Non un castello, nonostante ne abbia tutte le sembianze, ma una centrale idroelettrica realizzata ad inizio ‘900 e divenuta oggi spazio vivo e accogliente, che genera un confronto continuo tra le nuove tendenze del contemporaneo. A Dro, provincia di Trento, circondata e protetta da montagne imponenti, verdissime nei mesi estivi, incastonata in una valle accogliente e silenziosa, la Centrale Fies art work space ospita ogni anno il festival delle arti performative Drodesera, una preziosa occasione per osservare i risultati di residenze artistiche e produttive che in Centrale trovano tutto l’anno accoglienza e ospitalità per crescere e svilupparsi, e che in occasione del festival si incontrano poi con produzioni internazionali, incrociando dibattiti e approfondimenti.
La nostra giornata a Dro è stata utile per assaporare, seppure in maniera parziale, l’articolato e multiforme programma del festival, diretto da Barbara Boninsegna con Filippo Andreatta. Un progetto di ricerca, quello proposto al pubblico, costruito attorno al concetto di “supercontinente”, un incessante flusso di domande, incontri, riflessioni, spostamenti.
“Supercontinent 2” è stato il titolo della 38^ edizione di Drodesera, per un’indagine, in continuità con quanto fatto lo scorso anno, incentrata sull’esplorazione delle pratiche artistiche performative che mettono in discussione il complesso tema del paesaggio e delle esperienze legate alle migrazioni, al nomadismo e al viaggio, temi che investono non solo gli artisti e che, nella loro complessità e necessità, meritano ampie e condivise riflessioni.
Ogni giornata del festival (con un weekend interamente dedicato alla sesta edizione di LIVE WORKS Performance Act Award, piattaforma di ricerca sulla performance a cura di Barbara Boninsegna, Daniel Blanga Gubbay e Simone Frang) ha preso il via con la sezione “Talkin’ about”, spazio per approfondire e indagare il grande tema del festival, attraverso il contributo di ricercatori e studiosi.
“Una comunicazione magnetica con la natura” è stato il progetto proposto da Luca Ruali + Nicola di Croce + Mata Trifilò, un live set audio/video, prodotto da Il Paese Nero, piattaforma di produzione e archivio di ricerche indipendenti dedicate all’abbandono delle aree interne, che attraverso immagini di repertorio, ricerche e narrazioni, si è soffermato sul senso, ampio e trasversale, del concetto di “abbandono”. Un lavoro di post-produzione dal vivo di materiale eterogeneo, tra suoni, registrazioni sul campo, editoria alternativa, serie televisive paranormali italiane degli anni ’70, casi di ragazze scomparse, interviste itineranti e documentari antropologici, un archivio di viaggi in Italia, migrazioni di popoli e storie, per un dialogo-lezione, una restituzione parziale di una ricerca in divenire che si nutre di spunti e stimoli sempre nuovi.
L’abbandono viene indagato come modalità di lasciarsi andare, come occasione per osservare spazi e luoghi, portando avanti una ricerca socio-antropologica.
Il senso dell’esplorazione quale metodologia per conoscere lo spazio e le potenzialità comunicative e creative è l’elemento privilegiato di “Germinal”, spettacolo del 2012, ideato dai francesi Halory Goerger e Antoine Defoort, a Dro in prima nazionale. Una riuscita e convincente riflessione su spazio, parola e comunicazione.
In una scena vuota, ma solo apparentemente, quattro performer – in un crescendo di sorpresa e scoperta – confrontano ed esaminano le modalità di comunicazione tra loro e col mondo, ovvero il pubblico che, incuriosito, li osserva. Si muovono un po’ incerti, attraverso una piccola consolle, dispositivo di parola e comunicazione; si rendono conto che possono attivare dei soprattitoli che, come per magia, appaiono e vengono lanciati sui teli neri alle loro spalle.
In un confronto di pensieri, lingue differenti, invenzioni, il palcoscenico diventa spazio fecondo dove tentare di creare un ecosistema, un mondo nuovo. I quattro performer provano a costruire e decostruire la storia delle scienze, delle tecnologie e delle strutture sociali in modi sperimentali, utilizzando accumuli di parole e immagini. Tanti i campi del sapere esplorati, per una performance che attinge a linguistica, filosofia, utilizza musica e narrazione: un viaggio coinvolgente per riflettere sulla complessità di un (nuovo, possibile) mondo da realizzare, con attenzione e cura, all’interno del contesto ristretto del palco vuoto, ma capace di contenere ogni cosa.
