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Silvia Bottiroli: Santarcangelo come osservatorio su artisti e pubblico

La tigre di Santarcangelo 2014|Silvia Bottiroli

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Silvia Bottiroli
Silvia Bottiroli (photo: Ilaria Scarpa)

Arrivare a Santarcangelo di Romagna per l’inizio della 44^ edizione del festival, per noi che lo frequentiamo da oltre trent’anni, è sempre un’emozione, un turbinio di ricordi che ci fanno tornare indietro nel tempo, sino a quando l’età ci permetteva di dormire in tenda al camping, o a quando ci abbiamo perfino recitato al festival, in un tempo che non c’è più.

Entrare nella mitica piazza Ganganelli è come percorrere la piazza principale della propria città, e nomi come Sfenisterio, Lavatoio, Supercinema, Teatrino della Collegiata, ma anche Zaghini con le sue mitiche tagliatelle e Sangiovesa con i tavolini fuori, dove puoi sorseggiare un buon vino con le tigelle, fanno parte ormai del nostro immaginario.

Prima di addentrarci negli spettacoli è appunto da Zaghini che, accompagnati dalla fida Silvia Pacciarini dell’ufficio stampa, incontriamo Silvia Bottiroli, insieme a Rodolfo Sacchettini da due anni alla guida del festival: un incontro per illustrarci le linee guida dell’edizione di quest’anno, che proseguirà fino a domenica 20 luglio concludendo il loro percorso triennale a Santarcangelo.

E quindi, quali sono state le linee che vi hanno guidato nei due anni precedenti?
Volevamo configurare il festival non come una vetrina di spettacoli, seppur belli, ma un’occasione che portasse alla scoperta di artisti nuovi, soprattutto stranieri, mai venuti in Italia, come è stato ad esempio per She she pop, un collettivo femminile tedesco che abbiamo lanciato nel panorama europeo, o l’anno scorso lo straordinario artista francese Francois Chaignaud.
Per quanto riguarda gli italiani invece volevamo intavolare un vero e proprio osservatorio del nuovo, facendo in modo che gli artisti più giovani che abbiamo individuato potessero crescere; per esempio abbiamo messo in relazione tra loro un gruppo come Teatro Sotterraneo con un artista lettone, Walter Silis; lavorando in simbiosi qui da noi hanno creato “War now”, uno spettacolo intorno alla prima guerra mondiale ma visto nella contemporaneità.

Santarcangelo si porta dietro da sempre l’etichetta di festival del teatro in piazza: come avete inteso oggi questa sua peculiarità?
Ovviamente i tempi sono cambiati dalle prime edizioni e il concetto è mutato, ma abbiamo cercato di fare progetti in cui il pubblico fosse protagonista. Abbiamo riempito grandi luoghi come lo Sfenisterio con artisti che si sono confrontati con un pubblico popolare: nel 2012 Richard Maxwell in “Ads” ha portato in scena gli abitanti del nostro paese, e quest’ anno Joris Lacoste ne “L’enciclopedie de la parole” mette in scena attori e pubblico. Durante l’anno poi organizziamo vere e proprie escursioni teatrali portando i semplici cittadini a vedere spettacoli diversissimi tra loro.

“Divenire tigre, divenire nuvola”: cosa significa il titolo dell’edizione di quest’anno?
Abbiamo scelto la tigre come immagine del festival (nel disegno di Marco Smacchia), mentre l’immagine della nuvola ricorre tra l’altro nel titolo del progetto Nomadic School: sono due figure cariche di potenziale, nel senso filosofico del termine. Qualcosa che può accadere, qualcosa fuori dal nostro controllo, qualcosa di imprevedibile. L’invito a “divenire”, che certamente riecheggia certi scritti di Deleuze e Guattari, è una precisazione, un indicatore di direzione per lo spettatore, che invitiamo ad avvicinarsi al festival come a un vero incontro, un evento (anche qui, in senso filosofico e seguendo Deleuze), una possibilità di trasformazione, una variazione di intensità e di velocità.

Perchè un appassionato di teatro dovrebbe venire al festival quest’anno?
Perché ci sono dei lavori straordinari che difficilmente rivedremo in Italia, da La Resentida all’Encyclopédie de la parole a Marlene Monteiro Freitas o a un lavoro di grande scala di Marten Spangberg. Ma anche perché è un luogo di creazione, in cui gli artisti si espongono e ci invitano a condividere la generosità di un’immaginazione e una pratica artistica: questo accade con i tanti debutti (da Danio Manfredini e Valters Silis/Teatro Sotterraneo a Fanny & Alexander tra gli altri), ma anche con tutti i lavori che si misurano con il “teatro in piazza” allo Sferisterio, e con i molti progetti speciali: da “Art you lost?” a “La disciplina del campo” di Leonardo Delogu

Come vedi la situazione del teatro contemporaneo oggi in Italia?
Credo sia evidente uno stato di estrema difficoltà del teatro contemporaneo in Italia oggi, come anche di molto altro, del resto.
Rodolfo Sacchettini ed io, pensando e programmando il festival, ci siamo interrogati molto su questa condizione, e sulla responsabilità o il ruolo che Santarcangelo può esercitare. Abbiamo pensato che è necessario soprattutto costruire delle possibili occasioni di crescita per gli artisti che hanno un potenziale più alto – e ci sono – di quello che riescono a esprimere nelle maglie di un sistema teatrale debole e privo di coraggio. Così abbiamo accolto proposte che si portavano dietro un incontro con un’alterità (dalle quattro compagnie di “Art you lost?” al lavoro di Menoventi con Pardes Rimonin); abbiamo innescato alcuni incontri possibili (Teatro Sotterraneo con Valters Silis, ma anche Sara Masotti con Sarah Vanhee) e abbiamo scelto di co-curare tutta la parte di danza del festival, che dallo scorso anno è centrale, insieme a tre direttori artistici: Michele Di Stefano, Fabrizio Favale e Cristina Rizzo, che ci hanno lanciato la proposta di pensare insieme, e dentro al festival, una Piattaforma della Danza Balinese…

Quale sarà il futuro del festival?
Dopo un anno di commissariamento il Comune di Santarcangelo ha da poche settimane una nuova amministrazione, che a fine festival dovrà rinnovare il mandato del Consiglio di Amministrazione di Santarcangelo dei Teatri, organo deputato alla nomina della direzione artistica. Della futura direzione del festival si saprà quindi, indicativamente, a fine estate.

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