Alla meta. Teatrino Giullare nel rapporto tra umano e artificio

Alla meta - Teatrino Giullare
Alla meta - Teatrino Giullare
Alla meta – Teatrino Giullare

È nell’amore per la drammaturgia, per quella parola che agisce, che libera e che intrappola, per le nostre sporcizie, per le nostre dignità ora esaurite, ora trasformate, ora esplose nello spazio di una scena che è partenza e che è rifugio, il primo e mai celato impulso in cui l’opera dei Teatrino Giullare ancora cerca e contempla il suo personale gesto e la sua personale urgenza.
L’artificio è sostituto di un umano che non sa dirsi in carne e ossa, che nel gesto del fantoccio trova amplificazione, potenziamento e uscita. Ecco allora che la parola, sospesa tra corpo e marchingegno, si fa squisitamente teatrale nella lotta contro il limite fisico che nel movimento si accomuna all’ascolto, al respiro e alla vita.

Con “Alla meta” di Thomas Bernhard, il secondo, tra “Finale di partita” di Samuel Beckett e “Lotta di negro e cani” di Bernard-Marie Koltès, degli osannati exploit dei Giullare (vincitori anche del Premio Ubu 2006 “per la profondità d’interpretazione dei classici contemporanei”) il gioco si palesa esplorazione capillare e minuta, per restituirci ferocemente la storia di un’attesa interminabile, ripetitiva e soffocante di una madre perfida e di una figlia inerte, pronte come ogni anno a spostarsi nella loro casa al mare, sogno di aspettative inesorabilmente vuote, di cui solo la presenza di un ospite, un giovane drammaturgo in erba, sembra per un istante accendere la speranza di una variazione sul tema. L’insensatezza del teatro e del nostro essere-esistere sono poi la riflessione di fondo che accompagna le relazioni, i non detti e soprattutto il rumore di questi personaggi-fantocci, con le loro protesi, rotelle e tacchetti, vere e proprie storie della stessa storia. Così è la madre statua irrigidita nella sua poltroncina, la figlia che resta in piedi ma mai cammina, perennemente trascinata, sballottata e violentata dalle volontà altrui, così, in ultimo, è il giovane, che, se è uomo, mai tuttavia abbandona la maschera del volto.

Tre gradi di artificialità, dunque, scelgono qui di intrecciarsi con la molteplicità delle umanità racchiuse nell’uno, che il testo di Bernhard sviscera con la maestria della sua ossessione e che i Giullare sanno rendere profondamente nel particolare di un’apparizione intima e mai estetica.
Il lavoro sulla drammaturgia contemporanea di Enrico Deotti e della bravissima Giulia Dall’Ongaro si conferma oggi uno dei più notevoli nel panorama teatrale italiano e forse, si potrebbe dire, il sogno recondito di molti drammaturghi. Capace di oltrepassare i limiti delle etichette e i suoi supposti tabù, i Teatrino Giullare dimostrano infatti che, se la scrittura della scena ancora implica fatica, lo è nelle misura in cui implica la necessità e il desiderio dell’ascolto. Sforzo demodé per molti, eppure, in “Alla meta” è evidente, ancora semplicemente efficace. Basta, forse, provare a fidarsi e andare un po’ più a fondo, per comprendere che parola non è tradizione ma voce di persona.

ALLA META
di Thomas Bernhard
traduzione a cura di: Eugenio Bernardi
regia di: Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti
con: Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti
scene: Cicuska
produzione: Teatrino Giullare con il sostegno del Comune di Bologna, della Provincia di Bologna, Regione Emilia Romagna
durata: 80’
applausi: 2’ 42’’

Visto a Bologna, Arena del Sole, il 12 marzo 2009

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