Negli ultimi anni il teatro ci ha abituati sempre più ad uscire fuori dai teatri. Figli dei terzoteatristi spesso, e non sempre volentieri, ci siamo ritrovati di fronte ad artisti di strada, performance all’aperto, incursioni urbane e site specific. Da tanti anni il teatro ha sfondato le sue pareti.
Ma ancora qualcuno riesce davvero a stupirci, a farsi seguire fuori dagli spazi teatrali con il desiderio infantilmente ludico ed emozionalmente vivo di esserci, di vivere quel presente con l’attore e il suo viaggio.
È il caso dell’azione performativa urbana di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini in “Quando non so cosa fare cosa faccio?” visto a metà luglio partendo dal Teatro India di Roma (produzione Teatro di Roma 2015 all’interno del progetto Gli anelli di Saturno con il sostegno di Roma Capitale, nell’ambito delle manifestazioni realizzate in occasione del Giubileo della Misericordia).
Un viaggio teatrale, quello condotto dalla Deflorian, che parte da una semplice domanda: cosa facciamo quando smettiamo di produrre?
Il suo teatro, rispondendo a questa domanda, si spoglia di tutto, ma con dolcezza, senza strappi rappresentativi o gesti eclatanti di ribellione. Il teatro mostra le sue pareti nude, i cavi al soffitto, le impalcature smontate sul terreno, l’uscita d’emergenza sul fondo.
Di lato, in maniera quasi mimetica, impercettibile, se non nell’essere essa stessa l’unico elemento concretamente teatrale, l’attrice col tono della confidenza si racconta. Cancella in poche battute ogni orpello e virtuosismo, mette a nudo la parola teatrale e lo spazio.
Apre la porta ed esce, si fa seguire. L’azione stessa dell’uscire da un luogo vuoto in quel momento, ma pieno di visioni e rappresentazioni preconcettuali quale è la sala teatrale, è rivolta. Non politica o sociale, rivolta da uno stato esistenziale, azzeramento del contatore, nuovo punto di partenza.
Il teatro diviene così “performance”, “azione urbana”, o semplicemente ritrova la sua vera essenza: l’attore e lo spettatore.
Daria Deflorian parla con un linguaggio apparentemente quotidiano e naturale, direttamente all’orecchio dello spettatore munito di radio auricolari, e lo accompagna in un cammino misto di ricordi, riflessioni personali, partendo dal racconto di un film, “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli con Stefania Sandrelli, Nino Manfredi e Ugo Tognazzi.
Il cinema si intrufola in questa strana passeggiata con l’attrice, un pò come quando si esce tra amiche e si “chiacchera”. Il film, la curiosità verso un negozio, il film, le proprie considerazioni sulla città di Roma, il film.
Questo alternarsi di parole, visioni e racconti crea nello spettatore una strana sensazione di spaesamento iniziale e di successiva rottura spazio-temporale, un senso di straniamento, un’ovattata percezione della realtà che ci circonda.
Il cinema sposa il teatro e la città lo accompagna in un matrimonio delicato.
Uscendo fuori dal Teatro India e proseguendo il cammino lungo viale Marconi e i suoi vicoli nascosti, tra palazzi, negozi, persone, auto e vento, supermercati e garage, l’attrice riesce incredibilmente a creare scorci cinematografici, lo spettatore sente perfettamente la sua voce con l’auricolare e questo permette all’attrice di arrivare incredibilmente lontano da lui, creando scorci e immagini che appartengono al linguaggio filmico. Questa è la vera rivoluzione.
Nella ricerca linguistica della multidisciplinarietà e commistione di mezzi spesso si pensa ad aggiungere, con grandi virtuosismi tecnici e l’aiuto di apparecchiature digitali costose.
La soluzione, ci suggeriscono Deflorian e Tagliarini, è in realtà il togliere e non l’aggiungere. Il teatro si fa cinema e viceversa, con musiche e canti. Lo spettatore ricostruisce nella sua mente la scena, il passante diventa motivo di interesse, il gatto sornione ne fa parte, e tutto ciò che la città offre viene convogliato nella visione dello spettatore e trasformato in arte (teatro, cinema…).
La protagonista del film raccontato, Adriana, sembra far capolino ogni tanto e in quei momenti non c’è più Daria, ma lei, che si mostra a sorpresa, tra i palazzi e i bambini nelle pizzerie al taglio. Lo spettatore si affeziona anche a lei, e pur conoscendo il film, desidera sentire ancora il racconto, un pò come un bambino che ama farsi raccontare la storia dal padre più volte, solo perchè a raccontarla è lui. E’ chi narra a renderla viva.
Così accade con la Deflorian. E come ogni narrazione che si rispetti, non mancano le sorprese, sbucano cantanti e personaggi d’altri tempi, ma anche loro senza urla, senza azioni grandi, delicatamente, sottovoce. E questo li rende fortemente vivi.
Uscendo fuori dal teatro il teatro riacquista la sua vera essenza. Lo spazio urbano diventa palcoscenico per la sola presenza dell’attrice. Lo spettatore percepisce ciò che lo circonda come scena, si è costretti a vedere con attenzione ciò che nella vita quotidiana osserviamo con superficialità.
Il teatro amplifica così la nostra capacità di osservare e leggere il reale; la realtà sembra divenire più vera sotto la lente d’ingrandimento del teatro. Una lente che ci costringe a vedere oltre la nostra inconsapevole cecità quotidiana.
Quando non so cosa fare cosa faccio?
azione performativa di e con Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
e con Monica Demuru e Davide Grillo
collaborazione artistica di Valerio Sirna
Produzione Teatro di Roma 2015
all’interno del progetto Gli anelli di Saturno
durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 3′ 30”
Visto a Roma, Teatro India, il 15 luglio 2016