Movimenti forti e precisi, eseguiti da un cast di soli uomini, accompagnati da un’avvolgente e calda melodia di archi e percussioni composta dal polacco Szymon Brzóska e suonata dal vivo: un armonioso contrasto tra ciò che si vede e quello che si sente, tra fisicità corporea e dissolvenze sonore.
Ha inizio così Torinodanza 2019, ospitato per la serata inaugurale al Teatro Regio che apre i propri spazi ad uno spettacolo molto lontano dalla “tradizionale” stagione operistica, portando sulla scena una delle più riuscite creazioni contemporanee, un successo mondiale indiscusso degli ultimi anni, che ha raggiunto 60 città nel mondo e quasi 200 repliche: “Sutra”.
Lo spettacolo, creato nel 2008 da Sidi Larbi Cherkaoui, sembra davvero ben augurante per l’avvio del festival, che proseguirà fino al 26 ottobre.
Derivante dalla lingua sanscrita, in origine usata per indicare brevi aforismi, sutra anticipa fin dal titolo il senso profondo, mistico e religioso che emergerà nel corso dello spettacolo, un’opera che a Torino ha catturato l’attenzione del pubblico, rimasto concentrato in una sorta di contemplazione sino allo scroscio di applausi finali.
Il coreografo belga di origini maghrebine esplora con questo lavoro il senso filosofico e la fede che caratterizzano la tradizione dell’antico Tempio Shaolin. Ponendo al centro del proprio percorso l’attenzione verso l’interazione e l’aggregazione con il prossimo, il coreografo decide di lavorare a stretto contatto con diciannove monaci buddhisti, le cui usanze risultano ben lontane dal mondo dello spettacolo occidentale.
Propone così un’interessante lettura delle forme della spiritualità orientale e indaga il rapporto che lega il credo monastico all’antica arte del kung fu. Partendo proprio da questa disciplina, che non dobbiamo considerare come una pratica di combattimento ma rappresenta un vero e proprio stile di vita individuale e sociale, la coreografia ne studia i principi cardini, esaltando la capacità di controllo emozionale che scaturisce dalla sua pratica costante. Ed è proprio la pratica a permettere l’esecuzione di complessi movimenti che risultano naturali ed espressivi, e che grazie al lavoro di Cherkaoui vengono resi coreografici.
I monaci sono dunque chiamati a interpretare sé stessi presentando l’eleganza e la bellezza, ma anche il rigore, l’energia e la forza, dei gesti che caratterizzano la propria vita quotidiana. In un’unione di danza, teatro e arti marziali, la creazione – definita a pieno titolo un capolavoro – si caratterizza per il suo carattere evocativo ed evanescente, un incessante susseguirsi di apparizioni e solide figure, un flusso perpetuo che scaturisce dalla precisione dell’esecuzione e dall’attento ascolto che i monaci hanno di sé e del proprio corpo, ma al contempo degli altri e dello spazio che li circonda. Emerge, all’interno di questo affascinante spettacolo, il rapporto familiare che lega un giovanissimo e atletico novizio, da un lato a una figura paterna, interpretata per l’occasione da Cherkaoui stesso, dall’altra ai doveri e alla disciplina propri del credo monastico.
Ad amplificare i movimenti di questi inusuali interpreti viene invitato lo scultore e artista visivo Antony Gormley, artefice della imponente scenografia mobile che catalizza l’attenzione sul palco: una serie di strutture lignee in grado di contenere e celare un uomo adulto, casse dalle linee pulite che vengono spostate come tessere di un domino: 21 strutture scenografiche per 21 uomini, come per duplicarne la presenza. Tra queste ne emerge una identica per struttura alle altre ma differenziata dal colore metallico: rivelerà la presenza di un personaggio che, a differenza di tutti gli altri, affronta l’esperienza di essere genitore.
Dalla diversa disposizione di queste “sculture” e dagli accostamenti cromatici che le caratterizzano vengono create geometrie o immagini che rimandano ad un universo artistico che parla dei simboli della vecchia e della nuova Cina, ma non solo. Tra questi un gigantesco fior di loto, un antico e colossale ziggurat o ancora Stonehenge.
Questa scelta scenografica esalta allo stesso tempo le caratteristiche corporee degli interpreti, diverse tra loro ma, come le casse, accomunate da linee definite e da una struttura compatta. Anche le diversità cromatiche rimandano alle singole personalità, dove ogni cassa presenta venatura, nodi e tonalità uniche.
Con “Sutra” l’artista belga crea una personale sintesi tra filosofia orientale e pensiero occidentale che sembra rientrare perfettamente negli obiettivi che la direttrice Anna Cremonini sottolinea quali motori di questa edizione di Torinodanza: “L’attenzione verso l’altro, la sensibilità dello sguardo, il dialogo con culture diverse, la tensione verso nuove forme di spiritualità”.
SUTRA
Sidi Larbi Cherkaoui
Creazione plastica e design Antony Gormley
Musiche Szymon Brzóska
Prodotto da Sadler’s Wells London Production
Coprodotto da Athens Festival, Festival de Barcelona Grec, Grand Théâtre de Luxembourg, La Monnaie Brussels, Festival d’Avignon, Fondazione Musica per Roma and Shaolin Cultural Communications Company
durata: 60′
Visto a Torino, Teatro Regio, l’11 settembre 2019