Oltre alle performance di danza di cui abbiamo già parlato, il Kilowatt Festival ci ha riservato anche molte occasioni per assistere a spettacoli in cui la parola ha preso il sopravvento per entrare di petto nella vita degli altri, nell’intento di mostrarcene i più reconditi risvolti in modi diversissimi tra di loro.
In “Touch Me” e “Taste Me”, per esempio, vero e proprio complesso progetto nettamente diviso in due, e che si è svolto in altrettanti luoghi diversi di Sansepolcro, entriamo nelle viscere dell’autore, regista, performer e traduttore franco-iraniano Gurshad Shaheman.
“Touch Me” e “Taste Me” sono i primi due capitoli della trilogia “Pourama Pourama” in cui Shaheman, su drammaturgia di Youness Anzane, ci racconta, attraverso la sua voce registrata, pur muovendosi in mezzo agli spettatori, la sua vita e il travagliato ma intenso rapporto con i variegati componenti della sua famiglia, in particolare padre e madre.
Nella prima parte è soprattutto al padre che si rivolge: siamo infatti invitati a indossare una maschera a mezzo volto, raffigurante la fronte e i capelli brizzolati di un uomo. In questo modo nasce un accorato dialogo tra figlio e padre, di cui noi siamo i testimoni privilegiati, stimolando anche Shaheman a non interrompere quel racconto, standogli vicino.
Dalla sua voce registrata riemergono, attraverso una narrazione ricca ed articolata, di commovente adesione, i suoi ricordi tra infanzia e giovinezza, vissute negli anni di passaggio tra la monarchia dello scià Reza Pahlavi e la rivoluzione islamica dell’Ayatollah Khomeyni, rappresentante di un mondo musulmano oscuro e legatissimo alle tradizioni.
Pian piano, quasi senza accorgercene, con frequenti sbalzi di tempo e di spazio, ci addentriamo nel cambiamento di un’esistenza che, attraverso la sua progressiva occidentalizzazione, è riuscita ad essere finalmente libera di vivere la propria omosessualità, trasferendosi successivamente in un altro Paese insieme alla madre, anch’essa finalmente autonoma da quel mondo e da quel marito.
Nella seconda parte del progetto, “Taste me”, gli spettatori, seduti comodamente ad ascoltarlo, pranzano mangiando uno dei piatti tradizionali iraniani, servito da Shaheman, vestito con un luccicante abito da sera e tacchi a spillo, mentre la figura della madre, che frequentemente lo preparava, si fa prepotentemente presente. Peccato che nel finale il compiacimento di raccontare, per filo e per segno, le esperienze sessuali del protagonista, mitighi un progetto di per sé degno di nota.
Ecco poi Francesca Sarteanesi, che conoscevamo come interprete della collaudata compagnia toscana Gli Omini, presentare nella cittadina toscana il suo primo lavoro come solista, “Sergio”.
Anche qui spiamo la vita di qualcuno, la vita di una coppia che solo apparentemente vive una vita normale e felice. L’attrice, per mezzo del suo inconfondibile linguaggio toscaneggiante, interpreta la moglie. “Sergio” è infatti un soliloquio rivolto a un marito, reale o immaginario non lo sappiamo, in cui Francesca Sarteanesi, disegna un matrimonio fatto di silenzi, piccole incomprensioni, fugaci rapporti, sempre corroborati da un’ironia che rende forse lo spettacolo più amaro.
Sergio sulla scena non c’è, eppure lo vediamo benissimo: gli occhi di Francesca, di sbieco, dal palco sono sempre rivolti a lui, quasi mai al pubblico, e di Sergio avvertiamo benissimo tutte le fragilità, tutte le mancanze, come se lo conoscessimo da sempre. Quanti Sergio ci passano davanti, ci sono stati vicini nella nostra realtà di tutti i giorni, mai rendendosi conto di essere fatti allo stesso modo?
Anche Alessandro Sesti, in “L’eclissi” creato con Debora Contini e Nicola “Fumo” Frattegiani, ci permette di entrare nella vita di un uomo, in questo caso di un uomo qualsiasi che possiamo trovare anche per strada e che ci appare subito strano, anche solo dopo averlo osservato per un attimo.
Abbiamo davanti un uomo provato, vestito con uno strano accappatoio rosa che cammina a testa china, in modo goffo. Non riusciamo a capire perché sia così strano e forse, dopo un po’ il nostro sguardo, si ferma su altro. E’ solo ascoltando la sua accorata confessione, attraverso delle cuffie, che ne percepiamo i sentimenti, la solitudine, ma soprattutto la mancanza di ricordi precisi e circostanziati; sono presenti invece le morti dei suoi cari, perché di quello non ci si può dimenticare. Solo a tratti qualcosa riaffiora, ma è troppo fugace per trattenerlo, e alla fine non esiste più ieri, esiste solo l’oggi.
A volte anche a noi è capitato di non ricordare una parola (e con l’età accade sempre più spesso) e così quella orrenda parola a volte, anche a noi, appare davanti: alzheimer.
Nel percorso di “Eclisse” la vita ci passa accanto anche attraverso studiate apparizioni: attraversando Sansepolcro riconosciamo il figlio dell’omino e altri riverberi del racconto attraverso persone che si avvicinano, donando chi delle banane, chi un cappello da indossare, chi dei fiori.
Nel finale Sesti si spoglia dal personaggio e ci chiede: “Qual è il ricordo che non vorresti mai dimenticare?”, lasciandoci anche con un dono: una piccola foto, scattata durante il nostro percorso, in modo che questa passeggiata abbia un segno da conservare, per non dimenticare quell’esperienza. Perché ben sappiamo che la vita, alla fine, è fatta soprattutto di ricordi.
Nella fotogallery qui sotto, realizzata da Guido Mencari, una serie di immagini dal festival.
Ce ne andiamo da Sansepolcro con l’amarezza del direttore artistico di Kilowatt, Luca Ricci, alle prese con innumerevoli problemi di burocrazia che gli rendono sempre più difficile il lavoro. Tanto che non sa se ci sarà una prossima edizione del festival. Ci confessa la difficoltà di rinvenire, ancora, ragioni plausibili per una fatica così immane, che sembra non trovare il giusto riscontro e supporto.Per approfondire la questione rimandiamo alla nota stampa (KILOWATT – comunicato finale) redatta dal festival per spiegare quanto accaduto il quarto giorno, quando un’ispezione del Nucleo Carabinieri-Forestali di Sansepolcro ha riscontrato presunte irregolarità nel punto di ristorazione, incontri e dopo-festival, situato presso i Giardini Piero della Francesca; dopo successive convocazioni in caserma, il festival ha quindi deciso di chiudere lo spazio, annullando i concerti programmati.
Guardando al futuro, l’edizione 2022 sarebbe la ventesima per una manifestazione sempre foriera di occasioni teatrali pregnanti. Speriamo allora che Piero Della Francesca, che a Sansepolcro vi è nato, intervenga con chi di dovere, perché sarebbe davvero grave interrompere un evento (e il percorso che reca con sé) tanto significativo.