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Tè nero notte. La prostituzione raccontata dalla strada

Tè nero notte

Dalla collaborazione tra la scuola Paolo Grassi di Milano e le unità di strada di Segnavia-Padri Somaschi, nasce “Tè nero notte”, in scena al Teatro LaCucina di Milano

‘Tè nero notte’ (www.fondazionemilano.eu)

Se dovessimo recensirlo, “Tè nero notte” meriterebbe 5 stelle, eppure dello spettacolo in sé parleremo poco.

Non ci soffermeremo sullo stile drammaturgico di “Strada Provinciale 40” e di “La prostituzione raccontata al mio omeopata”, né sui tre giovani autori Cristina Belgioioso, Dario Merlini e Laura Tassi. Non ci dilungheremo nei commenti alla recitazione di Nastassia Callia, Martina Galletta, Gabriella Italiano e Alice Protto, le quattro giovani allieve della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi che, nei due spettacoli, hanno indossato i panni delle tante e anonime prostitute che battono le strade provinciali di Milano.
Non avremo niente da dire sulla scarna scenografia, vuotata del palcoscenico e riadattata a ciglio stradale, allestita negli spazi (non originariamente teatrali), del Teatro LaCucina Olinda, dell’ex istituto psichiatrico Paolo Pini di Milano.

Le nostre 5 stelle, piuttosto, andrebbero tutte all’urgenza che anticipa e che ha motivato lo spettacolo: servirsi del teatro per far conoscere “Bassa Soglia”, una realtà impegnata nella lotta allo sfruttamento della prostituzione e della tratta di esseri umani, attraverso l’azione delle Unità di strada di Segnavia e dei Padri Somaschi.

Eccoci allora a parlare del progetto, di quell’iniziativa teatrale alla Scuola Paolo Grassi che ha accolto l’idea, mettendo a disposizione due autrici che hanno seguito “sul campo” gli operatori di Segnavia per conoscere le storie delle donne vittime di sfruttamento e, da qui, sviluppare “Tè nero notte”, un percorso teatrale composto da due spettacoli.

Entrambi sono la restituzione di quanto le autrici hanno ricavato dall’esperienza diretta degli incontri con le donne, e dalle storie che hanno ascoltato; entrambi usano le parole di queste donne, ma rielaborate in un linguaggio teatrale frammentato ed essenziale; entrambi riproducono i gesti imparati dalle donne di strada, a partire dall’abbigliamento, passando per i tic e le manie, fino ad arrivare ai desideri naturali di qualsiasi donna e alle proprie confessioni più intime.

L’attività degli operatori di Segnavia, infatti, consiste nell’instaurare con le vittime di sfruttamento sessuale una relazione basata sulla fiducia: un contatto personale che permetta loro di esprimersi come donne, e uno scambio educativo che tiri fuori le loro risorse.
Se l’obiettivo di salvarle dal maltrattamento è irrealizzabile, non significa che non si possa, o che sia inutile, stimolare in queste donne il desiderio del cambiamento, regalare loro un’occasione per uscire dallo stato di “confino”.

Ci sono poi obiettivi concreti e raggiungibili grazie al dialogo instaurato con queste “emarginate”. Prima di tutto, per chi promuove il contatto, ogni dialogo, ogni contatto creato permette di conoscere sempre meglio il fenomeno e monitorarne le evoluzioni. Dall’altra parte, le donne aiutate ricevono assistenza sanitaria (pratica ma anche teorica e preventiva sulle malattie sessualmente trasmissibili), e vengono informate circa i servizi sociali di cui possono usufruire. Un coordinatore, a capo di quattro operatori di strada, un volontario del servizio civile, due mediatrici culturali, tre tirocinanti e quattro volontari, servendosi di due automobili, un telefono cellulare, biglietti da visita e materiale informativo multilingue, generi di conforto, un database con i contatti e la loro mappatura sul territorio, mirano così ad alleggerire il disagio delle vittime di maltrattamento. L’aspettativa è che la fiducia creata dal contatto attraverso le “unità di strada” e quelle “indoor” (per la prostituzione in appartamento) – dall’ascolto e dal dialogo in luoghi protetti lontano dalla strada, dal supporto informativo, educativo e sanitario con i drop-in presso i servizi sanitari di rete – possa produrre nella donna il desiderio di cambiare vita.
Eppure non capita così facilmente, anzi.

Gli operatori di strada –  gruppo composito di competenze, ma formato in modo specifico attraverso corsi svolti in collaborazione con la rete dei servizi sociali – nel 2010 hanno effettuato 3393 contatti con 746 donne, metà delle quali vengono da Romania e Nigeria: solo il 16% di loro ha però scelto di accedere ai servizi di ascolto e supporto lontano dalla strada (i drop-in), e 9 su 10 hanno preferito ricevere un servizio sanitario, piuttosto che essere accompagnate in uno spazio d’ascolto.
Questo accade perché molte donne, pur cercando di uscire dalla clandestinità, non vogliono (hanno paura di) smettere di vivere “sfruttate”, quindi preferiscono la regolarizzazione attraverso sanatoria piuttosto che rivolgersi ai canali dell’art.18, ovvero il percorso di protezione sociale e d’integrazione di cui vengono a conoscenza attraverso gli operatori delle Unità di strada.

Nel 2010, sette donne sulle oltre settecento contattate hanno scelto di sottrarsi alla loro grave condizione di sfruttamento.
Un dato che stupisce e sul quale ora, anche noi “spettatori teatrali”, possiamo riflettere.

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