Teatro, danza, musica e poesia nei borghi e sui sentieri del Monte di Brianza. L’edizione 2016 de Il Giardino delle Esperidi, appena conclusa, ha messo al centro il paesaggio come luogo della contaminazione delle arti. Un modo per sigillare l’unione tra natura, creatività e comunità.
Sista Bramini, regista, autrice, attrice e narratrice, ideatrice in Italia del genere Teatro Natura, al Giardino delle Esperidi ha portato la performance “Atteone e la verità dis-velata” e lo spettacolo “Tempeste – Trilogia della rinascita: l’olivo, il vino, le pietre”.
Sista, quali sono le peculiarità del tuo teatro?
Dirigo la compagnia O Thiasos che ho fondato nel 1992. L’intento è di promuovere, attraverso gli strumenti teatrali, il recupero delle radici culturali e la qualificazione del paesaggio. È una ricerca pratica e poetica, un lavoro d’ensemble sulle relazioni tra arte drammatica, coscienza ecologica e ambiente naturale.
Il tuo teatro vive di un “corpo a corpo con la morfologia del territorio”.
La presenza dell’elemento naturale prevale sugli elementi urbani. Preferiamo scenari naturali come parchi o riserve. Luoghi dominati dal silenzio. Ma lavoriamo anche su siti archeologici, dimore storiche del Fai. Cerchiamo di recuperare una tradizione antecedente a Shakespeare, a partire dal quale le opere teatrali sono state ambientate sempre più in luoghi antropizzati.
I tuoi spettacoli vertono in genere sui miti classici, e si svolgono con la luce e le sonorità della natura, con l’uso soprattutto del canto e delle polifonie a cappella.
Adesso questo genere di proposte è abbastanza diffuso. Noi siamo stati pionieri di un teatro itinerante tra sorgenti, alberi, fiumi e boschi. Gli spettatori camminano e incrociano le scene. Capita che osservino lo spettacolo guardandolo dall’alto, sopra una collina. O che dal basso assistano all’esibizione degli attori sugli alberi. È un’impostazione cinematografica, senza pareti. È un teatro immersivo e multisensoriale, che richiede al pubblico un ruolo attivo.
Cioè?
Tutti sono chiamati all’incontro multisensoriale e al dialogo con la natura. Abbassandosi sotto i rami, guardando una scena dietro le frasche, entrando in una festa, diventando gli esecutori di un rito collettivo.
Qual è il vostro valore aggiunto rispetto ad altre esperienze simili?
La formazione specifica. I nostri attori non sono abituati al palcoscenico. Sanno cantare. Sanno arrampicarsi sugli alberi, senza virtuosismi, con naturalezza. In altre esperienze gli attori recitano in una grotta come se fossero su un palcoscenico, magari sono disturbati dallo scorrere di un ruscello o dal fruscio delle foglie. Per noi la natura non è paragonabile a uno scenario di cartapesta. Interagiamo continuamente con essa. Ne sfruttiamo le amplificazioni anche nell’atto in cui suoniamo, in un’osmosi perfetta.
Quali sono i vostri scenari prediletti?
La natura all’alba o al tramonto, nei momenti liminari della giornata. Ma anche i siti archeologici. Tutto ciò che ha una storia, un’anima, un’atmosfera che noi proviamo ad assorbire per poi irradiarla attraverso l’azione performativa.
Una concezione dell’arte molto vicina alla poetica del vago e dell’indefinito di leopardiana memoria. Sono anche gli ingredienti del genere fantasy.
L’attualità è una tirannia. Preferiamo l’inattuale come archetipo, la natura come vissuto ancestrale, senza la téchne. Ma al fiabesco del fantasy sostituiamo il mito. Pertanto il nostro non è un teatro d’evasione. Non è neppure un teatro ieratico. Rifuggiamo la recitazione impostata. Il nostro è un teatro divertente, capace di giocare molto con il corpo.
Al Giardino delle Esperidi come avete scelto il luogo della vostra performance?
Noi perlustriamo un luogo per giorni e scegliamo i siti con attenzione, in modo che interagiscano con la drammaturgia. In “Tempeste” sono narrati il mito della fondazione di Atene, il mito della nascita del vino e il mito della rinascita del genere umano. Alle Esperidi la scelta è caduta sul Mulino Tincati, vicino a Olgiate Molgora. Qui uno spazio sopraelevato è diventato la rocca dell’Acropoli, il bosco il fondale per il mito dell’origine del vino, mentre un luogo modificato dal temporale di qualche giorno prima, con alberi caduti nell’acqua, è diventato lo scenario per il mito di Deucalione e Pirra. Questo stesso spettacolo in un altro luogo subirebbe delle modifiche. Lo spettatore deve percepire lo spazio scenico come un unicum, diverso e sempre nuovo. Attori e attrici, suonatori (in questo caso Camilla Dell’Agnola e Valentina Turrini) sono soprattutto dei medium tra la natura – nella quale s’immergono con i cinque sensi – e il pubblico.
È un teatro impressionista.
La definizione mi piace. All’inizio del nostro percorso anch’io ripetevo ai miei attori che, come gli impressionisti, dovevamo lavorare all’aperto proponendoci di restituire la trasparenza dell’atmosfera, aggregazioni sfumate e mutevoli fondate sul senso del colore e dei suoni, sulla capacità evocativa.
Qual è il paesaggio magico per eccellenza?
Sicuramente il bosco, luogo dello smarrimento e dell’iniziazione, della catastrofe e della rinascita. Lo amo per il suo buio fitto o le sue luci filtranti, il respiro, le radure, il terreno cangiante sotto i piedi scalzi. Ha una spiritualità e una sacralità con i suoi alberi che s’intrecciano come cattedrali. Ma anche una spiaggia d’inverno, il mare senza ombrelloni all’alba possiedono una forza carismatica. Come diceva William Blake, «se si puliscono le porte della percezione, ogni cosa apparirà così com’è: immensa».
Quest’immensità riesci a sprigionarla anche dalle persone?
Sì, ma sempre grazie all’aiuto della natura, alla sua capacità maieutica. Svolgo laboratori con i bambini con deficit d’attenzione e iperattività. Quando esplorano con me la natura, nel silenzio, calpestando l’erba rilassati a piedi nudi, facendosi sfiorare dalle luci e dai colori del bosco, ecco che ritrovano tutta la serenità e la capacità d’attenzione.
L’architetto Stefano Boeri la pensa come te: ha costruito nel cuore di Milano i due grattacieli del Bosco Verticale.
Lui porta il bosco in città, io la città nel bosco. C’è una bella differenza, no?