C’era una volta… “un re”, diranno i miei piccoli lettori…
No, avete sbagliato! La fiaba inizia in modo diverso.
C’era una volta un mondo senza pandemia, e in quel tempo c’era un Troll che, era il 12 febbraio 2020, entrava in un teatro a Roma, in via Nazionale. Quel Troll era andato lì per assistere alla conferenza stampa del Direttore del Teatro, indetta di corsa, perché il Direttore aveva chiesto a gran voce, giorni prima, un emendamento che conferisse al suo teatro 4 milioni l’anno per tre anni per poter andare avanti nelle sue attività. Ma lo Stato, cattivo, aveva rifiutato…
Il Direttore del Teatro si presentò così con un copricapo religioso, per sottolineare l’appartenenza a quella religione; fece due o tre battute e parlò al plurale, come se da quel pulpito non parlasse unicamente lui, ma tutta la comunità romana di quella religione.
E prima di iniziare la conferenza stampa, il Direttore redarguì i giornalisti: “Non fate domande o insinuate delle cose diverse dalla verità detta da me! Se qualcuno lo farà lo denuncerò!”.
Le “cose” cui si riferiva erano due in particolare:
– che il finanziamento per celebrare i 100 anni (+ 18) del teatro, dell’importo di 8 milioni e stanziati dallo Stato, non era stato utilizzato per comprare le mura del teatro (perché le società, seppur dello stesso Direttore, erano differenti, anche se l’importo era lo stesso);
– e che tutto il restante teatro del regno fosse stato depauperato dei 4 milioni assegnati quell’anno al teatro del Direttore con il copricapo religioso, arrivati senza partecipare al regolare bando del Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo), come tutti gli altri teatri del regno.
Il Direttore spiegò che a lui i 12 milioni servivano assolutamente, perché il teatro che gestiva costava 4 milioni l’anno, e che era stato inserito in un cluster sbagliato per un problema sorto l’anno della prima richiesta al Fus: il teatro infatti prendeva circa 500.000 euro anziché un milione e poco più l’anno.
La conferenza iniziò, e il Direttore fece di tutto per far capire che era un grandissimo imprenditore dello spettacolo, non a caso nel cinema e nella fiction era fortissimo. Se fosse fallito il suo Teatro, sarebbe stato insomma per colpa dello Stato; il Direttore avrebbe chiuso a fatica la stagione e poi avrebbe chiuso pure il teatro a fine anno.
Molti giornalisti erano lì ad incensare il Direttore, qualcuno era lì zitto e schifato, e solamente il Troll insieme ad un altro folletto con un nome difficilmente pronunciabile dissero qualcosa…
Il Troll, in particolare, chiese come mai un’azienda con a capo un bravissimo imprenditore (lo stesso Direttore con il copricapo religioso) aveva comperato un teatro destinato a fallire, e come mai non chiedeva allo Stato un adeguamento del cluster del Fus, anziché chiedere dei soldi extra Fus che non lo obbligavano alle restrizioni che tutti seguivano.
Il Direttore con il copricapo religioso si infuriò, non rispose e chiese nome e cognome del Troll per assicurarlo alle autorità. Il Troll diede le proprie generalità, ma la denuncia non giunse mai alla sua tana.
Pochi giorni dopo questa conferenza iniziò la pandemia e la fiaba sembrò interrompersi: del resto tutto pareva bloccato, come in un mondo caduto addormentato. Gli uomini decisero di chiamarlo lockdown.
Il Direttore mandò subito in cassa integrazione i lavoratori, prese molte sovvenzioni per questo virus sconosciuto che tutto aveva bloccato e, nonostante fosse un grandissimo imprenditore nel cinema, fu uno dei pochi che non riuscì a mettere in piedi nemmeno una piccola rappresentazione in diretta streaming.
Però andava a piangere in tv, per dire che non era colpa sua, e che lo Stato doveva aiutare lui e i lavoratori… quelli che poi, di lì a qualche tempo, avrebbe licenziato.
Fino a quest’anno il Direttore ci ha provato, ma ora ha messo in vendita il teatro. E gli strilloni del regno annunciano la cifra di ben 24 milioni di euro richiesti.
Qualcuno lo comprerà? Se così sarà, e chi lo sa, tutti (o quasi) potrebbero vivere felici e contenti…
Le fiabe a volte raccontano tristi realtà, e spesso in esse non tutto finisce con “… e vissero felici e contenti”.
Lasciamo quindi la nostra fiaba per vedere cosa accade nella realtà.
A fine 2014 Luca Barbareschi diventa direttore del Teatro Eliseo con un contratto attraverso cui la proprietà, senza seguire propriamente lo statuto, dà il benservito a Monaci, il direttore artistico precedente, chiudendo la programmazione in corso. Barbareschi fa poi eseguire dei lavori per la riqualificazione del teatro che non figurano in nessun bilancio pubblicato nelle amministrazioni trasparenti, e che ad ogni intervista hanno un importo differente (variando dai 3 milioni e mezzo ai 5 e mezzo).
