli ottimi consensi ottenuti, speriamo che lo spettacolo possa circuitare anche fuori regione.
Perciò, dal mio punto di vista, l’esito di Sguardi è molto positivo. Ha dato a tutti noi la possibilità di capire cosa bolle nella pentola teatrale veneta, di contarci, di vederci e di conoscerci. Per noi di Questa Nave è stata inoltre un’occasione per presentare la giovane compagnia Tre Punti di Mestre, con la quale abbiamo co-prodotto lo spettacolo e che, per la prima volta, si è confrontata con un testo contemporaneo. Direi che per quel che ci riguarda, la funzione di questa vetrina è stata pienamente assolta, dimostrandosi capace di far testare e gustare agli ospiti ciò che accade nella nostra fervente realtà.

Marco, il Teatro Comunale di Occhiobello è stata una delle ‘new entry’ di Sguardi. Com’è andata?

Il bilancio per me è assolutamente positivo. All’inizio abbiamo trovato penalizzante i venti minuti che ci erano stati imposti per lo spettacolo: riassumere un lavoro già pronto significava limitare in qualche modo il suo livello artistico. D’altra parte mi rendo conto però, anche in qualità di organizzatore, che di fronte alla varietà delle proposte, creare degli “spot” di spettacoli può incuriosire chi guarda, com’è avvenuto nel nostro caso, creando così una relazione tra operatori e compagnie e rendendo più facile un approfondimento di conoscenza.
Sguardi è sicuramente un buon punto di confronto e di scambio, non bisogna però dimenticare che siamo anche un gruppo di realtà molto diverse nel loro interno: riuscire a collaborare anche dal punto di vista produttivo – come è stato in parte proposto durante Sguardi Lab – la vedo difficile. E’ necessario tenere in considerazione le diversità, e quindi comprendere per certi aspetti l’impossibilità di lavorare insieme. Non c’è niente di male, voler sempre mettere le cose insieme non è detto che debba per forza funzionare.
Forse Sguardi creerà per noi una possibilità in più per circuitare in Veneto, abbiamo girato un po’ l’Emilia Romagna, il Lazio, la Liguria, ma quasi per nulla la nostra regione. I contatti ci sono stati, anche se questo non significa lavoro assicurato. Ribadisco comunque l’importanza di trovarsi e confrontarsi, d’incontrare altri operatori e scoprire nuove realtà. Ad esempio mi hanno parlato della VI edizione di Gallarate dedicata ai bambini: noi non facciamo teatro ragazzi, però non conoscevo questa iniziativa, che mi ha incuriosito e probabilmente andrò a vedere di che si tratta. Sono venuto a conoscenza di cose nuove e già questo di per sé è un ottimo risultato, favorisce l’apertura mentale e lo scambio d’informazioni, confermando che, soprattutto in ambito artistico, lo scambio umano è fondamentale.

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