L’opera di Roma 18/19: solida e contemporanea

L'Orfeo ed Euridice di Robert Carsen (photo : Vincent Pontet)|La vedova allegra di Damiano Michieletto (photo © Michele Crosera)
L'Orfeo ed Euridice di Robert Carsen

Esattamente un anno fa usciva sull’Economist un articolo sui teatri d’opera italiani. Più che altro si concentrava, numeri alla mano, a spiegare come il sovrintendente Carlo Fuortes – in carica dal dicembre 2013 – avesse portato, anno dopo anno, il Teatro dell’Opera di Roma a ribaltare le sue sorti e a uscire dal baratro dell’indebitamento, fino a regalare una gestione in attivo a una fra le 14 “major opera houses” italiane (l’altra in attivo è la Scala).

Non è un caso che all’apertura della conferenza stampa di presentazione della stagione 2018/2019, proprio il sovrintendente si compiaccia a ragione di un aumento del 30% del pubblico e un ricavo quasi doppio rispetto a quello della precedente gestione, oltre che di un innegabile aumento della qualità media delle produzioni – questo lo aggiungiamo noi.

Ora, l’equilibrio tra innovazione e tradizione, necessario per ottenere simili risultati, è sul campo, contenuto fra due estremi. Uno potrebbero essere le produzioni di repertorio, solide. Ce ne sono alcune che si avviano a diventare bandiere di questa gestione. Ha le radici piantate nel glorioso passato la “Tosca” con le scene di Adolf Hohenstein, che vide la sua prima rappresentazione proprio al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio del 1900; mentre avrà tutto il glamour che carica l’image di un’Italia cool e internazionale la “Traviata” con la regia di Sofia Coppola e i costumi di Valentino (a gennaio); agile e intelligente sarà invece la “Cenerentola” messa in scena da Emma Dante (ma assai poco emmadantesca), in programma a giugno del prossimo anno.
Sono tre opere che vantano costruzioni sceniche perfette come meccanismi, e che, per essere titoli assai frequentati, attendono solamente nuovi cast per essere riempite e rinnovate.

L’altro estremo, che segna il punto massimo della tensione verso il contemporaneo, è il rinnovamento dell’esperimento “Work in Progress” di Alexander Calder (1968) con la misteriosa “seconda parte” (un nuovo allestimento) di William Kentridge. Con “Waiting for Sybil” saremo infatti oltre l’opera: il teatro di Roma diverrà produzione di arte contemporanea, con il mistero sulla vera natura del lavoro dell’artista sudafricano svelato solo a settembre 2019.

In mezzo a queste due pietre angolari si dispiega la stagione, che promette quasi tutti titoli di sicuro successo, pur se in alcuni casi assenti da decenni dalle tavole del Costanzi, molti dei quali frutto di coproduzioni nazionali ed estere. Nelle cui maglie, però, si annidano germi assai interessanti e veramente internazionali. Almeno questi vanno citati: Damiano Michieletto porterà a Roma la sua “Vedova allegra” (versione tedesca originale) già debuttata con grande successo alla Fenice questa stagione; la conclusione del ciclo MozartDa Ponte di Graham Vick affronterà il titolo per certi versi più impegnativo e “ibrido”, “Don Giovanni”; un altro Mozart sarà quello di “Idomeneo” (nella versione con due tenori), curato da Robert Carsen per la scena e da Michele Mariotti per la parte musicale (ma Carsen firmerà anche la regia di “Orfeo ed Euridice”, in scena a marzo); mentre Emma Dante tornerà con la sua seconda produzione della stagione, un “Angelo di Fuoco” su musica di Prokof’ev, che mancava a Roma da più di cinquant’anni.

La vedova allegra di Damiano Michieletto (photo © Michele Crosera)
La vedova allegra di Damiano Michieletto
(photo © Michele Crosera)

Ma il contemporaneo si affaccia anche nella stagione di danza. Basterebbe citare la “Serata Philip Glass”, in cui l’opera del compositore minimalista caro al cinema è esplorata da sguardi diversi: quello di Giorgio Mancini (“Danzo, in tre movimenti”), quello di Benjamin Millepied (“Hearts and Arrows”), la nuova “Creazione” di Sébastien Bertaud (con la stessa Abbagnato, direttrice del corpo di ballo, in scena) e i “Glass Pieces”, debuttati a Brodway nell’83, opera del ballerino, regista e coreografo Jerome Robbins.
Rimane da citare la prima assoluta di “Un romano a Marte”, opera nuova di Vittorio Montalti, vincitrice del premio di composizione del Teatro dell’Opera di Roma, e la collaborazione con Romaeuropa Festival, che si concretizzerà nelle collodiane “Avventure di Pinocchio”, commissionate nel 2015 dall’Ensemble InterContemporain alla compositrice italiana oggi più nota e di successo, Lucia Ronchetti, e che a novembre sbarcheranno in Italia.

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