Due lavori sviluppati in residenza artistica a Centrale Fies sono, tra gli altri, quelli di Marco D’Agostin “Avalanche” e di Jacopo Jenna che ha presentato “If, If, If, Then”.
La danza come esplosione, forza generatrice e creatrice.
Contemporaneo, danza urbana, hip hop si mescolano nella creazione di Jacopo Jenna affidata a Nawel Nabù Bounar, Sly e Andrea Dionisi, danzatori versatili e dinamici, accompagnati dalla musica dal vivo di Caterina Barbieri.
“If, if, if, then” prende le mosse da uno dei principi del Darwinismo per immaginare una danza capace di evolversi e ricollocarsi costantemente, attraverso una forma astratta di costruzione e osservazione dell’ambiente e del movimento. Ne viene fuori una coreografia tramata da una costante e incessante forza, i danzatori, prima a terra, tra gesti ripetuti e a scatti, poi in piedi, spesse volte alla ricerca della vicinanza col pubblico, sono protagonisti un crescendo ritmico che li porta a cercare nuove forme e modalità di incontro tra loro.
Alla danza si aggiunge la parola in “Avalanche” di Marco D’Agostin, di cui è coreografo ed interprete insieme a Teresa Silva.
Una tuta blu, occhi persi nel vuoto, due esseri umani si muovono confusi, si osservano, faticano a proferire parola. Sono suono e gesto le due direttrici verso cui si muove la performance, ma non vi è una chiara articolazione del discorso, che procede invece a brandelli, monconi, parole in cinque differenti lingue che si confondono accompagnate da gesti accennati, in una costante tensione verso la costruzione di un qualcosa che però fatica a palesarsi. Una stratificazione continua di segni, riempiti non solo dalle parole accennate ma anche dai suoni di Pablo Esbert Lilienfeld.
I due si muovono in uno spazio ampio, gelido; costante è il confronto tra parola e gesto, in quello che non diverrà mai un vero ed effettivo incontro.
GERMINAL
L’Amicale de Production
Ideazione e regia Halory Goerger & Antoine Defoort
Con Arnaud Boulogne, Beatriz Setién, Antoine Defoort, Sébastien Vial
Ideazione tecnica Maël Teillant
Direzione tecnica Frédérick Borrutzu, Colin Plancher
Luci Sébastien Bausseron, Alice Dussart
Suono Robin Mignot, Régis Estreich
Produzione La Biennale de la Danse de Lyon, Kunstenfestivaldesarts, le Phénix-Scène nationale de Valenciennes, Buda Kustencentrum, ecc.
AVALANCHE
Di Marco D’Agostin
Con Marco D’Agostin, Teresa Silva
Suono Pablo Esbert Lilienfeld
Luci Abigail Fowler
Movement coach Marta Ciappina
Vocal coach Melanie Pappenheim
Direzione tecnica Paolo Tizianel
Cura e promozione Marco Villari
Coprodotto da Rencontres Choréographiques Internationales de Seine-Saint-Denis, VAN, Marche Teatro, CCN de Nantes
Col supporto di O Espaco do Tempo, Centrale Fies, PACT Zollverein, CSC/OperaEstate Festival, Tanzhaus Zurich, Sala Hiroshima, ResiDance XL
Progetto selezionato nell’ambito del bando Marche Teatro / Inteatro Festival Call
IF, IF, IF, THEN
Concept, regia e coreografia Jacopo Jenna
Musica Caterina Barbieri
Danza e collaborazione Nawel Nabù Bounar, Sly, Andrea Dionisi
Direzione tecnica e luci Giulia Broggi
Produzione KLM – Kinkaleri, Le Supplici, MK
Co-produzione Centrale Fies
Con il supporto di Short Theatre / Bolzano Danza
Visti a Dro (TN), Centrale Fies, il 25 luglio 2018
Drodesera 38^ edizione