C’è un enigma drammaturgico nel “Sogno di una notte di mezza estate”. Qual è il ruolo del bambino indiano che Titania amorevolmente custodisce e che Oberon ardentemente desidera come suo paggio d’onore?
Il testo di David Leddy, acclamato sperimentatore di una pratica teatrale tecnologica che non teme il confine tra performance e installazione scenica site specific nonché premio Scotsman Fringe First 2009 a Edimburgo, tenta di risolverlo calandolo nel contemporaneo. E indica un percorso narrativo capace di restituire al piccolo “changeling boy” una storia tutta sua. Una vita divisa, in verità, «una commedia e una tragedia, a sere alterne».
Con Shakespeare, del resto, ci troviamo già nel regno delle fate all’imbrunire, dentro lo “spazio verde”, a sei leghe da Atene e dalle certezze della ragione, in quell’intervallo tra la veglia e il sonno dove in assenza di luce si rischia di perdersi. E un destino di oscura perdita è quello che l’autore scozzese immagina per il fragile Tignola, figlio adottivo di un cantante d’opera il cui nome – Robin Goodfellow – è inequivocabilmente presagio di un dispetto (Puck) della sorte.
La versione ideata dalla Fire Exit Ltd in esclusiva per MilanOltre aderisce alle necessità di struttura del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, i cui ambienti, numerati, divengono le tappe di un logico vagabondare orientato dalle voci storiche di Teatridithalia. I frammenti di quattro diverse identità si inseguono con cadenza regolare e definiscono sempre più chiaramente il terribile intreccio all’udito dello spettatore-viandante, equipaggiato all’ingresso con auricolari e lettore mp3.
Ormai adulto, l’esotico fanciullino importato dall’India racconta di sé, e nella sua convergono altre storie. Quella di Helena, la sorella, anche lei adottata ma dai tratti greci, inconsapevole (forse) testimone degli abusi di cui è vittima il fratello; quella di una cantante d’opera che evoca esaltandola la figura di Benjamin Britten, che «si sa, era fissato con i ragazzini»; e, infine, quella di un ricercatore-patologo che, sezionando cadaverini di passerotti, contribuisce ad allestire il claustrofobico sottotesto.
Che cos’è “Susurrus”? Il sussurro è la voce del vento tra gli alberi, un respiro che è rantolo e insieme sospiro di sollievo; quando le orecchie esplodevano, ma senza la fiamma del desiderio: «nella foresta, io e papà… quattro giorni e quattro notti… mi svegliavo e vedevo il suo sonno… così vicini da stare male… le sue ossa sulle mie ossa… clic clac… ma ero felice».
Camminando l’ascoltatore apprende a concepire l’impensabile orrore e quando giunge la domanda: «Che cosa penserebbe uno sconosciuto di questa mia storia?», la vicinanza è ormai fatale ed intensa. Con il tramite della musica, poi, tra un passaggio e quello successivo, l’identificazione è paralizzante. Come quando, a metà percorso, insieme a Edith Piaff che canta “Mea Culpa”, si entra inaspettatamente nel padiglione ferroviario, e tra binari e antiche locomotive, nel buio, il timore diviene fremito. Sembra di essere in una fittizia King’s Cross gremita di figure nere che si muovono veloci, per non guardarsi, per non guardare.
scritto e diretto da David Leddy
versione in esclusiva per MilanOltre e il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci
voci italiane di Ferdinando Bruni, Cristina Crippa, Elio De Capitani e Ida Marinelli
durata: 75´Visto a Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, il 17 ottobre 2009
MilanOltre 2009