Inventiamoci qualcosa di diverso, anche per avvicinare nuovo pubblico: deve essere un po’ questo il pensiero che ogni direttore artistico ha in mente quando inizia un nuovo incarico. L’entusiasmo dovrebbe essere trainante e portare a nuove idee.
Ecco perché, anziché presentare in maniera parziale qualche stagione, Klp, in questo debutto di stagione 16/17, ha deciso di dar voce a qualche neodirettore alle prese con processi di rinnovamento o mutamento.
Se a Milano abbiamo di recente sentito le voci sia di Corrado d’Elia (Manifatture Teatrali Milanesi) che di Andrea Lisco (Teatro Verdi), ci spostiamo oggi a Genova e raggiungiamo nel suo bel centro storico il Teatro della Tosse.
Amedeo Romeo, regista, scrittore, organizzatore teatrale e collaboratore del teatro dal ’99, in realtà è arrivato alla direzione dello storico teatro genovese a gennaio 2015 per un triennio che si concluderà nel 2017. Una stagione l’ha quindi già vissuta. Prima di lui alla direzione artistica, nella storia più recente della Tosse, Massimiliano Civica e Fabrizio Arcuri.
Romeo ha però deciso da poco che, per un vero rinnovamento, il teatro non dovesse chiudere mai; ecco quindi la voglia di rompere con la consueta programmazione che inizia in autunno per finire in primavera. Del resto una città di mare come Genova si presta anche ad esperimenti estivi fuori dalla sua struttura stabile, per poi tornarci nei mesi più freddi. Così, dal prossimo 26 ottobre fino al 6 novembre, per chiudere il filo rosso avviato con l’”Orfeo Rave”, la Tosse ospiterà l’Euridice di Anouilh, regia di Emanuele Conte, al quale seguirà “Drums and Circus” di Circo el Grito dal 17 novembre. In sala Campana le proposte della nuova drammaturgia saranno molte. Per citarne due, dal 10 al 13 novembre andrà in scena “Città Inferno” per la regia di Elena Gigliotti, ispirato al celebre film “Nella città, l’inferno” con Magnani e Masina. Cui seguirà l’arrivo di Daniele Timpano ed Elvira Frosini con “Acqua di colonia”. Tra novembre e dicembre anche la seconda edizione della rassegna di danza contemporanea “Resistere e creare” curata da Michela Lucenti.
Sei direttore di un Teatro di Rilevante Interesse Culturale, come li ha definiti la riforma. Ci fai un bilancio del tuo percorso fin qui?
Sono arrivato alla fine del secondo anno del mio incarico di direttore. Sebbene il progetto che ho impostato sia su base triennale, a questo punto è possibile cominciare a fare qualche bilancio. Gli obiettivi posti con Emanuele Conte e Marina Petrillo, che insieme a me lavorano al progetto artistico della Tosse, erano molto ambiziosi. Ciononostante, sono convinto che siano stati in gran parte raggiunti. Del decreto ministeriale che ci ha attribuito la qualifica di TRIC, Teatro di Rilevante Interesse Culturale, si è parlato molto in termini di numeri, algoritmi, tagli, ma poco si è detto di quello che potrebbe (o dovrebbe) vivere dietro le parole. Ai teatri è richiesto fare “numeri” ma, e di questo siamo convinti, se tu, Ministero, mi definisci Teatro di Rilevante Interesse Culturale, io mi devo interrogare sul significato di questa parola. Per noi essere un TRIC ha significato porsi come punto di riferimento per tutte le realtà culturali che operano sul nostro territorio – e la quantità straordinaria di proposte di collaborazione che ci arrivano sia da piccole compagnie, che da singoli artisti, che dalle istituzioni cittadine (università, musei, gli stessi enti locali) testimoniano che siamo riusciti in tale obiettivo. Essere un teatro di rilevante interesse culturale significa ospitare e produrre spettacoli che risveglino l’interesse del pubblico, ma che allo stesso tempo insistano nella ricerca di linguaggi che parlino al presente. Ma significa anche parlare a tutte le generazioni, alle diverse componenti della società, al territorio che ci ospita. Siamo convinti di averlo fatto diventando sempre di più un presidio nel centro storico di Genova, un luogo molto particolare, a volte difficile da interpretare.
Avete allargato il pubblico del teatro e vi siete aperti anche a musica, danza e giovani compagnie. Senza snaturarvi?
Siamo profondamente convinti che nel mondo delle arti performative le barriere debbano essere sempre di più abbattute: musica, danza, nuova drammaturgia non possono che convivere, sia nella costruzione di un progetto culturale che sul palcoscenico.
