“Con la cultura non si mangia, ma io credo che si beva. E, in fondo, si muore prima di sete che di fame”.
Così affermava Vittorio Sermonti pochi giorni dopo l’occupazione del Teatro Valle di Roma.
E proprio ieri, a meno di un mese dall’azione rivoluzionaria (un mese ricco di adesioni, spettacoli e messaggi), è stata presentata in conferenza stampa la “Proposta per un nuovo Teatro Valle”.
E’ forte il grido dei precari dello spettacolo chiamati in causa, anche loro, nella schiera dell’“Italia peggiore” dal Ministro Brunetta, una schiera che – con stenti e molti sacrifici – contribuisce a mandare avanti questo Paese molto più di quanto non faccia la politica…
Dalle assemblee tenutesi in questi giorni al “fortino Valle” è emerso chiaramente il bisogno di far sì che il teatro resti pubblico, riconoscendolo, tutelandolo e finanziandolo come bene comune.
La proposta, incoraggiata con una lettera firmata da Thomas Ostermeier, direttore artistico dello Schaubuhne, avrebbe come obiettivo di trasformare il teatro in un centro dedicato alla drammaturgia italiana e contemporanea, attento alla formazione e capace di interloquire alla pari con i suoi omologhi esistenti e operanti all’estero: il Royal Court Theatre di Londra, il Thèatre de la Colline di Parigi, la Schaubuhne di Berlino…
Di certo sarebbe una sorte più che dignitosa per un teatro che ha ospitato il debutto dei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, rivoluzionando ed affermando la drammaturgia italiana, luogo a tutti gli effetti tra i più significativi per la vita teatrale del nostro territorio.
Ed è proprio al Paese che gli occupanti si rivolgono, chiedendo anche il sostegno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In breve, questi i punti principali della nuova vocazione del Valle:
– diventare il centro della drammaturgia italiana, con particolare attenzione alla produzione, alla promozione, alla formazione
– farsi promotore del teatro italiano sulla scena internazionale e, viceversa, essere una finestra aperta sulla scena internazionale per il teatro italiano
– continuare ad essere un luogo di indagine e di confronto dei nuovi linguaggi, creando le condizioni affinché queste forme possano continuare a confrontarsi e contaminarsi, non solo tramite il meccanismo dell’ospitalità ma affiancando a questa incontri col pubblico e con altri artisti, workshop e occasioni di dibattito
– diventare un centro permanente di riferimento per la drammaturgia, colmando i vuoti lasciati dal disciolto Idi, dall’Eti stesso, e dalla recente chiusura della Biblioteca Teatrale del Burcardo
– aprire i suoi spazi il più possibile: tutti i teatri europei sono naturali centri di aggregazione e di confronto tra artisti e artisti e pubblico. Solo in Italia siamo legati all’idea di teatro come luogo dove si entra, si vede lo spettacolo e si va a casa. Culturalmente non è più possibile questa “chiusura”
– avere un prezzo di biglietto accessibile anche a quel pubblico che normalmente non va a teatro, avere insomma un “costo politico”. Per far ciò però devono pagare tutti: ministri, attori famosi, assessori.
Dopo l’acqua e l’aria, è un nostro diritto-dovere riprenderci anche la cultura: stavolta non grazie a un referendum (sperando poi che la volontà popolare sia davvero sovrana), ma grazie alla consapevolezza che la battaglia più importante da intraprendere è contro il muro dell’ignoranza, unico vero oppositore alla forza del cambiamento.
E sulla scia del Valle sono scesi in campo da giorni anche i Pre/occupati palermitani, che lamentano assenza di regole e garanzie, e l’inerzia delle istituzioni, con la conseguente chiusura di decine di spazi per il teatro e la cultura come i Cantieri Culturali della Zisa, il Teatro Garibaldi e l’ex Deposito Locomotive di Sant’Erasmo.