Silvia Gribaudi apre la ‘via femminile’ del XVII Civitanova Danza

Graces (photo: Fabio Sau)
Graces (photo: Fabio Sau)

Con un sospiro di sollievo e un’aspettativa diversa siamo di nuovo a Civitanova Danza per la 27^ edizione del festival, voluto a tutti i costi nonostante le grandi problematiche che le normative anti Covid pongono. “La prima sensazione è stata quella di smarrimento” ci racconta il direttore dell’AMAT Gilberto Santini, “perché la danza, fra tutte le arti dello spettacolo, sembrava la meno praticabile. Smontata e congelata la programmazione già avviata, ci siamo guardati intorno alla ricerca di possibilità che ci levassero dall’obbligo di fare un festival di assoli, trovando comunque cose interessanti da poter proporre agli spettatori. La via femminile che abbiamo deciso di percorrere ci è sembrata interessante perché ci consentiva di mostrare le tante danze possibili, caratteristica intrinseca di questo festival; alla fine siamo riusciti a costruire una programmazione con lavori di compagnia. Questo ci ha reso particolarmente felici perché ci premeva mostrare una comunità in scena, anche se distanziata. Volevamo dare un segnale di presenza, di resistenza in un anno non facile”.
E il pubblico ha risposto, anche lui distanziato ma con una bella presenza, calda e accogliente, desideroso di farsi prendere e portare dentro le emozioni, felice, anche se titubante rispetto agli obblighi, di ritrovarsi comunità.

Via femminile, si diceva, e infatti sono tutte donne le coreografe presenti al festival, prima fra tutte Silvia Gribaudi, a cui viene affidata l’apertura con il suo “Graces”, una riflessione sulla bellezza partendo dal gruppo scultoreo le Tre Grazie del Canova.
Sin dall’inizio le carte però vengono scompigliate perché ad apparire in scena sono tre giovani uomini in abbigliamento minimale, calzoncini e calze neri. Si offrono allo sguardo del pubblico in pose che timidamente cercano di essere plastiche.

Con l’entrata in scena lenta, quasi rituale, della coreografa, le cui fattezze sono così lontane dall’idea che abbiamo di “ballerina”, capiamo che non ci sarà nessuna celebrazione tra arte e bellezza o fra arte e natura, ma che la strada scelta è quella della dissacrazione, per riportare il concetto di bellezza dentro una normalità di corpi quotidiani.

Tutto lo spettacolo sarà giocato su questo richiamo agli stereotipi per poi subito giocarci ironicamente intorno, smontandoli, destrutturandoli, rendendo evidente la necessità di essere fenomeno che vuol essere guardato. Ci sono quindi gli stilemi della danza classica, l’haka maori, il nudo scultoreo, gli slip dorati, il gioco con l’acqua che permette le scivolate, in un crescendo di divertimento che diventa intrattenimento.

Il pubblico, chiamato continuamente in causa dagli interventi di Silvia Gribaudi – che ringrazia, invita a osservare, sottolinea, apre spiragli di riflessioni -, si fa prendere, ride, applaude e risponde alle domande anche in maniera arguta. La bellezza diventa così qualcosa di leggero, comune, divertente, che può essere esperito nella normalità del gioco.

Incontriamo Silvia Gribaudi alla fine dello spettacolo per capire come è stata affrontata questa nuova messa in scena che ha dovuto tenere conto di un distanziamento imposto.
Oltre “la grande felicità di poter essere tornati a danzare, c’è il ritrovare un senso più profondo di quello che si sta facendo, riscoprendo qualcosa che si dava per scontato. C’è un senso di fragilità. Senti che tutti quanti stiamo facendo un’esperienza di vita diversa, quindi alcuni significati che aveva lo spettacolo prima, ora ne assumono un altro, che esperiamo replica dopo replica. Abbiamo modificato tanto, perché non ci tocchiamo, manteniamo le distanze di un metro, un metro e mezzo, come da normativa, e quindi cambia anche la relazione tra di noi. Penso però che in tutto questo ci sia una nuova scoperta del lavoro, che affrontiamo con una nuova consapevolezza”.

E’ diverso anche il rapporto con il pubblico: “Sto trovando un registro nuovo; essendo separato, riesci a veder le storie delle persone, vedi chi è insieme, chi è solo, chi tiene la mascherina, chi la toglie, scopri già delle cose intime; prima era genericamente pubblico, adesso sono persone. Noi apriamo il portone di una grande casa che unisce tutte le piccole case che vediamo in platea, quindi il teatro diventa quello che in realtà è: un luogo di intimità”.

GRACES
coreografia: Silvia Gribaudi
danzatori: Silvia Gribaudi, Siro Guglielmi, Matteo Marchesi e Andrea Rampazzo
drammaturgia: Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti
costumi: Elena Rossi
produzione: Zebra
coproduzione: Santarcangelo Festival
con il sostegno di MIBACT

durata: 50’
applausi del pubblico: 2’ 38”

Visto a Civitanova Marche, Teatro Rossini, nell’ambito di Civitanova Danza

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