Tchaïka di Iacobelli e Belova: la polvere del palcoscenico sul tramonto di una diva

Photo: Michael Gálvez
Photo: Michael Gálvez

Al Franco Parenti di Milano le suggestioni del teatro di figura con marionetta per uno spettacolo internazionale pluripremiato

Corpuscoli di polvere piovono sul palcoscenico grandi come coriandoli, suggestivi come fiocchi di neve. Un cono di luce dall’alto illumina una creatura esile, dall’incedere incerto e stupito.
È un gioiello di poesia e artigianato “Tchaïka”, produzione cileno-belga per attrice e marionetta che ha fatto tappa al Franco Parenti di Milano nel cinquantennale del teatro diretto da Andrée Ruth Shammah.

“Tchaïka” – in spagnolo sovratitolato – è l’ultimo spettacolo di un’attrice anziana, gracile e in odore di Alzheimer. È il crepuscolo di una diva. È l’epitaffio di una carriera luminosa. Calano i riflettori su una vita irraggiata dal successo: Gabriela González e Christian Halkindense al light design creano sul palcoscenico zone d’ombra che sono viatico dell’oblio. Sulla scena, la performer cilena Tita Iacobelli si accompagna a una marionetta a grandezza naturale, ideata e costruita dalla russa Natacha Belova.
Una donna e una marionetta fuse l’una nell’altra, come gemelle siamesi. Un corpo e due anime. L’intreccio di sguardi e gesti. Una voce si sdoppia, alimentando un dialogo surreale. Una vicenda paradossale e divertente, e la magia deborda dal palco alla platea.
Presentato in anteprima nel 2018, “Tchaïka” è diventato uno dei fenomeni teatrali più importanti degli ultimi anni, suscitando consenso di pubblico (dai 14 anni) e critica, con diversi riconoscimenti internazionali.

In un’atmosfera irreale, una vecchia attrice avanza titubante dentro un teatro, quasi inconsapevole del motivo della propria presenza. Accanto a lei, una giovane donna le ricorda che è lì per recitare “Il gabbiano” di Cechov: l’interpretazione del ruolo di Arkadina segnerà il suo addio al teatro. La vecchia stenta a calcare il palco; non ricorda il testo, né l’ordine delle scene. Vorrebbe interpretare la giovane Nina, il suo personaggio preferito, nonostante lo scarto d’età, come a esorcizzare il peso degli anni.
Pochi oggetti scenici: un divano e un tavolo coperti da lenzuola; un velo rosa; uno stretto sipario che cade dall’alto; una borsetta e un peluche; un gabbiano di pezza. Ma è proprio l’incontro-fusione fra attrice e marionetta ad affascinare, quasi fossero due propaggini della stessa pianta.

Giovinezza e vecchiaia. Memoria e oblio. Sguardi divaricati tra futuro e passato, legati da un presente impalpabile.
La polvere del tempo. La vita come gli atti di un dramma. Una tosse nervosa per mascherare le dimenticanze. La delicatezza e la cura di un essere in carne e ossa. La confusione riottosa e acquiescente, ribelle e remissiva, di un pupazzo a grandezza naturale non meno vero, altrettanto vivo.
Tita Iacobelli si fa carico della marionetta come una figlia si fa carico di una madre vulnerabile. La bocca di Iacobelli è un intrico di tre voci: quella sciolta e paziente di una giovane donna; quella roca dell’anziana diva sul viale del tramonto; quella insolente e stridula di un peluche, che nella bizzarria scenica coincide con quella di Konstantìn, figlio di Arkadina.

Il gioco e la vita. La fantasia, e qualunque oggetto inanimato diventa personaggio per la scena. Lo scorrere degli anni. L’inevitabile declino. Come nel “Gabbiano”, “Tchaïka” oscilla tra disillusione e speranza. Arkadina continua a recitare il proprio ruolo sul palcoscenico, nonostante il decadimento. Con eroica determinazione, prova a far volare il suo gabbiano fino alla fine.

In russo la parola tchaïka ha la stessa radice del verbo tchaïat, “confidare”. Questo spettacolo contempla la speranza, e la possibilità di individuare nel passato il barlume di una pacificazione.
“Tchaïka” di Iacobelli e Belova parla di teatro e arte, di realtà e finzione, di vecchiaia e morte. Ma lo fa in modo buffo e poetico, ironico e spirituale. La luce e il buio prefigurano un senso di vuoto che non è un addio, solo un modo per congedarsi da un capitolo della propria vita per avviarne un altro, forse più introspettivo.

Inquietudine e passione. “Tchaïka” galleggia con sorprendente disinvoltura tra un capolavoro del teatro classico, il teatro di figura e la performance. Questo lavoro sobrio con marionetta e oggetti è un pezzo folle sugli abissi del teatro. Con la consapevolezza che forse solo in età avanzata possono sorgere dall’intimo profondità che da giovani non si riesce a cogliere.

TCHAÏKA
liberamente ispirato a Il gabbiano di Anton Čechov
con Tita Iacobelli
regia Natacha Belova e Tita Iacobelli
scenografia Natacha Belova
luci Gabriela González, Christian Halkin
musica Simón González dalla canzone La pobre gaviota di Rafael Hernández
in consolle Gauthier Poirier
produzione Ifo Asbl
con il sostegno di Financiamiento del Fondo Nacional para la Cultura y las Artes, Chili, la Fédération Wallonie Bruxelles-arts de la scène – service interdisciplinaire
in coproduzione con Mars-Mons arts de la scène, Théâtre Des Martyrs à Bruxelles, Atelier Jean Vilar à Louvain-la-Neuve
Miglior Spettacolo e Migliore Attrice, Círculo de Críticos de Arte de Chile, 2018
Premio del Pubblico come Migliore messa in scena dell’anno (premio Clap, 2018)
Maeterlinck Critics Award, categoria “miglior interprete solista” (Belgio 2020)
Nomination per la categoria Migliore attrice del Maeterlinck Critics Prize (Belgio 2020)
Gran Premio del XXIX Bieslko Biala International Festival nel 2022 (Polonia)
Rassegna La nuova scena
a cura di Natalia Di Iorio
per Associazione Pier Lombardo
Rassegna La Grande Età

durata: 50’
applausi del pubblico: 3’ 40”

Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 14 marzo 2023

 

 

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