Teatri romani & Covid. Quali contenuti per i nuovi contenitori?

Chissà se ha senso tentare una ricognizione parziale e locale, lo sottolineiamo fin da subito, del neonato non-teatro, il Covid-teatro, senza sala e senza pubblico… Viene in mente la citazione pirandelliana rimaneggiata dai Muta Imago per il loro “Senza quinte né scena, un non spettacolo per un non teatro“, inquietante e profetico, non fosse per il fatto che si svolgeva proprio nello scheletro del Teatro con la t maiuscola, il Valle.

Forse ha senso perché ci aiuta a scrutare da un’altra angolazione tutti quei processi che stanno dietro alla normale amministrazione: l’inventiva, la comunicazione, lo sguardo proiettato, la reazione a stimoli imprevisti. L’essere da un lato “ospiti” di un medium, quello teatrale; e dall’altro essere teatro in un senso non più legato nemmeno a quelle minime certezze che si chiamavano presenza, convergenza in un luogo, scambio live.

Sono varie, le reazioni al cambiamento: a partire da tentativi di finali di stagione online, passando per creative rimodulazioni sotto altra forma della spinta produttiva, per finire a chi semplicemente sceglie il silenzio come più coerente atteggiamento di fronte all’aggressività delle misure governative.

Non si è lasciato cogliere impreparato il Teatro Studio Uno, e già all’indomani del famigerato DPCM del 4 marzo offriva ai suoi spettatori lo streaming nudo e crudo degli spettacoli previsti in cartellone di lì a poche ore.
Benché sottoposto a disapprovazioni condivisibili dal punto di vista critico, ma indelicate e disattente alle ragioni dell’urgenza, all’autoconservazione organica di chi il teatro lo vive come attività di costruzione quotidiana («Il teatro in video è brutto, noioso e nessuno lo guarda. Rassegnatevi» tuonava senza riferimenti al teatro romano Simone Pacini lo scorso 11 marzo), occorre riconoscere, a un mese di distanza, che quasi nessuno a Roma ha saputo come lo Studio Uno reagire in maniera così tempestiva, con la grossezza propria della reazione istintiva, è vero, ma a suo modo commovente.

Spersi sul minuscolo palco, sottoposti al silenzio di una platea deserta non meno che alle bizze della messa a fuoco automatica, i coraggiosi interpreti di “Amleto e sua moglie Ofelia” di Gabriele Linari e di “È ita”, di Marina Tiberti, hanno regalato una testimonianza di resistenza quasi impossibile agli eventi. Ma la vita va avanti.

Diversa l’operazione di repertorio di Frosini/Timpano, i quali, alcune settimane prima della crisi sanitaria, avevano (candidamente) richiamato la RAI a un ruolo di testimonianza storica dei percorsi del teatro contemporaneo. Data la situazione, a stretto giro, parte il progetto #Indifferita, e ci pensano loro, sostituendosi alla televisione pubblica, dando vita a una vera miniera d’oro per l’appassionato e lo studioso.
La apre un’excusatio maiuscola, paradossale, slabbrata e in piena aggressiva aria di zombitudine (timpanesca, insomma): «Il teatro in video è una cagata, lo sappiamo bene, anzi non è teatro, è solo un resto, ma quel che ci resta in questi tempi mesti son questi umani resti».

L’antologia è ecumenica, sragionata e tecnicamente ondivaga, ma cerca di aprire i propri margini a tutto il teatro italiano “contemporaneo clandestino” come lo definiscono gli stessi curatori. Un teatro che, probabilmente, se non abbiamo visto avremmo voluto vedere: a partire dagli stessi Daniele Timpano ed Elvira Frosini per arrivare a Carullo/Minasi, Lisa Ferlazzo Natoli, Garbuggino/Ventriglia, Santasangre, Roberto Latini, Scena Verticale, Balletto Civile/Michela Lucenti, Fabio Massimo Franceschelli e tanti altri.
La playlist, per i ritardatari, nel weekend è aperta alla visione di tutti gli spettacoli proposti giorno per giorno. Bisogna vederli, per costruire una mappa ragionata del teatro in video: certi lavori inaspettatamente ci si adagiano persino comodamente, altri scivolano senza presa, proprio come resti senza vita.

