Strindberg nel Brasile di oggi. Dentro i conflitti di Julia

I protagonisti di Julia (photo: Paulo Camacho)|Photo: Paulo Camacho
I protagonisti di Julia (photo: Paulo Camacho)|Photo: Paulo Camacho
I protagonisti di Julia (photo: Paulo Camacho)
I protagonisti di Julia (photo: Paulo Camacho)

Drammaturga, regista e attrice brasiliana, Christiane Jatahy è “l’anima” di “Julia”, una creazione del 2012 liberamente ispirata a “La signorina Julie” di August Strindberg.

Per chi ha assistito, come noi, in questi giorni alle repliche al Festival La Bâtie di Ginevra (in corso fino al 13 settembre), lo spettacolo è teatro, è cinema, è work in progress, ma soprattutto è una straordinaria, originale e attualissima messa in scena del testo di Strindberg.

Nel testo del drammaturgo svedese, pièce teatrale del 1888, si raccontava di come, in una notte d’estate, la giovane e aristocratica Julie avesse sedotto un altrettanto giovane domestico alle dipendenze del padre, e come quest’amore impossibile fra due giovani appartenenti a classi sociali differenti avesse costretto al suicidio la povera Julie.

L’artista brasiliana, a più di un secolo di distanza, decide di ambientare il dramma nel Brasile di oggi, dove i conflitti di classe e le barriere sociali e razziali sono tutt’altro che scomparsi.
Julia è così una fanciulla bianca e ricca, mentre Jelson è un ragazzo nero, povero, nato in una favela. Nonostante le differenze di razza e casta, Julia è attratta da Jelson, lo rincorre, forse solo per gioco, tutta la notte, fino a quando si ritroverà nella stanza del ragazzo, dove accadrà l’irreparabile.

Se l’interpretazione di Julia Bernat è davvero strepitosa e da sola riesce a dare spessore allo spettacolo, la scelta di tridimensionare la scena amplificando ogni momento della recitazione, ogni piccolo dettaglio, anche quello più scabroso e intimo, fa della messa in scena di Christiane Jatahy un unicum.
La scena infatti è come una tripla realtà, con i personaggi che vengono osservati da angolature opposte, in contrapposizione ad una storia che è monolitica perché costruita tutta sul pregiudizio.
Lo spettatore può così liberamente scegliere tra cinema e teatro, tra le immagini che scorrono su più video o gli attori in scena.

Photo: Paulo Camacho
Photo: Paulo Camacho

In una cornice in cui le scenografie sono scorrevoli, stanze che compaiono e scompaiono a seconda del momento, Christiane Jatahy ambienta il dramma in uno studio di produzione ma anche dentro un film, con tanto di cameraman che grida azione e un palcoscenico teatrale, così che il pubblico abbia un continuo susseguirsi di punti di vista diversi.

Il dramma di Julia e Jelson è recitato con passione e crudezza, e racconta come ancora oggi sia impossibile unire in modo duraturo persone di classe opposta; di quanto le frontiere e le barriere siano profondamente interiorizzate nel nostro inconscio e nel vivere abitudinario. Come, insomma, il razzismo sia una costruzione stabile dei nostri pensieri e cultura.

Non è un caso però che Julia – così moderna, abituata al lusso ma anche così confusa, isterica e fragile – esiti di fronte alla morte, chieda aiuto e soprattutto si chieda e ci chieda stupita: perché uccidersi? Perché essere costretti a farlo? E soprattutto: “Cosa devo fare?”.
Difficile risponderle.

Julia
regia e realizzazione del film: Christiane Jatahy
con: Julia Bernat, Rodrigo dos Santos, Tatiana Tiburcio (film)
creazione scenografie: Marcelo Lipiani, Christiane Jatahy
fotografia: David Pacheco
camera live: Paulo Camacho
luci: Renato Machado, David Pacheco
musiche: Rodrigo Marçal
costumi: Angele Fróes
direttrice artistica: Marina Lage
produzione: Axis Produções Artisticas, compagnie Vértice de Teatro
coproduzione: Fundaçao Nacional de Arte Funarte (Brasile), Petrobras Cultural

durata 1h 20′
applausi del pubblico: 4′

Visto a Ginevra, Théâtre du Loup, il 30 agosto 2014

stars-4

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