Fondato nel ’73 da Gabriele Salvatores e Ferdinando Bruni, con un gruppo di amici ventenni tra cui Cristina Crippa, Luca Toracca, Thalia Istikopoulou e Ida Marinelli, il Teatro dell’Elfo fa riferimento a quella che Franco Quadri ha definito “la seconda generazione” milanese, immaginando quindi un ideale passaggio di testimone fra questa e quella antecedente di Grassi e Strehler. La storia dell’Elfo, come quella di altre realtà di uguale impegno e dedizione come, per citarne qualcuna, l’Out Off, si intreccia con la storia dell’altra Milano, la Milano “alternativa” nata all’inizio degli anni Settanta, fra rivolta giovanile e sociale.
Molte delle realtà che si aggregarono in quegli anni, intorno a progetti culturali di varia natura e sostanza, talvolta effimere e contraddittorie, sono poi cessate.
L’Elfo, invece, è una di quelle che ha avuto la fortuna, nelle parole di Elio De Capitani, “di trasformare le idee e le speranze in vita e lavoro artistico autogestito. Non siamo i soli, ma siamo tra i pochi che hanno mantenuto un aspetto essenziale di quegli anni: il gruppo, quello che allora si chiamava il collettivo. Ebbe subito un successo generazionale travolgente, culminato nelle ultime emozionanti dieci repliche a Milano delle Mille e una notte. Erano repliche speciali: c’erano Moni Ovadia, Mario Arcari e tutto il Gruppo Folk Internazionale che suonava dal vivo nello spettacolo. L’Elfo divenne un fenomeno sociologico, il teatro simbolo di una generazione, totalmente estraneo ai mondi interni del teatro: un fatto a sé.”
Dal ’79 il gruppo trova sede in via Ciro Menotti, nell’anno in cui Fiorenzo Grassi e Gianni Valle aprivano il Teatro di Portaromana. Prima di allora l’Elfo recitava nei Centri Sociali (il vecchio Leoncavallo, L’Isola e Santa Marta) e poi nei teatri alternativi (il Teatro Officina, il Teatro Verdi e il Teatro Uomo – luogo mitico della vita culturale di Milano, oggi un autosalone).
Di qui sono passati, fra gli altri, Antonio Catania, Claudio Bisio, Paolo Rossi, Riccardo Bini e Sebastiano Filocamo, Gigio Alberti, Silvio Orlando e Bebo Storti, che seguirono poi Salvatores al cinema.
Ma nonostante le emorragie lo spirito di gruppo si è conservato. Anzi, in tempi di aggregazione e crisi ha funzionato da polo per rilanciare progetti importanti. E’ successo già nel ’92, all’atto di unire l’attività di due teatri, Elfo e Portaromana. Fu allora che il progetto Teatridithalia prese corpo, con l’aggregazione della compagnia di Fiorenzo Grassi e Gianni Valle.
L’anno scorso l’Elfo ha compiuto venticinque anni, e alcuni notavano che qualche abbonato era addirittura più giovane: un risultato sempre importante per un esperimento artistico, che dimostra come il proprio linguaggio sia andato oltre la propria generazione, per parlare a tutti.
L’Elfo è stato in tutti questi anni a Milano un’isola di produzione indipendente, difendendo l’autonomia con ostinazione.
E oggi, ancora una volta, rilancia. Rilancia con un progetto tutto nuovo e probabilmente anche una nuova sede: di tutto questo abbiamo discusso con Ferdinando Bruni, attore e regista attivo dal primo momento nel progetto dell’Elfo e che condivide con De Capitani la direzione artistica.
Un incontro a margine delle repliche di un grande successo come Il giardino dei ciliegi, tornato alla base milanese a dicembre dopo una lunghissima tournée durata praticamente due stagioni teatrali. E in concomitanza con il debutto (avvenuto ieri sera per proseguire con le repliche fino al 15 febbraio) di Romeo e Giulietta, di cui Bruni firma la regia. In scena un gruppo di interpreti giovanissimi presentato in anteprima lo scorso luglio, nella cornice magica del Teatro Romano di Verona, e prodotto con il contributo dell’Estate Teatrale Veronese e Amat.
Dal senso del teatro al tempo che scorre, fra Checov, Shakespeare e l’Elfo: con l’incoscienza di un tempo e la saggezza dell’esperienza .