Il pubblico di un teatro come il nostro, che non vive di abbonamenti e di habitué, cresce solo se costantemente stimolato. Per questo scegliamo di produrre spettacoli come quello con cui l’anno scorso abbiamo chiuso la primavera, “Orfeo Rave”, nel quale – nei 13mila mq del Padiglione Jean Nouvelle della Fiera del Mare – abbiamo costruito uno spettacolo itinerante, con la regia di Michela Lucenti ed Emanuele Conte, in cui prosa, danza, video e musica elettronica erano mescolate e dialogavano tra di loro. Questa esperienza, fortemente legata al contemporaneo, e al contempo figlia della tradizione del Teatro fuori dal Teatro che da sempre ha caratterizzato la Tosse, è stata capace di attrarre pubblici molto variegati ed estremamente eterogenei, sia dal punto di vista del gusto che da quello anagrafico.
Quali sono i prossimi obiettivi?
I traguardi che ci proponiamo sono diversi. In primo luogo riuscire a continuare ad uscire dal teatro, anche con produzioni molto impegnative, rese possibili dall’afflusso di pubblico e dalla straordinaria professionalità della nostra struttura – e non sostenute dalle istituzioni, nonostante l’importanza ampiamente riconosciuta per la città di iniziative come questa.
Poi, nella convinzione che il nostro linguaggio sia adatto ad un pubblico di giovanissimi, vorremmo allargare la fascia di pubblico dai 16 ai 24 anni. Lo stiamo facendo in maniera non convenzionale, ossia non solo attraverso il canale istituzionale della scuola. Diamo molta attenzione alla cosiddetta “formazione del pubblico”, con numerosi corsi sui mestieri del teatro. E per questo portiamo avanti con sempre maggiore impegno il progetto della Claque in Agorà, una sala principalmente dedicata alla musica, quindi capace di attirare il pubblico più giovane, che così entra a teatro e viene a conoscenza della nostra programmazione.
Da quest’anno la scelta del vostro teatro è di impostare la stagione seguendo il corso dell’anno gennaio-dicembre. Perché?
Si tratta di una scelta pratica, nata dalla constatazione che ormai quasi nessuno gestisce il proprio tempo “chiudendo” in estate. Le città in estate sono sempre meno deserte (e forse noi che facciamo teatro dobbiamo contribuire a fare in modo che questo fenomeno diminuisca ulteriormente). Il pubblico non sente più la cesura come un tempo, quando tutti andavano in vacanza in agosto. Tra l’altro, vista la nostra corposa attività fuori dal teatro, per noi l’estate è un periodo di fortissima attività.
C’è poi un aspetto tecnico, che interessa meno al pubblico, ma che rende più agile il nostro lavoro. Ministero, enti locali, istituzioni europee, fondazioni bancarie, ci chiedono di programmare su base triennale, e non a cavallo di due anni. Allora lavorare sulle stagioni a cavallo tra due anni solari diventa molto complesso dal punto di vista del business plan e delle rendicontazioni. Siamo al termine del secondo anno di questo esperimento, e vediamo che il pubblico lo ha recepito bene. Anche perché abbiamo introdotto un sistema di abbonamenti trimestrali [l’abbonamento per tre mesi di spettacoli costa 60 euro, ndr], molto gradito agli spettatori, che sicuramente preferiscono non “sposare” un teatro per un anno intero, ma provare per tre mesi a vedere cosa è in grado di proporre.
All’interno del panorama culturale genovese la Tosse ha sempre ricoperto un ruolo importante e “caratterizzato”. Cosa conserverete di quell’immagine?
Un esempio mi viene dalle nostre scelte di ospitalità: continueremo ad ospitare gli spettacoli che si vedranno negli (ex) Stabili cinque anni dopo esser stati da noi. Come avvenne con “Susn” di Thomas Ostermeier: la Tosse lo ospitò nella stagione 2012/13.
Cosa significa portare una visione giovane e plurale in una realtà “storica”?
Il Teatro della Tosse è sì una realtà storica, una istituzione, ma mi sento di dire che è sempre stato storicamente ed istituzionalmente ‘contro’. O forse semplicemente ‘altro’. Difficilmente inquadrabile, fuori dagli schemi. Allora ritengo che il modo migliore per seguire la tradizione e l’insegnamento dei fondatori della Tosse, Tonino Conte ed Emanuele Luzzati, sia continuare a rifuggire l’omologazione – inclusa l’omologazione che deriva dallo sterile esercizio di voler essere sempre e comunque innovatori.