Parlare di “Rizoma”, performance che Sharon Fridman ha presentato al Festival Oriente Occidente 2014, è parlare dell’umano ma anche e soprattutto raccontare i dieci giorni di lavoro che hanno portato alla creazione dello spettacolo: raccontare il percorso che parte dall’intimo di ognuno e che va a incontrare gli altri, un percorso che tocca il riconoscimento di sé, dei propri limiti, e di conseguenza la comprensione dei limiti e delle possibilità dell’altro.
Sessanta persone estremamente eterogenee per età (da Elsa, 84 anni, a Margherita di 18) ed esperienza (danzatori professionisti, amatoriali e persone senza alcuna formazione nella danza) sono arrivate a Rovereto da varie parti d’Italia per i motivi più disparati e non sempre per una conoscenza specifica del lavoro di Sharon Fridman.
Le une e le altre, estranee, hanno condiviso uno spazio, un tempo e un luogo, sia geografico che intimo, aprendosi a sé e agli altri, riscoprendo “gli elementi più semplici della vita, quali l’unione, l’accettazione e la pace, particolare e universale”; “passione, leggerezza, tantissimi incontri e qualche scontro”.
“L’essenza di Rizoma è dentro di noi, in quel luogo emozionale lontano dalla mente è dissolto nel corpo”. Corpo presentissimo in tutte le sessioni di lavoro, nella sua materialità, nel suo farsi strumento di comunicazione, conferendo in questa maniera sincerità e verità a ogni gesto.
“Anni di lezioni faticose, studi intensi e spettacoli al limite delle possibilità fisiche vengono meno nel mio essere danzatrice, spazzati via da questa danza dell’anima dove il corpo ritorna veramente ad essere solo mero trasmettitore di uno stato interiore”. “Rizoma è un fantastico lavoro sul corpo che non può prescindere dalla mente”.
La materialità del lavoro che è andata nei giorni a scavare dentro la possibilità estremamente corporea del fare, si è congiunta con un nutrimento costante dell’immaginario; così la danza non racconta se stessa, non parla di sé autocelebrandosi, ma dipinge la visione potente che l’ha generata e alla quale le sensibilità di ogni interprete si possono agganciare, ognuno per la possibilità che l’età e l’esperienza consentono, “la presenza di tutti questi giovani, aperti, entusiasti, a loro agio con il contatto, accettando con cuore persone più vecchie”.
Nello scorrere delle ore di lavoro, nel fluire delle parole che accompagnano la cura dei dettagli, diventa sempre più chiaro come le immagini anche più evidenti della performance siano sostenute da un pensiero profondo, che riguarda non solo la loro creazione ma anche la loro successiva trasmissione: “E’ una filosofia di vita, è la giusta direzione che dovrebbe prendere la propria vita”.
E lo staff che ci ha accompagnato nel percorso (lo stesso Fridman insieme ad Antonio Ramirez, Anat Grigorio e Nacho Azagra Redondo) ne è testimonianza nell’approccio alle persone come nell’approccio al lavoro stesso; una presenza che, “con sensibilità, accoglienza e rispetto”, ha unito l’eterogeneità limando incertezze, insicurezze, tentennamenti; un Rizoma sopra Rizoma che ci ha condotto per mano, con infinita professionalità, disponibilità, umanità a poter essere un gruppo coeso nell’alba di Rovereto.
“Una delle immagini più calde e toccanti che porto nel cuore è la scelta di Sharon, Anat, Antonio e Nacho di guardare il nostro Rizoma non al coperto ma sotto la pioggia, regalandoci un senso di unione profonda“, raccontano i miei compagni di percorso. “L’emozionante performance finale sotto la pioggia testimonia che possono anche accadere dei miracoli…”.
Vi lasciamo alla nostra videointervista a Sharon Fridman, registrata qualche settimana fa proprio a Rovereto durante Oriente Occidente.