Al di là del Tevere, il Teatro Argot Studio interrompe, com’è ovvio, la programmazione, senza tentare modalità alternative di spettacolo o di partecipazione performativa, ma apre un dibattito-video: #ilteatrodidomani, un dibattito pensato come una raccolta di videomessaggi spediti al proprio sé del futuro. Così spiega Tiziano Panici sulla pagina Facebook del teatro: «Riflettere, pensare e immaginare come potrà essere il teatro del domani».

Mentre il Palladium promette lacerti dalle scorse stagioni, l’Eliseo propone una selezione di spettacoli barbareschiani (da “Mamet” a “Rostand” sono al momento cinque le produzioni del teatro accessibili online), e l’Opera di Roma rende disponibile una ministagione in streaming.

La grande istituzione romana che più di tutte sta reinventando il proprio ruolo in modo originale, evitando di adattare a nuovi media vecchi contenuti, è il Teatro di Roma, grazie a una notevole quantità di iniziative.
Due sono le rassegne su You Tube: Talk&Dialoghi e Schegge&Racconti (rintracciabili seguendo #TdRonline) con interventi, fra gli altri, di Massimo Popolizio, Monica Demuru, Claudio Morici, Tamara Bartolini. Oltre a conversazioni, “pezzi”, letture poetiche varie (tra cui l’apertura a cura del direttore Giorgio Barberio Corsetti della maratona poetica per la giornata mondiale della poesia e il ciclo “Ècchelo”, dedicato all’arte un po’ trascurata di Victor Cavallo), c’è il progetto fiabesco, “Le fiabe della buonanotte” del Teatro delle Apparizioni, con la lettura di Fabrizio Pallara e gli interventi di testi poetici tratti da volumi delle deliziose edizioni per bambini Topipittori.

Sarà che il tempo di narrazione è subito tempo di favole, se quasi in competizione con le “Favole al telefono” di Gianni Rodari lette da Manuela Mandracchia ad Alta Voce su Radio3 (altra declinazione rispetto a quella di Anna Fascendini) si può, tornando in ambito romano, affacciarsi alla raffinata cura di Annabella Calabrese di “Le chat noir” di un ulteriore repertorio fiabesco.

Per concludere con il Teatro di Roma, ultimo arrivato è l’esperimento di RadioIndia, legato all’anima più off del teatro stabile della capitale, nato anche dal sospeso progetto Oceano Indiano e dagli artisti che negli spazi del riconfigurato capannone di Lungotevere Gassman avrebbero dovuto portare avanti laboratori ed esperimenti. Sempre riascoltabile sulla piattaforma Spreaker e in diretta ogni giorno dalle 17 alle 20, su Radio India, si può ascoltare Daria Deflorian con “Persone”, Muta Imago, Matteo Antonaci e altri con format nuovi, pensati espressamente per il medium radiofonico.

Si conquista il placet di Short Theatre invece un altro esperimento radiofonico, sempre sulla piattaforma Spreaker, tentativo di risposta disobbediente ai divieti di assembramento e alle altre stringenti norme da decreto, ad opera di BAD PEACE & Fanfulla 5/a. Il titolo è eloquente: Baraonda Perpetua.

Concludiamo sull’onda dei festival in attesa della ancòra incognita stagione estiva: se Romaeuropa temporeggia, riproponendo sulla sua pagina Facebook interviste e focus dedicati a eventi importanti della sua storia più recente (Dada Masilo, Sasha Waltz, Pippo Delbono, Agrupación Señor Serrano e diversi altri), Dominio Pubblico, Attraversamenti Multipli, Teatri di Vetro e Fuori Programma si uniscono all’appello alle istituzioni di altre decine di festival nazionali “dell’Innovazione dello spettacolo dal vivo” in una richiesta di flessibilità sacrosanta, perché quello che sembra profilarsi come un vuoto di fronte a noi, non travolga il già delicato equilibrio della ricerca nelle “instabili” arti performative.

Per una panoramica più ampia sulla programmazione di teatro online in Italia, in questo periodo, vi rimandiamo all’articolo “Teatro a porte chiuse“.

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