Sharing Training: le buone pratiche di condivisione della danza

Photo: Attivisti della Danza
Photo: Attivisti della Danza

Tempo di quarantena, tempo di chiusure, tempo di solitudini forzate in cui le connessioni telefoniche e di dati sono le nostre migliori alleate per mantenere contatti, presenze, quella socialità che al momento ci è preclusa nella forma di incontri e abbracci. La condivisione virtuale sta rimpiazzando la condivisione fisica, per necessità, per lenire il senso di solitudine, di vuoto sociale che il lock down ci impone.

Sembra più che mai attuale e quasi necessario parlare allora, in questo momento storico, di una sottile ma forte realtà che si sta spandendo in Italia e che mette, nel nome e negli intenti, proprio l’idea di condivisione.
Nasce nel mondo della danza contemporanea, tra quegli artisti che sono andati all’estero per formarsi e, tornando in patria, non hanno trovato ambiti di riferimento non solo per una formazione professionale, ma anche per una condivisione progettuale libera da istanze produttive.

Nasce nelle grandi città ma si sta spandendo anche in altri centri, raccoglie un desiderio di comunità, di crescita che si possa nutrire proprio di condivisione. Sono gli Sharing Training, spazi aperti, fluidi, dove “l’etica della condivisione ha definito il desiderio e la necessità di mettere in comune percorsi, risorse e conoscenze attraverso strumenti e pratiche come modalità per approfondire le proprie competenze e acquisirne di nuove, offrendo la possibilità di confrontarsi con esperienze e approcci di lavoro diversi”.

Sono queste le parole della presentazione degli Attivisti della Danza – arricchite da un contributo del progetto torinese -, un gruppo aperto di danzatori e coreografi indipendenti con base a Firenze e dintorni.
Il gruppo si è formato nel 2012, aprendo una riflessione attiva sulle esigenze della professione del danzatore contemporaneo in Italia.
Proprio al loro interno è nato il primo Sharing Training, un progetto di condivisione di “pratiche del corpo”, la cui caratteristica fosse quella di garantire una continuità di incontri e lezioni per danzatori professionisti, condotti a rotazione dai partecipanti e a un prezzo agevolato. Un’idea diversa, quindi, da quella dei percorsi di formazione più standardizzati, spesso costosi e con un pubblico di fruitori più eterogeneo, verticali nella loro proposizione contro una orizzontalità dello sharing che ricorda da vicino il concetto di Open Source.

Le parole passano per quei fili che gli interessi e le passioni legano, le idee viaggiano e così spunta il progetto di Milano, poi Shared Training a Torino, e poi i progetti di Roma, Napoli, Perugia, gli ultimissimi arrivati, Bassano del Grappa e Bologna, e due Sharing che anziché limitarsi a una città si identificano con la regione di appartenenza: Grap Sharing Marche e Sharing Training Trentino.
Necessità e interessi comuni declinati in maniera diversa a seconda dei territori e delle personalità che li frequentano e li sostengono nell’organizzazione e nella condivisione dei pensieri.

Alcuni tratti distintivi comuni: comunicazione fatta sui canali social; non identificarsi con un artista in particolare, ma anzi favorire il ricambio del gruppo organizzativo; un nomadismo iniziale alla ricerca di spazi di accoglienza; il contatto con le istituzioni di riferimento mantenuto sempre nell’orizzontalità dello scambio; il diventare comunità di riferimento non solo per i professionisti del territorio ma anche per gli artisti stranieri in transito in Italia e in cerca di Open Classes.

Quali le differenze, che comunque li accomunano, perchè in questa somma e condivisione di riflessioni e pratiche l’esempio di uno stimola gli altri: il gruppo di Firenze, il più anziano con tante iniziative in campo, è riuscito ad avere un finanziamento regionale che è non solo un riconoscimento di tipo economico, ma anche di presenza attiva e importante; il gruppo di Torino realizzerà, in collaborazione con la Lavanderia a Vapore (centro di eccellenza per la danza torinese), un progetto ideato insieme a Workspace Ricerca X: si tratta di “Incompiuti”, una serie di incontri in cui osservare materiali di creazione fornendo feedback utili all’approfondimento; il gruppo promotore di Roma che al suo interno conta la presenza di Maria Elena Curzi, danzatrice, coreografa e performer, ha deciso di dedicare a questo movimento la sua tesi finale per il biennio all’Accademia Nazionale di Danza. L’intento è quello di creare a piccoli passi, nel rispetto delle differenze e nella comprensione dell’importanza delle relazioni, una strutturazione teorica che possa inquadrare qualcosa che ancora non è definibile e comprensibile, dargli delle basi e una solidità di pensiero, tracciare e cominciare a riconoscere le linee di quello che per ora viaggia nei contatti, nel riconoscimento di un comune sentire.

Così, dopo il primo incontro nazionale tenutosi a Roma nel 2018 all’interno del progetto MacroAsilo, e il secondo svoltosi a Firenze nell’ambito di OHT_Little Fun Palace durante Fabbrica Europa nel 2019, si sta ragionando su un altro meeting da tenersi nel 2020, una nuova tappa di avvicinamento e consolidamento per continuare a dare voce al desiderio di collegarsi e creare rete.

Troviamo le stesse parole d’ordine che serpeggiano in tanti altri ambiti, parole che nascono da giovani trentenni alla ricerca di nuovi territori di riferimento, lì dove le istituzioni non hanno creato terreni fertili. Osserviamoli, sosteniamoli, perché forse è lì che nascerà il nuovo che aspettiamo.

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