A metà 2015 il teatro riapre, aggiudicandosi da subito i finanziamenti del Fus per il triennio 2015/17. Questa anomalia inserisce il Teatro Eliseo in un cluster differente da quello che gli compete, probabilmente calcolato su metà stagione annuale.
All’apertura del teatro Barbareschi parla di come porterà in auge un teatro abbandonato, immettendo soldi privati.
Nel novembre 2016 si parla di un finanziamento diretto e senza rendicontazione di 4 milioni, che in breve tempo diventano 8, diminuiscono a 2, tornano a 4 e poi bagarre di tutti contro tutti!
Chissà…
Nel marzo 2017 (meno di un anno e mezzo dopo l’apertura), il direttore in conferenza stampa racconta le tristi vicende del teatro, in rovina per colpa dello Stato.
Vengono poi assegnati all’Eliseo 8 milioni divisi in due anni, per un centenario un po’ strampalato, che era in realtà già stato festeggiato 18 anni prima. Questi soldi vengono assegnati in seguito ad un’azione che Barbareschi definisce in ebraico Schnorrer (שנאָרער) e che la magistratura chiamerà poi “traffico di influenze illecite”, in cui sarebbero coinvolti il direttore insieme al suocero ed ex ragioniere dello Stato Andrea Monorchio.
Arrivano comunque ai tempi gli 8 milioni alla Eliseo Srl, quattro nel 2017 e quattro nel 2018. Un’altra società di Barbareschi compra le mura del teatro. Riguardo l’acquisto, non si capisce se avviene con Casanova o con la neonata Eliseo Entertainment e se l’acquisto avviene per 7 o 8 milioni (in un’intervista a La7 afferma 7 milioni, ma alla conferenza stampa del 12/2/20 ne nomina 8).
Subito dopo il mondo del teatro si inalbera e questo porta ad una presa di posizione da parte di un’altra istituzione: il Comune di Roma revoca i finanziamenti al Teatro Eliseo.
Nel 2019 Barbareschi ricomincia a chiedere soldi alla politica perché l’Eliseo costa troppo… ma sui rendiconti dell’amministrazione trasparente si vedono solo, ad oggi, le entrate di 2017, 2018 e 2020. Sappiamo che molti soldi, oltre che ai lavoratori, sono andati in produzioni di Eliseo srl o di Eliseo Entertainment, si tratta di produzioni che però non hanno girato quanto avrebbero dovuto, e spesso si sono fermate a poche repliche. E ciò a differenza del cinema e delle fiction sempre prodotte da Eliseo Entertainment, che invece hanno funzionato.
Poi arriva il Covid, e un teatro già in fallimento chiude del tutto, mandando i lavoratori in cassa integrazione fino al licenziamento, di un mese e mezzo fa.
Con il bilancio del 2019 in mano, sappiamo con certezza che l’Eliseo ha ricevuto il saldo del Fus 2018 e l’acconto del 2019.
Invece nel 2020 il Teatro – gestito da una società che fa anche cinema e fiction, un teatro che non ha mai riaperto e nemmeno realizzato un solo contenuto in diretta streaming durante la pandemia – riesce comunque ad ottenere il saldo Fus del 2019, l’acconto del 2020, il contributo della Regione Lazio 2019, l’Istituto per il Credito sportivo e il saldo del Fus 2020 anticipato: un totale di 1 milione e poco meno di 30 mila euro, per un teatro che è stato chiuso e quindi senza la spesa maggiore, ossia i dipendenti… (tra l’altro non appare il ristoro, di circa 800.000 euro, che dovrebbe aver preso, forse tramite un’altra società?).
Ora il teatro, che era già insostenibile dal punto di vista economico prima, è in vendita a circa il triplo di quanto è stato pagato poco prima della crisi sanitaria in corso.
Come mai così tanto?
È forse un nuovo modo di fare Schnorrer? Un modo di obbligare le istituzioni ad aiutare il Teatro Eliseo, senza l’obbligo di rendicontazione? Un modo di farsi inserire di straforo nel Fus?
Un modo per farsi pagare dallo Stato le mura e uscirne con molto più di quanto si sia speso in questi sette anni? Le ipotesi dei malpensanti possono essere tante.
Chi sarà felice e contento alla fine della storia? I dipendenti licenziati? Gli abbonati che non hanno ricevuto rimborsi ma dei buoni (che come Sora Lella insegna vogliono dire solo una cosa)?
Il teatro romano e i suoi spettatori? Il Direttore con il copricapo religioso?
Se fosse veramente una fiaba, lo Stato esproprierebbe per pubblica utilità il Teatro Eliseo: sicuramente, di questo, il Troll sarebbe felice e contento.